La difficile scelta di un nuovo paradigma planetario

Dieci anni per cambiare energia

 Dieci anni  per cambiare energia  QUO-247
29 ottobre 2021

C’è un dinosauro nel corridoio. Riadattando un celebre detto emiliano su una mucca sdraiata dove ci si ostina a non volerla vedere, c’è un dinosauro alla porta del salotto. E sta bussando (proprio come la metaforica mucca che non sa di essere invisibile).

L’organizzazione delle Nazioni Unite, dopo settimane di allarmi in crescendo — riassumibili nell’affermazione del segretario generale António Guterres “il mondo è sulla via giusta per la catastrofe climatica” — ha deciso di ricorrere ad un “già estinto“ per poter dire, fuori dai denti, quel che convenzioni e suscettibilità non consentono di dire senza filtri.

Un T-Rex, spettacolarmente ricostruito in video al computer, irrompe all’assemblea generale delle Nazioni Unite, si prende la parola “in deroga al protocollo”, e dice in faccia a tutti: «Voi finanziate la vostra estinzione con i carburanti fossili. Ascoltate gente! È la cosa più ridicola che abbia sentito in 70 milioni di anni!». I dinosauri, almeno, non pagarono per estinguersi, dice sarcastico il “già estinto” dal celebre podio sul mondo, di fatto vestendo i panni dell’avatar disinibito della massima istituzione mondiale. Per la cronaca il T-Rex riceve la standing ovation dei rappresentanti dell’umanità, consapevoli e grati della inattesa lezione,“in deroga al protocollo”. Spendete per sconfiggere la povertà degli uomini, dice osannato, non per finanziare la scomparsa della vostra specie. «È una pazza idea» afferma. Però è sensata.

Ma la scelta del dinosauro sapiens sapiens , applausi a parte, è complessa. Chiama in causa gli interessi nazionali, il modello di vita che i Paesi ricchi considerano un diritto acquisito. Avrà conseguenze esistenziali: proibito sbagliare.

La transizione ecologica, ci si chiede, ha bisogno o no anche dei fossili per sostenere la transizione? Ed è realistica la convivenza fra green economy e black fuel? Lo pensano i paesi esportatori e quelli in crescita: servirsi del carbone «ancora per i prossimi decenni» (come dice il premier australiano Morrison ) consentirebbe, afferma, di programmare il cambiamento salvando insieme lo stile di vita occidentale e globalizzato. E l’India, attuale forte inquinatore, mette sul piatto il fatto di essere stata buona ultima, in ordine di tempo, a godere dei vantaggi di una produzione a base fossile. Comincino gli altri che hanno già costruito la loro forza su questo sistema energetico (dice puntando il dito su Usa, Ue e Cina). E con queste premesse si va incontro alla conferenza sul clima Cop 26, forse la più importante di sempre, che dovrebbe trovare l’accordo sul punto.

Gli schemi predittivi, pur con un margine di errore che alcuni analisti si avventurano a valutare in un 20 %, suggeriscono, però di trovarlo in fretta questo accordo: negli schemi la Terra corre come una biglia su una linea del tempo dove, ad un certo punto, è segnata la comparsa dell’uomo e l’avvento dell’ era dell’Antropocene. È da qui che la biglia deraglia verso l’area rossa del modello che a sua volta termina, inclinandosi, in un precipizio. Davanti, però, la biglia ha ancora due tracciati possibili: uno che la porta a rimbalzare nell’area blu del modello (tagliando le emissioni), l’altro che (senza politiche di intervento) finisce nella fornace del riscaldamento globale terminale. Game over. Il termine temporale per fare le scelte energetiche strutturali necessarie a parlare di futuro è fissato, senza contestazioni, in 10 anni.

E qui viene fuori l’altro convitato di pietra della conferenza al via il 31 ottobre. L’energia nucleare. L’atomo non produce gas serra, è la tesi sostenuta dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Produce, però, valanghe di scorie dalla vita radioattiva lunghissima: trovare loro depositi sotterranei, sicuri, stabili, protetti, pone problemi di sicurezza destinati ad aumentare perché le scorie si accumulano, potenzialmente, all’infinito. Un po’ come i gas serra in atmosfera (in teoria, però, riassorbibili dalle foreste). Senza contare che gli tsunami ci hanno insegnato che le catastrofi naturali hanno la meglio sui reattori: Fukushima fu annientata da un micidiale uno-due che arrivò da sottoterra, il terremoto, e poi dal mare, lo tsunami. La posizione dell’Ue, trainata da quella francese che risente della necessità di rimettere a nuovo una rete energetica nucleare fortemente invecchiata, l’ha appena chiarita la presidente della Commissione Ursula von der Leyen: «Le rinnovabili — ha detto — sono libere da emissioni di anidride carbonica e sono prodotte nell’Ue. Accanto a queste abbiamo bisogno di una fonte stabile: il nucleare. E durante la transizione del gas naturale». Il nucleare, fonte stabile a differenza di solare ed eolico, sarebbe destinato dunque, nella visione europea e non solo, ad un ruolo strutturale. Un posto chiave nel futuro del modello economico che si cerca di mantenere in vita il più possibile per come è stato prodotto dall’economia del fossile. Una scommessa, dunque. Stabilità e continuità di sistema, in cambio di un rischio diverso e meno prossimo. L’Aiea, tra l’altro, sostiene che il nucleare sarebbe anche più adatto a favorire scenari finanziari meno a rischio, fattore forse decisivo agli occhi delle vecchie economie. Il mondo, probabilmente, riuscirà a modificare il paradigma energetico entro i richiesti dieci anni. Se sarà verde, o integrato, o greenwashed (passato in lavatrice con un po’ di verde), dipenderà dalla prossima scommessa sul futuro.

di Chiara Graziani