La nuova “questione sociale”

 La nuova “questione sociale”  QUO-240
21 ottobre 2021

Una delle qualità più belle del nostro Papa è la sua sensibilità. Non è un sentimentalismo lacrimevole ma una vera sensibilità che gli permette di annusare le tracce delle pecore nei loro movimenti, di sentire i segni dei tempi nel tremore della terra, di sentire come suo il dolore degli esclusi, di vedere i volti sfigurati da pregiudizi radicati, di assaporare con loro la poetica della lotta per la trasformazione.

Questa qualità gli permette anche di essere aperto a nuovi fenomeni e situazioni. Non è rimasto con una mentalità “formattata” per sempre nelle realtà del passato, incapace di cambiare prospettiva, correggere i pregiudizi, elaborare il nuovo. Così, un uomo formato nel xx secolo interpreta il xxi secolo, la nuova “questione sociale”, le attuali res novae come nessun altro. Capisce come nessun altro che l’esclusione sostituisce lo sfruttamento come volto paradigmatico dell’ingiustizia sociale; che la crisi ambientale sostituisce la guerra delle superpotenze come principale minaccia all’umanità.

Con la stessa sensibilità, Bergoglio prima, Francesco poi, ha incontrato i Movimenti popolari nelle circostanze più diverse. Questo iv Incontro mondiale è stato segnato dalle rivelazioni portate dalla pandemia. Questi due volti dell’umanità. Fraternità ed egoismo. L’egoismo imprenditoriale espresso nella distribuzione iniqua dei vaccini. La fratellanza umana che si è messa in moto nella lotta contro la malattia. Francesco sfida l’egoismo istituzionalizzato dei poteri che governano il mondo e invita quelli di noi che stanno combattendo la pandemia a sognare insieme un paradigma umano.

Ma dov’è la forza per realizzare questi sogni? Non è nelle élite, né nelle ideologie salvatrici o nei leader illuminati. È nei popoli, in particolare nelle loro periferie sociali, geografiche, esistenziali. È tra i migranti e i rifugiati, è tra i lavoratori più precari, esclusi e sfruttati, è tra le famiglie che non hanno un alloggio adeguato perché né il mercato né lo Stato lo garantiscono, è tra i contadini, i pescatori e le popolazioni indigene che sentono prima di chiunque altro i gemiti della natura smantellata, avvelenata, saccheggiata, depredata. È lì, tra essi, tra esse, e tra quelli di noi che hanno scelto di unire il nostro destino a quello di tutti coloro che sono scartati dal sistema.

Il discorso di Papa Francesco è eloquente nelle sue diagnosi, denunce e proposte. Ci ricorda l’abisso verso il quale stiamo avanzando come un treno impazzito. Cita chiaramente molti dei responsabili. Invita a riconoscere il potere di trasformazione dei popoli facendo appello all’immagine del samaritano collettivo. Propone un orizzonte con tierra, techo y trabajo — terra, casa e lavoro — per tutti. Come se non bastasse, il Papa non si ferma a formule generali ma propone misure concrete come il salario di base universale e la riduzione della giornata lavorativa.

È chiaro che nessuna di queste cose piace a quanti detengono il potere economico. Questo è normale. La cosa triste è che molte persone della classe media, e persino preti, sono infastiditi da quello che dice, dalla sua vicinanza ai Movimenti popolari. In larga misura, questo risponde «alla logica della post-verità, alla disinformazione, alla diffamazione, alla calunnia» che domina i mezzi di comunicazione, ma non si può ignorare la mancanza di comprensione dei Movimenti popolari e la tiepidezza di importanti settori della Chiesa nel difendere il magistero del Santo Padre.

I Movimenti popolari sono forme di organizzazione comunitaria e di attivazione politico-sociale delle periferie. Sono “i poveri in movimento”. Sono i poveri che non si rassegnano, che si organizzano e lottano. Sono i poveri che non aspettano la filantropia a braccia conserte e cercano modi di esprimersi collettivamente attraverso l’organizzazione, il lavoro e la lotta. Si tratta di forme imperfette che corrono il rischio di “incasellarsi” o “corrompersi”, ma che senza dubbio cercano di mettere al centro gli esclusi. Papa Francesco ha prestato la sua voce per amplificare un grido che implora il cielo.

L’umanesimo di Papa Francesco lega il suo dialogo con le periferie alla tradizione della Chiesa, al magistero dei suoi predecessori e agli insegnamenti di Gesù. Quello che succede è che i guardiani del pensiero unico, l’ariete ideologico del capitalismo globale, attaccano spietatamente qualsiasi proposta umanista alternativa. Così piegano molte volontà. Così spaventano molti cristiani. Tuttavia, con lui non saranno in grado di farlo. Papa Francesco non cerca l’accettazione dei potenti del mondo né l’applauso dei mezzi di comunicazione. Il Papa difende il Vangelo e i poveri che Gesù amava. È questo che dà fastidio. Sono sicuro che non lo distoglieranno mai da questo percorso. A Papa Francesco, oltre la sensibilità, Dio ha dato un altro dono: la fermezza.

Seguire il Vangelo non è mai stato facile. Tantomeno è facile ora. Che il Signore custodisca Papa Francesco e ci conceda la sensibilità e la costanza per realizzarne gli insegnamenti.

di Juan Grabois