Al centro del percorso sinodale

Il buon comunicatore e l’arte di ascoltare

 Il buon comunicatore e l’arte di ascoltare   QUO-239
20 ottobre 2021

Siate autentici! Con Papa Francesco per migliorare le nostre relazioni e la nostra comunicazione è il titolo del volume del giornalista colombiano Ary Waldir Ramos Diaz (Edizioni Lavoro, Roma, 2021, pagine 280, euro 25) presentato nel pomeriggio di martedì 19 ottobre, nella Sala Marconi della Radio Vaticana. All’incontro, moderato da Alessandro Gisotti, sono intervenuti il cardinale segretario generale del Sinodo dei vescovi (del quale pubblichiamo quasi per intero l’intervento), Eva Fernández, corrispondente   per l’Italia e il Vaticano di Cope, e Jesús Colina, vice-presidente di Aleteia.

Ripercorrendo le pagine del volume che oggi viene presentato, non posso che plaudire la scelta dell’autore di intitolare la seconda parte del volume al tema dell’ascolto. Infatti, una buona comunicazione non può nascere che dall’ascolto; e un buon comunicatore non può che essere un “esperto” nell’arte dell’ascoltare.

Non a caso, il Santo Padre ha voluto iniziare il percorso sinodale dall’ascolto del popolo di Dio e dedicare al tema dell’ascolto la prossima 56a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Non a caso uno dei versetti più importanti dell’antico testamento e ancora oggi della preghiera dei nostri fratelli maggiori è lo Shemà Israel («Ascolta Israele», cfr. Dt 6, 4-9).

Ma che cos’è l’ascolto? Questa parola, come qualsiasi parola quando eccessivamente enfatizzata rischia di perdere di senso, rischia di svuotarsi di significato. E allora che cos’è l’ascolto? Vorrei riprendere qui l’oramai famoso detto di Papa Francesco in Evangelii gaudium «Ascoltare è più che sentire» e svilupparlo. Perché ascoltare è più che sentire? Perché:

1. Ascoltare è un’arte. È un esercizio non solo della mente ma anche del cuore. Non è per nulla un atto passivo, un’assenza di parole, un silenzio che troppo spesso cerchiamo invano di colmare dentro di noi. Significa innanzitutto assumere un atteggiamento di disponibilità, un cuore libero e aperto per l’altro che è sempre un dono per me. Significa accettare la fatica di “fare spazio” all’altro lasciando da parte ogni mio pregiudizio, schema o categoria mentale precostituiti dove immagazzinare, classificare e depositare l’informazione ricevuta. Ascoltare significa innanzitutto riconoscere nell’altro me stesso. Il vero ascolto è un atto di “kenosi”, un vero svuotamento di tutto quanto ci possa rendere sordi. Non si tratta di annullare la propria individualità, ma di riconoscere nell’altro un fratello, una persona che ha la mia stessa e uguale dignità qualunque sia la sua condizione fisica, sociale, culturale, religiosa...

2. Ascoltare è un Effatà («Apriti») che non è solo un esercizio dell’udito... ma è anche un dire e un vedere (cfr. Mc 7, 33-34). Entrambi necessitano di una guarigione. L’episodio della guarigione del sordomuto — direi del sordo e muto — ne è un esempio e ci fa chiaramente comprendere il vincolo esistente tra la capacità di ascoltare (direi correttamente) con l’udito e il cuore, e del parlare “correttamente” con la bocca, la penna e il cuore. Molto spesso dietro a un ascolto poco attento, già prevenuto, di facciata — magari con un bel sorriso o un accenno di tristezza, disappunto o compassione secondo la circostanza — si nasconde un cuore incapace di cogliere le ragioni dell’altro, le sue sofferenze, i suoi dubbi, le sue sconfitte, ma anche le speranze e i suoi desideri. Ne consegue un parlare travisato, poco attento e a volte molto dannoso. Un esempio di attualità è la grave crisi degli abusi (di tutti gli abusi, non solo quelli su minori), dove non di rado, all’abuso fisico, psicologico subìto è stato aggiunto un altro abuso, un’altra sofferenza — a volta anche più grande e dannosa — quella di una parola che ferisce piuttosto che guarire, di una parola che non ha saputo ascoltare. Per molte vittime di varie forme di abuso, questo è un male ancora più grande.

3. Infine, per un cristiano, ascoltare è guardare alla croce: all’orizzontalità del suo abbraccio dell’umanità e alla verticalità del suo intimo rapporto con Dio. Ascoltare non è mai un esercizio unidirezionale (anche in una semplice intervista). Alla base esiste sempre una relazione (anche se effimera). Il vero ascolto deve essere basato sulla reciprocità dove ognuno sa di avere qualcosa da imparare dall’altro. Ma il cristiano sa che a questa dimensione orizzontale deve aggiungere anche la dimensione verticale, ossia la disponibilità verso Dio ad accogliere la sua Parola, che è la capacità di guardare con gli occhi di Dio. Allora l’ascolto si tramuta in discernimento (in separazione e scelta).

Vorrei concludere ritornando di nuovo al percorso sinodale che abbiamo appena avviato e di cui già cominciamo a cogliere i frutti.

In molti ambiti della vita sociale ed ecclesiale abbiamo perso la capacità di un dialogo sano e liberatorio. Abbiamo paura di aprirci al dialogo. Piuttosto che rivolto alla ricerca della verità, all’accoglienza dell’altro diverso e allo stesso tempo uguale a me stesso, il dialogo finisce spesso per degenerare divenendo litigio. Non più comunione ma separazione. Come ci ricordava Papa Francesco nell’Angelus del 5 settembre scorso «la rinascita di un dialogo, spesso, passa non dalle parole, ma dal silenzio, dal non impuntarsi, dal ricominciare con pazienza ad ascoltare l’altro, le sue fatiche, quel che porta dentro. La guarigione del cuore comincia dall’ascolto».

Il cammino sinodale che inizia con questo tempo, lungo tempo di ascolto reciproco può essere un tempo opportuno, un kairos, di guarigione delle tante ferite che ci portiamo nelle nostre comunità ecclesiali, come società e come umanità. Aiutateci ad ascoltare tutti, specie chi vive ai margini delle nostre chiese, chi è stato ferito da una Chiesa sorda e muta, chi è in attesa di un orecchio e di un cuore disposti ad ascoltare. Ascoltate con il cuore e — se siete cristiani — non vergognatevi a chiedere allo Spirito Santo — il Consolatore — di aiutarvi ad ascoltare e a portare voi stessi una parola di consolazione e misericordia.

di Mario Grech