In «Diario di un medico» del cardiologo Francesco Parisi le storie di piccoli trapiantati

Il cuore oltre l’ostacolo

 Il cuore oltre l’ostacolo  QUO-235
15 ottobre 2021

È raro trovare un’affinità più profonda, nel segno di destini incrociati, tra chi scrive l’introduzione ad un libro e il suo autore. Il pediatra uruguaiano Roberto Canessa, il prefatore, è sopravvissuto ad un terribile incidente: l’aereo sul quale stava viaggiando si schiantò contro la Cordigliera delle Ande. «Essere sopravvissuto a quell’incidente — scrive — è stato per me come rinascere un’altra volta, ricordando quel 17 gennaio del 1953, data della mia nascita in Uruguay». Quello stesso giorno, e praticamente alla stessa ora, il dottor Francesco Parisi nasceva a Roma. Si fregia di questa introduzione il libro — di forte impatto e costantemente pervaso da un’intensa commozione — Ho visto persone attraversare le Ande. Diario di un medico (Sassari, Carlo Delfino editore, 2021, pagine 219, euro 20) che Parisi ha scritto sviluppando, attraverso le toccanti storie dei suoi pazienti, un’autobiografia professionale. La sua narrativa riecheggia l’aura del celeberrimo dottor Manson, protagonista de La cittadella di Cronin: un medico, a suo modo eroico, che riconosceva il significato autentico della sua professione, sentita come missione, solo nel volto del paziente sofferente.

Dal maggio 1982 al dicembre 2020 l’autore ha lavorato presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dove, nel dipartimento medico-chirurgico di cardiologia pediatrica, ha contribuito in maniera determinante alla nascita e allo sviluppo dei programmi di trapiantologia cardiaca e polmonare.

«Per qualche ragione — sottolinea Canessa nell’introduzione — i nostri destini sono iniziati simultaneamente, e le nostre vite sono state ispirate dalla cardiologia pediatrica. Insieme abbiamo attraversato il mondo dei trapianti cardiaci sui bambini, e insieme abbiamo dovuto dare alla famiglia la notizia della possibilità di sopravvivenza per il proprio figlio; insieme abbiamo visto come questi bambini e le loro famiglie hanno dovuto scalare la propria cordigliera».

Un tratto fondante del libro è dato dal rapporto simbiotico che si viene ad instaurare tra il paziente ed il medico: un rapporto particolare, inedito, visto che chi dà aiuto molto spesso, in forme anche silenti e sotterranee, lo riceve. Lezioni di medicina e lezioni di vita s’intrecciano e si valorizzano a vicenda. Parisi ricorda la vicenda di Ivan: quando fu trapiantato aveva un anno e tre mesi, e pesava dieci chilogrammi. Era il 6 febbraio 1986. In Italia il primo adulto era stato trapiantato poco prima, nel novembre 1985 e, fino a quel momento, il paziente italiano più piccolo era una bambina di dieci anni trapiantata al Policlinico Umberto i . In seguito Ivan avrebbe subito altri trapianti, tanto da stabilire un triste record: nonostante le logoranti traversie, ha avuto la forza di studiare ed ora, trentasettenne, lavora e ha una famiglia.

«Quando ha saputo che non c’ero più in ospedale — scrive Parisi — mi ha mandato un laconico messaggio: “Buongiorno Parisi, sono Ivan, volevo mandarle un saluto”. In questo messaggio c’era tutto Ivan. Non mi aveva mai scritto prima. È di una discrezione assoluta». Ivan deve tanto, tantissimo a Francesco Parisi, e questi, a suo modo, gli è debitore e riconoscente. «Ivan, a trentacinque anni dal trapianto è ancora il nostro faro» sottolinea l’autore.

Era cianotica quando, nel 1988 Giulia (aveva allora un anno e mezzo) ricevette il trapianto. Evidenzia Parisi: «Il suo, vuoi per l’epoca, vuoi per le specifiche caratteristiche, è rimasto uno dei più difficili e complessi trapianti di tutti questi trentacinque anni di attività professionale». Nel tempo si è sottoposta a costanti controlli ed un giorno ha chiesto dell’eventuale possibilità di avere una gravidanza. Difficile impresa, senza dubbio, considerando la sua cartella clinica. «Abbiamo cercato di superare anche le perplessità della mamma di Giulia» ricorda Parisi, ma Giulia «è andata fino in fondo».

«Nel novembre del 2019 — scrive l’autore — ho assistito alla nascita di Valeria. Giulia, forse, non è mai stata così bene».

Le storie dei pazienti raccontate nel libro corrono sul filo, quanto mai sottile, sul quale si trovano in equilibrio la vita e la morte. Un filo che rischia, al pur minimo urto, di spezzarsi. In questo scenario si può avere la tentazione di “mollare”, quando si constata che un intervento, delicatissimo e difficilissimo, non è stato conclusivo, ed altre problematiche, minacciose, insorgono. Come non ricordare allora l’“incredibile” Matteo che, nel novembre del 2010, poco dopo la nascita, mostrava un’insufficienza cardiaca, cui si aggiunsero gravi infezioni. «Alla fine il suo cuore non pompava più». Alle autorità competenti degli Stati Uniti venne allora inoltrata la richiesta di autorizzazione per l’utilizzo di un prototipo miniaturizzato. Era il primo sistema di assistenza meccanica artificiale totalmente intratoracico, anzi, intracardiaco, per un bambino di cinque chilogrammi di peso. Dopo l’autorizzazione americana e quella del ministero della salute italiano, si andò in camera operatoria. Il nuovo sistema funzionò per tre settimane quando, improvvisamente, si bloccò: in sostanza, si era verificato un arresto cardiaco. «Si era fatto tutto il possibile, per molti era il momento di fermarsi» scrive Parisi. Dopo un convulso deliberare, si procedette ad un nuovo trapianto. Nel frattempo si arrivò a certificare che Matteo era affetto da una malattia rara, presente anche nella mamma.

Ora Matteo sta bene, ha una vivacità «difficilmente controllabile», sebbene si renda sempre necessaria una rigorosa monitorizzazione sia per il trapianto in sé sia per l’evoluzione della sua malattia di base.

«Matteo — sottolinea, nel segno di una matura e lucida analisi, l’autore — non ci ha consentito solo l’acquisizione di una grande quantità di conoscenze tecniche, ma oggi, a nove anni di distanza, ci ha evidenziato quanto poco sappiamo della vita e come noi possiamo solo metterci l’assistenza e la cura. Quella, la vita, per quanto possibile, non tocca a noi interromperla».

di Gabriele Nicolò