Dale Recinella, assistente spirituale dei condannati alla pena capitale in Florida, ha incontrato i detenuti di Paliano e ha raccontato la sua storia

«Guarda me»: l’ultimo saluto nel braccio della morte

The death chamber table is seen in 2010 at the state penitentiary in Huntsville, Texas. The Supreme ...
02 ottobre 2021

Quando Dale Recinella, assistente spirituale dei condannati a morte in Florida, ha varcato ieri le mura ciclopiche dell’antica Fortezza Colonna del carcere di Paliano, in provincia di Frosinone, ha capito subito che non si trovava in uno dei “suoi” penitenziari. Arrivato a Roma domenica scorsa per assistere ai lavori dell’assemblea generale della Pontificia Accademia per la vita, e ricevere il premio «Custode della vita», l’ex avvocato della finanza di Wall Street, laureato alla Notre Dame Law School, oggi cappellano laico, ha scelto di andare a visitare un luogo a lui caro. Il carcere, appunto. Non un istituto qualunque ma quello di Paliano, la casa di reclusione che Papa Francesco scelse, il 13 aprile 2017, per presiedere la messa in coena domini, lavare i piedi agli ospiti, tutti collaboratori di giustizia, e condividere con loro l’inizio del triduo pasquale. I segni di quella visita sono ancora oggi visibili e chi ha vissuto quei momenti ha continuato nel tempo a rispondere concretamente all’appello che nell’occasione lanciò Francesco: «Se voi potete dare un aiuto, fare un servizio qui, in carcere, al compagno o alla compagna, fatelo. Perché questo è amore». Nell’istituto del Frusinate è stata realizzata dagli ospiti artigiani la “Croce della misericordia” per inviare il proprio messaggio di solidarietà e vicinanza a tutti i detenuti italiani che patiscono le loro stesse sofferenze. E poi i numerosi incontri di preghiera e le riflessioni sulla Parola di Dio. Qui ha fatto tappa la Croce della Gmg, la Madonna Pellegrina ed è stato realizzato un ciclo di trasmissioni della Radio Vaticana intitolato Il Vangelo dentro.

Insomma un luogo «dove il Signore ha posto il suo sguardo», ripetono i ragazzi che qui scontano la pena ma al tempo stesso lavorano e si impegnano a ricostruire la propria vita. E ciò anche grazie a un’équipe di professionisti guidati dalla direttrice, Anna Angeletti, che ha fortemente voluto l’incontro con Dale Recinella nella struttura da lei guidata. Al cappellano della Florida ha spiegato, e mostrato, le attività degli ospiti: «Abbiamo una cereria, un pastificio, un laboratorio di ceramica, un forno, una falegnameria e un’azienda agricola. A Paliano sono tutti impegnati. Non c’è tempo per pensare ad altro se non al proprio futuro», ha spiegato Angeletti, anticipando la prossima apertura al pubblico di una gelateria e di una pizzeria perché questo carcere «è un esempio dove direzione, polizia penitenziaria e volontari — in particolare il gruppo di Sant’Egidio — hanno trovato il coraggio della parola e dell’esempio, avallando in via prioritaria politiche solidali e di sostegno per i detenuti. Insomma ha dato speranza a chi non ne ha».

Immediata la riflessione di Recinella: «Partecipo a molte conferenze sulla pena di morte e spesso mi viene rivolta una domanda: “Se non li ammazziamo, cosa ne facciamo di questi?” La risposta siete voi. Rappresentate la possibilità di riscatto, il giusto percorso». Poi l’incontro tanto atteso. Nella sala intitolata all’Unità d’Italia ad attenderlo c’erano una trentina di ragazzi e due ragazze. Dale si è presentato dicendo: «Sono qui perché dopo aver visto l’orrore della morte nel mio Paese, ho avuto bisogno di incontrarvi. Più di quanto voi pensiate». E poi quello che tutti avevano immaginato, letto o visto nelle pellicole più note, ma mai ascoltato dal vivo: «Dipendo dai nove vescovi della Florida e, se i nostri assistiti non sono contenti del mio lavoro, scrivono direttamente ai presuli», ha detto scherzando. Parlando degli esordi, il cappellano statunitense ha raccontato: «Quando iniziai questo servizio, nel 1998, i detenuti mi prendevano in giro: “La Chiesa cattolica non aveva altro da fare? Perché mandare qui uno come te? Non aveva una persona più in gamba?” Incalzavano con le domande: “Cosa facevi prima di venire qui?” Gli rispondevo: “Ero a Wall Street e mi occupavo di finanza”. Uno di loro mi colpì replicando: “Questa sì che è una buona notizia! Se Gesù ha perdonato una persona avida e affamata di soldi come te, sono certo che perdonerà anche me”». Il “braccio della morte” in Florida si trova al confine con lo Stato della Georgia. Fratello Dale percorre molta strada per raggiungerlo: «È un luogo sperduto, adatto solo per gli alligatori, non per gli esseri umani. Nei mesi di luglio, agosto e settembre, le temperature sono altissime, ma in carcere non c’è aria condizionata perché per i condannati a morte, dicono, non è necessario spendere soldi». Il luogo descritto dal cappellano americano è un girone infernale. Le celle sono larghe due metri e profonde tre. In un angolo ci sono i servizi igienici e un ripiano in acciaio. Il materasso del letto è molto sottile, così il detenuto non può nascondere nulla sotto.

Il boia negli Stati Uniti non risparmia le donne e Recinella ha snocciolato davanti a una platea sconvolta alcuni dati: «Il penitenziario femminile è situato nel centro dello Stato. Una volta emessa la sentenza, vengono trasferite anche loro nel braccio della morte. Fino a pochi anni fa erano dodici, oggi sono quattro». Successivamente si è soffermato a raccontare nei dettagli il macabro rito: «Una volta emessa la condanna, si dovranno attendere cinque lunghe settimane, durante le quali il detenuto non potrà avere alcun contatto. Sarò io a spiegare ai familiari la decisione del governatore e ciò che potranno o non potranno fare in questo periodo. Mi è capitato di dare la ferale notizia e di ascoltare in diretta il profondo dolore dei congiunti. In qualche caso non ce l’hanno fatta e sono svenuti».

Dale ha raccontato che, nei trentacinque giorni che separano il condannato dalla morte, rimane con lui fino alla fine «anche perché sono l’unica persona che può accedere alla death chamber, insieme all’avvocato difensore». Ma di solito il legale non assiste, perché è impegnato a fare telefonate fino all’ultimo per cercare di salvarlo. «Mi siedo sempre al solito posto e l’ultima cosa che dico è: “Guarda me”. Non appena si alza la tenda mi fissa, e io comincio a pregare con lui. È atroce vedere una persona che muore davanti a te e questa, paradossalmente, è la migliore delle soluzioni». A tal proposito Recinella ha ricordato i trentaquattro minuti di agonia di Ángel Díaz, ucciso nel 2006 nel carcere di Starke, in Florida, in esecuzione di una condanna per un omicidio del 1979. Lui c’era: «Fu colto da tremiti, mostrando smorfie al volto, come se soffrisse. Dopo una ventina di minuti, gli fu somministrata una seconda dose di sostanze letali che era pronta proprio per il timore che l’organismo di Díaz, per una patologia al fegato, si rivelasse troppo lento a metabolizzare il veleno. Sembrava provare un gran dolore, boccheggiò per undici minuti. Il medico legale che eseguì l’autopsia sul cadavere spiegò che il problema era legato a un inserimento errato degli aghi nelle vene. Ho assistito a quaranta esecuzioni, diciannove delle quali con sofferenze oltre ogni limite. Quella di Díaz è una di queste».

L’episodio ha cambiato la vita del cappellano, tanto è vero che ha raccontato ai ragazzi di Paliano di aver avuto costantemente incubi notturni e di aver vissuto momenti di angoscia senza precedenti: «Gli stessi che provò il sacerdote che vide trasformarsi in un rogo la sedia elettrica su cui venne giustiziato nel 1997 Pedro Medina. Dopo quell’episodio il sacerdote lasciò l’incarico». Fratello Dale, piangendo, ha raccontato questo suo profondo malessere superato solo grazie al conforto e al sostegno della moglie Susan.

Proprio nei giorni scorsi, suor Helen Prejean, una religiosa della congregazione delle Suore di San Giuseppe da quasi trent’anni impegnata contro la pena di morte negli Stati Uniti, ha reso noto via Twitter che il nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America, arcivescovo Christophe Pierre, ha invitato il governatore del Missouri, Michael Lynn Parson, a non eseguire la sentenza capitale di Ernest Johnson, come segno di rispetto della «sacralità della vita umana». L’esecuzione del sessantunenne colpevole di omicidio è fissata per il 5 ottobre.

Con i suoi trecentoventi detenuti, lo Stato della Florida ha il più grande “braccio della morte” attivo negli Stati Uniti. Di essi, una sessantina sono cattolici e altri diciassette si stanno convertendo. Dale Recinella li conosce bene e, insieme a Susan, li assiste, accompagnandoli ogni giorno e parlandogli di Gesù. Prima di morire gli dicono: «Se avessi conosciuto prima una persona come te, non avrei fatto questa fine». Il racconto di Dale ha lasciato il segno. A partire dalla direttrice: «Non potrei mai guidare un istituto del genere». Uno dei ragazzi, commosso, ha chiesto al cappellano una cortesia personale: «Dopo quello che ci hai raccontato, ti chiedo di dire a tutti quelli che incontrerai quando tornerai a casa che siamo privilegiati». Infine, salutando lo staff il cappellano ha detto: «Vi ringrazio per quello che fate ogni giorno». E, guardando i ragazzi: «Ringrazio soprattutto voi. Dopo avervi conosciuto, desidero che anche nel mio Paese vengano realizzati luoghi come questi. I’ll never forget you».

di Davide Dionisi