Giubileo di ordinazione del cardinale Semeraro

Fraternità e carità pilastri del sacerdozio

01 ottobre 2021

«La fraternità e la carità reciproche sono dimensione essenziale dell’essere e del “fare” il prete». Con un «di più: avere accanto il Signore, il quale ha promesso che dove sono due, o tre riuniti nel suo nome, egli è lì in mezzo a loro». È questa l’essenza del sacerdozio secondo il cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, che ieri, giovedì 30 settembre, ha celebrato la messa per i suoi cinquant’anni di ordinazione.

Nella basilica di San Pietro, insieme con il porporato si sono ritrovati superiori e membri del dicastero e amici incontrati in mezzo secolo di ministero presbiterale. «È provvidenziale — ha detto all’omelia — che per la liturgia nell’occasione di un giubileo sacerdotale il lezionario del giorno riservi questa parola di Gesù: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!”. Per influsso di sant’Annibale Maria Di Francia quest’esortazione è divenuta un classico vocazionale».

Evidenziando che «una sproporzione tra l’abbondanza della messe e la scarsità degli operai ci sarà sempre», il prefetto ha affermato: «Sbaglieremmo di grosso se pensassimo di colmarla senza un serio e rigoroso discernimento, magari reclutando a ogni costo, o ingaggiando chiunque».

Commentando la lettura del Vangelo, Semeraro ha citato l’intuizione di san Gregorio magno, secondo il quale Gesù inviò i discepoli «a due a due perché potessero vivere la carità. Se, infatti, manca l’amore reciproco, qualsiasi azione pastorale è inutile e vana». E collegandovi la propria esperienza personale, ha ricordato di aver vissuto «molti anni di ministero sacerdotale in un seminario maggiore», dove tornò «come formatore e quindi docente di teologia nel 1972» e ne partì «come vescovo nel 1998. Allora — ha spiegato — si parlava molto di fraternità sacerdotale. Vi insistette in modo speciale san Giovanni Paolo ii in Pastores dabo vobis».

Eppure, ha osservato il porporato, «non tutto è così rassicurante, perché quanto alla missione il Vangelo aggiunge pure un’altra parola: “... vi mando come agnelli in mezzo a lupi”. E quest’immagine mette in luce la nostra fragilità, vulnerabilità, e pure il nostro rischio, giacché potrebbe accaderci di pensare che noi siamo sempre i buoni e gli altri sempre i cattivi».

In proposito Semeraro ha rilanciato la storia di un saggio capo cherokee, che al nipotino raccontava come in ognuno ci siano due lupi: uno cattivo che vive di rabbia, gelosia, invidia, risentimento, falso orgoglio, menzogna ed egoismo; e un altro buono che vive di pace, amore, speranza, generosità, compassione, umiltà e fede. E al bimbo, che chiedeva: «Quale lupo vince?», egli rispose: «Quello che nutri di più».