La collettività deve farsi carico della fragilità come problema sociale

 La collettività deve farsi carico  della fragilità come  problema sociale  QUO-220
28 settembre 2021

Viviamo nell’economia digitale, dominata dalle piattaforme. Sogno che queste vengano utilizzate al meglio per i due campi che mi interessano di più: educazione e sanità.

Lo studio finalizzato alla salute delle persone non può avere un’impronta esclusivamente applicativa, anzi è proprio dalla ricerca fondamentale che giungono gli sviluppi terapeutici e farmacologici più interessanti, come ci dimostra la pandemia in cui soltanto grazie a ricerca fondamentale effettuata da molti anni siamo riusciti oggi a produrre e distribuire i vaccini in tempi record.

Un altro punto importante da sottolineare su questo argomento è che una ricerca scientifica e un’innovazione tecnologica che siano davvero al servizio delle persone e della collettività devono guardare, come primo target di riferimento, alle categorie più fragili, alle persone più bisognose di assistenza, agli ultimi. Bisogna uscire dalla logica secondo cui le fragilità e le diverse abilità, condizioni che nelle società contemporanee sono ormai molto frequenti, anche a causa della maggiore longevità, siano una sorta di condanna dovuta al fato, il cui peso deve gravare solo sulle spalle dei diretti interessati e dei loro caregiver, cioè quasi sempre delle famiglie. La fragilità, la diversa abilità sono una problematica sociale, cioè una condizione di svantaggio di cui tutta la collettività deve farsi carico per porvi rimedio, a partire da quanti hanno le competenze e le conoscenze per sviluppare sistemi che aiutino a colmare tali divari.

Penso al mio ambito di studi — robotica bioispirata, bioingegneria e intelligenza artificiale — che in ambito clinico trova campi di applicazioni vastissimi: protesi cibernetiche, esoscheletri, brain computer interfaces, sensori indossabili... Si pensi solo allo sviluppo dell’esoscheletro per neuroriabilitazione e assistenza personale.

In Italia i dati dicono che l’atteggiamento verso la ricerca è in genere positivo ma contraddittorio, anche durante la pandemia abbiamo avuto fasi di giudizio altalenanti, con crisi dovute alla percezione di incertezza che cittadini avvertono dalla pluralità delle voci scientifiche riportate dai media. Questo punto però ci avverte di quanto sia complesso e difficile realizzare una comunicazione della scienza corretta ed efficace.

di Maria Chiara Carrozza