Fratellanza e lavoro

 Fratellanza e lavoro  QUO-219
27 settembre 2021

L’enciclica Fratelli tutti ha anche una dimensione giuslavoristica? Forse sì. Il modo più opportuno per leggere questa enciclica resta ovviamente l’immagine del buon samaritano: «Ogni giorno ci troviamo davanti alla scelta di essere buoni samaritani oppure viandanti indifferenti che passano a distanza» (Fratelli tutti, 69). Alcuni paragrafi segnalano la dimensione giuslavoristica (in particolare 22, 110, 162, 186). Nel paragrafo 22, ragionando di logica di scarto, l’enciclica evidenzia che nei sistemi economici c’è una certa ossessione di ridurre i costi del lavoro. Questa ossessione crea scarto e lo scarto è la persona vittima di questa ossessione. Per noi giuslavoristi ossessione della riduzione del costo del lavoro significa anche “lavoro povero”, ossia lavoro mal retribuito perché non vengono rispettati i minimi contrattuali o il salario minimo legale. Ci sono padri e madri di famiglia che pur lavorando non portano a casa un salario che permette una vita degna e una prospettiva ai propri figli.

I quattro paragrafi evidenziati confermano la dimensione “giuslavoristica” perché spostano il problema di Dio da un ambito ideale a un ambito reale, fatto di relazioni di giustizia e misericordia con persone concrete in contesti concreti. Per incidere sulla realtà non bastano solo buone intenzioni, ma servono tecnica e scienza: «Quando è in gioco il bene degli altri, non bastano le buone intenzioni, ma si tratta di ottenere effettivamente ciò di cui essi e le loro nazioni hanno bisogno per realizzarsi» (185). Il diritto del lavoro, in questa prospettiva, è più che una buona intenzione. È uno degli strumenti scientifici che può orientare i migliori percorsi volti a raggiungere il risultato sociale auspicato. La dimensione giuslavoristica dell’enciclica ha la propria radice nella nozione di “affratellamento”. La domanda centrale dell’enciclica non è «chi è mio fratello?» ma — in modo più corretto — «di chi io mi faccio fratello?» (80). Tale domanda si traduce con il verbo affratellarsi. La decisione di includere o escludere chi è più vulnerabile (anche socialmente) è il criterio ultimo per osservare, giudicare e poi agire nella vita di tutti i giorni come un buon samaritano nonché per valutare ogni progetto economico, politico, sociale e religioso più ampio, in cui, direttamente o indirettamente, siamo coinvolti (Fratelli tutti, 69).

di Michele Faioli