Colloquio con suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità

Dall’inclusione all’appartenenza

 Dall’inclusione all’appartenenza  QUO-216
23 settembre 2021

«We sign for human rights». È il motto scelto dalle Nazioni Unite per celebrare la quarta edizione della Giornata internazionale delle lingue dei segni. Di queste ce n’è una grande varietà: secondo la Federazione mondiale dei sordi (Wfd) sono circa trecento gli idiomi utilizzati da oltre settanta milioni di persone sorde. «Questa massima mi ispira dignità. Per anni si è pensato che l’assistenzialismo fosse l’unica risposta possibile per chi ha una fragilità. Invece, rileggendo la Bibbia si coglie la visione di Dio e di Gesù che è completamente altra». È quanto dice a «L’Osservatore Romano» suor Veronica Amata Donatello, responsabile del Servizio nazionale della Cei per la pastorale delle persone con disabilità e interprete della lingua dei segni. «La frase dell’Onu mi rimanda al versetto biblico “E tu mangerai sempre alla mia tavola”: pensiamo al secondo libro di Samuele in cui Davide invita alla tavola del re uno storpio, figlio di Gionata, Merib-Bàal (2 Samuele, 9, 1-13). La tavola del re è una benedizione sul ragazzo con disabilità ma, nello stesso tempo, la presenza di Merib-Bàal è una benedizione sulla stirpe di Davide. Credo che la Chiesa abbia sempre lavorato sulla dignità. Oggi dobbiamo continuare questo cammino: non solo aiutare, ma rimettere in piedi questi fratelli per far sì che possano scegliere, comunicare i loro desideri, appartenere, essere cittadini».

La lingua dei segni costituisce un fondamento dei diritti umani. Anche se non tutti la utilizzano, in quanto esistono sia i sordi oralisti (leggono il labiale) che i segnanti (leggono i gesti), la sua valorizzazione è un processo decisivo che sta avvenendo adesso. Si pensi che per secoli è stata pensata unicamente per le persone sorde. Oggi la ricerca scientifica ha mostrato che questo idioma è un supporto comunicativo importante per numerose disabilità comunicative, tra cui l’autismo, il mutismo selettivo, la sindrome di Usher, la sindrome di Charge, i sordo-ciechi. Sebbene i sordi segnanti siano coloro che utilizzano maggiormente la lingua dei segni, la sua iconicità facilita l’interazione con l’ambiente di tante altre persone che grazie a essa possono esprimersi più efficacemente. È significativo che Papa Francesco abbia definito le persone più fragili come “esiliati nascosti”. Tra loro il sordo è forse il più invisibile. Di certo la recente canonizzazione di Margherita da Città di Castello, da molti ritenuta la prima santa con disabilità, è una testimonianza importante.

La formazione, perciò, è davvero importante. Da venti anni in Italia si tengono corsi sulla lingua dei segni religiosa, organizzati in collaborazione con le parrocchie, le organizzazioni di non udenti e gli uffici diocesani. Le lezioni rivolte agli operatori pastorali vedono protagonisti i docenti sordi. «La finalità — prosegue suor Donatello — è che le persone imparino ad accogliere il sordo, chi ha una disabilità comunicative e le loro famiglie all’interno del cammino parrocchiale. A volte le richieste provengono da una comunità sorda, ma più spesso da chi opera in ambito pastorale perché si ha bisogno di favorire la comunicazione e l’incontro». Per quanto riguarda la formazione dei sacerdoti, dei religiosi, negli ultimi anni si registra un aumento di richieste di coloro che vogliono apprendere la lingua dei segni: «A loro serve in particolare per il sacramento della confessione, per l’accompagnamento delle coppie, delle persone», dice la religiosa. Tante parrocchie in Italia propongono una messa settimanale o mensile tradotta in Lingua italiana dei segni (Lis). «La partecipazione alla liturgia — sottolinea — diviene così la soglia d’ingresso alla vita cristiana, alla catechesi, ai corsi di annuncio per arrivare a una pastorale ordinaria parrocchiale».

L’azione del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità (Snppd) fa tesoro di questo duplice cambiamento culturale avvenuto fuori e dentro la Chiesa: da una fragilità da guarire lo sguardo sulla sordità si sposta sulla persona nella sua interezza. L’obiettivo è sostenere il suo progetto di vita. A tal proposito, tra i compiti del servizio della Cei c’è proprio lo studio e la proposta di contenuti formativi, di strumenti pastorali e operativi, l’accompagnamento. «La finalità di questa missione è passare dall’inclusione all’appartenenza. Un valore alto per tutti, bello perché ci fa riconoscere fratelli. C’è una frase della Fratelli tutti che mi piace tanto: “Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più gli altri, ma solo un noi” (35). Credo che il nostro cammino e l’imminente cammino sinodale dovrebbero avere anche questo orizzonte, cioè quello di uscire, abbandonando i pregiudizi, da questa logica che esistano gli altri», afferma suor Veronica.

Il progetto «Nessuno Escluso» dà concretezza proprio a questo proposito. Il Dicastero per la comunicazione della Santa Sede ha attivato il servizio nell’aprile 2021 dando seguito all’appello di Papa Francesco. «Il progetto è il culmine di tanti anni di lavoro con le persone sorde. Dai tempi di Giovanni Paolo ii si è cercato di rendere fruibili nella lingua dei segni momenti come la Giornata mondiale della gioventù, i sinodi, il Giubileo, la Settimana santa», spiega la francescana alcantarina. Se durante la pandemia l’obbligo della mascherina rendeva impossibile leggere il labiale, è anche vero che la tecnologia ha permesso di diffondere i contenuti a distanza, aggirando l’ostacolo. «Questo servizio — osserva — ha sensibilizzato molte persone. Ci scrivono da tutto il mondo: diocesi e Conferenze episcopali estere, ma anche scuole e individui che ci chiedono come potere apprendere la lingua dei segni, e che ci ringraziano. Quindi il progetto, nato per soddisfare un bisogno, ha risposto a una necessità più grande da parte di una comunità che sta scoprendo l’importanza di comunicare con tutti».

L’attenzione della Chiesa universale alle persone sorde affonda le radici nei secoli. È nel Settecento, però, che emerse la consapevolezza che la comunicazione gestuale fosse fondamentale per capire la loro condizione e tentare un loro inserimento nella vita sociale. Uno dei precursori è stato l’abate Charles-Michel de l’Épée che avviò gratuitamente i ragazzi sordi all’apprendimento della lingua dei segni, anche per poter leggere la Bibbia. Grazie all’abate Roch-Ambroise Cucurron Sicard, suo successore, alcuni allievi diventarono educatori. In questo modo cominciarono a diffondersi in Europa i primi istituti per sordi. Anche in Italia l’attenzione al mondo della sordità ha una lunga storia, scritta grazie al lavoro di tanti religiosi, ricercatori, sordi. «Negli ultimi vent’anni le persone si sono inserite sempre più nella loro realtà di appartenenza, uscendo dall’invisibilità», ha precisato suor Veronica. L’auspicio è che ciò accada anche nel resto del mondo. Secondo le stime Onu, infatti, circa un miliardo di abitanti del pianeta ha una disabilità e l’80 per cento vive nei Paesi in via di sviluppo. Secondo la religiosa, nell’ambito dell’iniziazione cristiana e nella pastorale scolastica c’è stato e c’è tantissimo lavoro da fare per continuare a dare dignità. Ogni persona, qualsiasi lingua utilizzi per entrare in relazione, è chiamata a diventare protagonista, uscendo dalla logica delle “quote dedicate” e, in virtù del battesimo, a essere parte attiva della comunità cristiana e dei suoi processi decisionali.

di Giordano Contu