La Conferenza di Varsavia

Protezione dei minori nelle Chiese dell’Europa centro-orientale

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21 settembre 2021

Mentre proseguono — per iniziativa della Pontificia Commissione per la tutela dei minori in collaborazione con l’episcopato della Polonia — i lavori della Conferenza internazionale sulla salvaguardia dell’infanzia e degli adulti vulnerabili nell’Europa centro-orientale, il sacerdote gesuita autore dell’articolo che pubblichiamo di seguito spiega la situazione socio-politica e culturale che ha condizionato la risposta della Chiesa in quest’area del vecchio continente. Direttore del Centro per la protezione dell’infanzia presso l’università della Compagnia di Gesù Ignatianum di Cracovia, coordina la medesima attività in seno alla Conferenza episcopale nazionale ed è membro del Comitato organizzatore delle giornate di riflessione nella capitale polacca.

Per presentare la risposta alla sfida degli abusi sessuali da parte delle Chiese nei Paesi dell’Europa centro-orientale che fino a tre decenni fa o facevano parte dell’Unione Sovietica oppure erano governati dai regimi comunisti, devo rifarmi più all’esperienza diretta di contatti che alle letture di testi che affrontano questo argomento. Contatti diretti anche con responsabili di alcune Chiese li ho avuti in diverse occasioni. La prima è stata il servizio di assistente regionale per l’Europa centro-orientale e consigliere di due superiori generali della Compagnia di Gesù che ho svolto dal 2003 al 2012. Questo servizio mi portava frequentemente a visitare i Paesi della regione. A questa esperienza s’aggiunse negli anni 2014-2018 la regolare partecipazione ai work-shop per i rappresentanti degli episcopati latini e greco-cattolici dell’Europa centro-orientale organizzati a Varsavia dall’Ufficio della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti d’America per l’Aiuto alla Chiesa in Europa orientale. Questi incontri offrivano ai vescovi e ai loro collaboratori alcuni strumenti per rispondere alla crisi degli abusi sessuali. Durante questi momenti ho avuto contatti e scambi con i partecipanti provenienti dai Paesi come Albania, Belarus, Croazia, Kosovo, Lituania, Lettonia, Romania, Russia, Ucraina e Ungheria. Queste e altre esperienze, che qui non menziono, dirette in Belarus, Russia, Ucraina e Albania hanno rafforzato la mia convinzione che la Chiesa nell’Europa centro-orientale ha bisogno di particolare attenzione per misurarsi con una crisi che non è iniziata lì, ma che in un mondo globalizzato la investe e la coinvolge. Questo coinvolgimento avviene indipendentemente dal numero dei casi rivelati in quanto in un mondo globalizzato, che lo vogliamo o no, la crisi in altre parti del pianeta mette alla prova la fede della gente dalle nostre parti e minaccia la loro fiducia verso i pastori.

Non è possibile comprendere le reazioni della Chiesa nei Paesi dell’Europa centro-orientale alla crisi legata agli abusi sessuali contro i minori e altre persone vulnerabili commessi dai membri del clero cattolico, senza considerare la situazione socio-politica e culturale dopo che la “rivoluzione d’ottobre” fu esportata o anche importata nelle società già gravemente ferite dalle due guerre mondiali. Le Chiese e comunità cristiane di tutte le denominazioni sono state sottoposte alle repressioni spesso crudeli e alle gravissime limitazioni nei ministeri a loro propri. Dappertutto sono state soppresse le opere educative, le associazioni d’ispirazione cristiana e proibite o limitate le attività di formazione religiosa dei giovani. Tendenzialmente e progressivamente doveva essere eliminato ogni influsso della religione cristiana sui giovani. La cultura promossa con ogni mezzo tra i giovani non era neutrale e in questo senso laica, era semplicemente atea e anticristiana. Contemporaneamente lo stile di vita favorito dai regimi, molto consapevolmente si distanziava dal modello occidentale che in un modo o nell’altro era presentato come edonistico e dissoluto, insomma decadente.

Non si può non notare che una tale politica praticata per decenni influiva fortemente sulla autocomprensione dei cristiani di questa parte dell’Europa, di fronte ai loro fratelli e sorelle nella fede dall’altra parte della cortina di ferro. Specialmente quando i media portavano le brutte notizie sugli scandali nelle Chiese del mondo occidentale, in molti cuori nasceva quel senso di superiorità morale che a sua volta eliminava o almeno indeboliva la percezione dei fattori di rischio di simili misfatti nel proprio ambiente. Le Chiese greco-cattoliche e latine, specialmente quelle uscite dalla clandestinità in Cecoslovacchia o in Romania, nelle ex repubbliche sovietiche come Belarus, Lituania o Ucraina, erano giustamente orgogliose dei loro martiri, dei loro vescovi e sacerdoti, non pochi ordinati in segreto, religiosi e religiose che rischiavano tutto per sostenere la fede degli adulti e trasmetterla ai giovani. Non c’erano né scuole né internati gestiti dai religiosi o religiose. In certe regioni erano i laici, uomini e donne, che gestivano la Chiesa. Gli ordini religiosi erano vietati. Le eccezioni, come le Chiese in Polonia o in Croazia, dove erano aperti seminari e noviziati, confermavano soltanto la regola.

All’interno delle comunità cattoliche vigeva una regola non scritta, ma reale, che “vietava” di criticare la Chiesa. Questa regola imponeva anche il silenzio su eventuali scandali. Dietro a questi atteggiamenti c’era tra l’altro la dolorosa esperienza di sfruttamento degli scandalosi comportamenti dei membri del clero nella prassi di reclutamento di collaboratori segreti degli organi statali di sicurezza. Nelle comunità cattoliche i sacerdoti godevano di grande autorità e il segreto in una società priva di trasparenza e sottoposta alla censura era un meccanismo adottato spontaneamente senza essere decretato da nessuno e non per difendere i preti corrotti, ma per assicurare il minimo di autonomia di una comunità di vitale importanza anche per la futura rinascita della società civile.

Atteggiamenti assunti e praticati come autodifesa nelle società sottoposte alla dittatura hanno creato delle abitudini, anzi, una mentalità che non è sparita con la caduta del comunismo, ma ha le sue conseguenze non solo nelle difficoltà di affrontare con responsabilità e trasparenza la crisi legata agli abusi sessuali a danno dei minori. Una mentalità che costituisce pure un fattore di rischio in quanto fa sentire più sicuri i possibili perpetratori perché protetti dal silenzio del loro ambiente. Questa mentalità che sotto la dittatura ha ricevuto una giustificazione nobilitante, non è altro che il clericalismo indicato da Benedetto xvi e da Papa Francesco. Mentre da un lato l’esclusione o una fortissima limitazione della presenza istituzionale della Chiesa nei vari settori di lavoro con i minori ha quasi escluso specifici luoghi, come scuole e internati in cui potesse materializzarsi l’abuso sessuale da parte degli uomini e donne di Chiesa, dall’altro ha generato o rafforzato fattori di rischio come la protezione dei membri del clero dal controllo di qualsiasi potere, attraverso il segreto praticato anche quando si rendevano responsabili di crimini contro i minori. La diffidenza verso gli organi di potere statale è anche essa un’eredità della dittatura. Nelle condizioni di democrazia essa di fatto protegge i perpetratori in quanto impedisce o rende più difficile la collaborazione nel rapportare e nell’indagare eventuali crimini commessi dai membri del clero. In questa situazione è più facile fare di tutto per difendere l’immagine pubblica della Chiesa che agire con trasparenza.

I Paesi dell’Europa centro-orientale dalla caduta del comunismo attraversano complessi processi di trasformazione che implicano anche lo stile di vita e tutta la sfera di valori morali e sociali riguardanti la sessualità, la famiglia, la politica ecc. Semplificando si potrebbe dire che grosso modo le società dell’Europa centro-orientale, solo a partire dagli inizi degli anni ’90 del secolo scorso sono state investite dai cambiamenti che gli Stati Uniti e in generale l’Occidente ha vissuto negli anni ’60 e ’70. La sessualità sotto i regimi comunisti era un tema tabù. La morale socialista si presentava come progressista, ma il “progresso” in questo tema si limitava a poche cose, di cui l’illimitato accesso all’aborto era probabilmente il segno più emblematico. Negli Stati Uniti il tema degli abusi sessuali a danno di minori cominciò a essere esplorato scientificamente a partire dalla seconda metà degli anni ’70. L’opinione pubblica iniziò a considerarlo lentamente un problema sociale da affrontare complessivamente come un fenomeno percepito sempre più chiaramente come molto serio, che esige un impegno per una prevenzione che va oltre la legge penale. Nei Paesi del blocco comunista i temi intorno ai quali si concentrava l’attenzione della gente erano legati piuttosto alle aspirazioni alla libertà, alla democrazia, al rispetto dei diritti umani del cittadino e del lavoratore. Tra l’Occidente e le società governate dai comunisti si era aperto un divario riguardante le priorità da affrontare. Questo non significa che in Europa centro-orientale i minori non erano abusati sessualmente o non venivano sottoposti a diverse forme di violenza. Non era però un problema discusso pubblicamente né percepito come un problema sociale. Era completamente nascosto. D’altro lato, la violenza era onnipresente, cominciando dalle strutture statali, attraverso le famiglie toccate dalla piaga dell’alcolismo che — come si sa — è uno dei fattori che fa aumentare il rischio degli abusi sessuali a danno dei minori e delle altre persone vulnerabili. In questa situazione non meraviglia che l’abuso sessuale dei minori non venga trattato nelle società e purtroppo anche nelle singole Chiese come un problema prioritario. Anche laddove questo problema è stato avvertito e viene affrontato dalla Chiesa, lo si considera purtroppo come se fosse principalmente un problema tipico per la Chiesa cattolica e non un problema sociale. Sembra che in nessuno dei Paesi dell’Europa centro-orientale gli abusi sessuali dei minori siano considerati come un problema sociale, per cui non ci sono strategie per diversi tipi di prevenzione appoggiate dallo Stato o dalle agenzie specializzate responsabili per la protezione dei minori. La legge penale sembra quasi l’unico riferimento. Per questo motivo la Chiesa che s'impegna a costruire ambienti sicuri e aiuta chi è stato ferito nella delicata sfera della sessualità può diventare una credibile pioniera della tutela dei minori e portavoce dei loro diritti. Questa chance non è ancora persa.

Il cambiamento politico ha dato inizio o ha fatto accelerare un complesso processo di trasformazione. Questo processo, ancora in corso, ha cominciato a confrontare le singole Chiese in modi e in tempi diversi. La crisi causata dagli abusi sessuali ha toccato particolarmente i Paesi a maggioranza cattolica, come si può vedere ad esempio in Polonia. Se non siamo riusciti a imparare dagli errori fatti in altre Chiese, prima che sotto la pressione dei media partisse la valanga delle rivelazioni, dobbiamo almeno darci da fare per imparare dalle buone pratiche che sono state adottate altrove e che stanno portando buoni frutti, facendo diventare la Chiesa un luogo sicuro per i bambini.

È vero che dopo la caduta del comunismo le sfide per le società civili e per le Chiese erano e sono tuttora enormi. Ci dobbiamo misurare con cambiamenti e sfide in tutte le sfere della vita, comprese quelle morali, che avvengono con una velocità molto grande e alle quali non eravamo preparati. Le Chiese della nostra regione che sono uscite dalla clandestinità con le risorse umane molto limitate per quanto riguarda il clero, hanno ricevuto da Chiese vicine e più lontane un aiuto. Qualche volta per queste missioni si sono presentati e — purtroppo — sono stati accettati volontari con problemi di maturità umana, perché non sono state applicate le procedure elaborate in altri continenti per situazioni simili. Sembra che sempre impariamo ancora poco gli uni dagli altri.

Per questo la conferenza di Varsavia potrà essere di grande aiuto per rendere più efficace e sistematico il processo di scambio e di apprendimento.

di Adam Żak