Tra i fedeli e i sacerdoti della diocesi del Papa

Il coraggio di sbagliare e il coraggio di ascoltare

 Il coraggio di sbagliare e il coraggio di ascoltare  QUO-212
18 settembre 2021

“Coraggio”. Se c’è una parola che forse, tra le altre, ha più caratterizzato sin qui il magistero di Papa Francesco, è proprio questa: coraggio. Il coraggio di dire, di denunciare, di cambiare. Di sbagliare e di scusarsi. E anche di perseverare. Anche oggi, in Vaticano, nell’Aula Paolo vi dove erano giunti circa 3.000 fedeli in rappresentanza della diocesi di Roma, la parola “coraggio” volava, per dirla con Bob Dylan, nel vento. Nelle parole e nei pensieri del Papa. E nei sentimenti di chi era venuto ad ascoltarlo arrivando sì dalla stessa città ma da cento realtà diverse, tante sono le facce di una Capitale che in questo senso sa rappresentare l’umanità come pochi altri insediamenti urbani al mondo.

Coraggio è anche la sintesi che del discorso del Papa fa il cardinale vicario Angelo De Donatis: «Anzitutto, il coraggio che ha il Santo Padre nel non scoraggiarsi nel lanciare la sinodalità, nell’insistere sulla mistica del popolo di Dio, il tema dell’essere “insieme”. Le sue parole cadono in un solco già tracciato da quattro anni, quello che ci mostra la bellezza del sentirsi popolo di Dio. La dimensione di cui ci parla, quella del pastore chiamato di volta in volta ad essere davanti, in mezzo, o dietro al gregge, è una dimensione molto vitale: si tratta, aggiungo io, di sapersi sintonizzare con l’intenzione di Dio, che è quella di salvare tutti gli uomini».

In questa epoca difficile, per molti versi inedita nella storia degli uomini, il coraggio, la capacità di non lasciarsi paralizzare dalla paura del cambiamento e dalla crisi è non solo una priorità ma la garanzia stessa della sopravvivenza. Nella vita pratica degli uomini come nella vita della Chiesa. Un incoraggiamento, dunque, è quello che chiedevano i sacerdoti e i fedeli mentre entravano nell’aula Nervi. Come don Emilio Cenani, per esempio, “prete” da 3 anni e mezzo, vice parroco di San Frumenzio, parrocchia del Nuovo Salario: «Non era passato un anno ed è arrivato il covid — racconta — e i miei pensieri sono subito andati alle generazioni passate, che hanno vissuto la guerra, ai partigiani, che hanno saputo mantenere la fede nonostante tutto. Quanto è accaduto e sta accadendo potrebbe essere l’evento più importante, più significativo delle nostre esistenze. Per questo c’è bisogno di coraggio, vorrei che il Papa ci incoraggiasse». Segnali di speranza ci sono, anche perché rispetto a solo un anno fa la situazione è decisamente diversa: «È un inizio d’anno pastorale che comincio con più fiducia rispetto a 12 mesi fa — continua —. Il tema è quello della sinodalità, camminare e lavorare insieme, e per me, devo dire, è un’esperienza quotidiana. Lavoriamo insieme con associazioni di laici, con il Municipio. Sulla scia del cammino diocesano ci focalizziamo su tre grandi punti: giovani, famiglia e fragilità. La fragilità che riguarda i più piccoli, piccoli di età, piccoli di dimensioni, come le famiglie, di risorse, come i poveri».

Come sottolineato da Papa Francesco nel suo discorso, la sinodalità, il camminare insieme, significa anche mettersi in ascolto. Anzitutto di chi ha opinioni diverse. Un suggerimento che nella parrocchia di San Bonaventura a Torre Spaccata hanno già messo in pratica da un anno a questa parte, avviando, grazie all’intuizione del parroco, un “Progetto Rete”. Ne è responsabile Angela Marzuillo, che ha avuto modo di illustrare questa iniziativa a tutti gli intervenuti in Vaticano. La rete unisce la parrocchia, associazioni di volontariato, le autorità municipali. Sono previste riunioni periodiche per parlare e confrontarsi sui problemi del quartiere. La prossima settimana ci sarà anche un incontro con i candidati alle elezioni municipali, che potranno così illustrare i loro programmi ma soprattutto apprendere da chi ha il polso del territorio. «Si parla di tutto, di decoro, di iniziative per i giovani e gli anziani, dei parchi pubblici. E ci confrontiamo con le autorità civili. Alla Chiesa invece — afferma Marzuillo — chiedo più coraggio, il coraggio di uscire, come dice il Papa. Incontro spesso fedeli di altre parrocchie e mi raccontano di realtà chiuse, poco aperte all’esterno».

Uscire significa cogliere situazioni che, per una serie di motivi non sempre confessabili, sfuggono all’opinione pubblica. Una di queste, nella Capitale d’Italia, è per esempio quella dei rom, di cui si parla sempre meno. Debora Foglia, invece, responsabile del centro di ascolto di San Gregorio Magno, parrocchia della Magliana, se ne occupa quotidianamente in quanto la struttura è referente per l’insediamento di via Candoni: «Si stanno chiudendo i campi ma con questo non significa che si stia risolvendo il problema, anzi, le condizioni stanno peggiorando». Alla Magliana, zona con particolari criticità, opera anche il gruppo scout Roma 123, osservatorio privilegiato per cogliere cosa si muove nel mondo sempre misterioso della realtà giovanile. «I ragazzi hanno paura, sono intimoriti dall’incontro fisico, preferiscono quello virtuale, dove si sentono più protetti. Noi cerchiamo nonostante tutto di andare fuori, di vivere il nostro territorio. Quando parliamo con i giovani spesso sbagliamo. Ma è proprio qui che serve coraggio. Sbagliando si impara sempre».

Spesso sbaglia anche chi fa catechismo. Per questo Augusta Dottor, che, oltre a essere catechista è anche membro del consiglio parrocchiale nella Sacra Famiglia al Portuense, mentre si accingeva a partecipare all’incontro con il Papa esprimeva il desiderio di essere incoraggiata, di «avere una spinta per andare avanti» ma anche «suggerimenti per trasmettere la fede nella maniera più giusta. Oggi i ragazzi magari vengono portati dai genitori, che li lasciano da noi e se vanno. E vengono diffidenti, in un territorio dove la questione della povertà è in primo piano insieme con quella dei luoghi di aggregazione. Viviamo la contraddizione del giovane immigrato che pulisce la strada, di giorno, per raccogliere qualche soldo e del giovane romano che di notte consuma non curandosi di lasciare sporca e piena di rifiuti quella stessa strada. Bisogna anche insegnare ai giovani a prendersi le loro responsabilità. Ma per questo servono testimoni credibili».

Una considerazione che sembra dar ragione a padre Giovanni Cerri, rettore delle Sacre Stimmate di San Francesco, a Largo Argentina. «I cristiani sono i primi bisognosi — spiega —. Abbiamo bisogno di tanta grazia. E dobbiamo dare l’esempio di saperla accogliere». L’accoglienza, per Marinella e Giovanni Alessi, sposati, in attesa di una bambina, è una dimensione che si fa di giorno in giorno più concreta, dovendo prepararsi ad accogliere anzitutto una nuova vita. Anche loro hanno bisogno di incoraggiamento: «Siamo qui — racconta Marinella — per portare il nostro abbraccio. Per fargli sentire che Roma è viva, anche se in modo silente. Dobbiamo riprendere il filo della fecondità». «Giovanni Paolo ii ci disse “Non abbiate paura” — ricorda Giovanni —. E anche di darci da fare. Ma per fare questo bisogna essere testimoni credibili».

di Marco Bellizi