I racconti della domenica

Adamo ed Eva e il loro vestito di luce

 Adamo ed Eva  e il loro vestito di luce  QUO-212
18 settembre 2021

Della Bibbia abbiamo il testo ebraico, tradotto da san Girolamo in latino; la versione greca che sant’Agostino difendeva e la versione aramaica chiamata il Targum che viene letta nelle Sinagoghe. Alcune volte una variante provoca la riflessione. Per la scuola del catecumenato la Bibbia con tutte le sue varianti rimaneva il libro fondamentale. Qui ci limitiamo a dare un solo esempio.

La nudità paradisiaca di Adamo ed Eva è stata oggetto di numerosi commenti nel giudaismo e nel cristianesimo. Per Filone di Alessandria essa simboleggiava la nudità dell’intelletto che, come il bambino, non partecipa ancora né al bene né al male. Letteralmente si spiega con il piacevole clima del Paradiso nel quale Adamo ed Eva non soffrivano alcun male (Quaest Gen 1, 30). Il giudaismo pietista, meditando sulla nudità dei progenitori, ha approfondito il tema della veste di gloria. In effetti Adamo ed Eva erano rivestiti nel Paradiso della veste di gloria. Nella Vita di Adamo ed Eva dopo il peccato Adamo rimprovera il serpente: «Perché mi hai alienato la mia gloria?».

Nella versione sinagogale della Bibbia di Gn 2, 25 i protoparenti sono presentati come saggi (in ebraico arum significa nudo e saggio) e rivestiti di gloria. Ma non rimasero a lungo nella loro gloria. In Gn 3, 7 l’autore del Targum aggiunge: «I loro occhi si illuminarono e conobbero che erano nudi, perché erano stati denudati della veste di splendore con la quale erano stati creati». In Gn 3, 21 la versione aramaica del Targum Neofiti aggiunge: «Dio fece per Adamo e la sua moglie degli indumenti con la pelle del serpente che egli aveva tolto per metterla sulla pelle del loro corpo, e li rivestì». È probabile che il Targum giochi sull’assonanza tra “abiti di pelle” (‘wr) et “abiti di luce” (’wr).

Il vestito di luce significa che Adamo ed Eva avevano la vocazione di essere trasparenti l’uno all’altro. Questa limpidezza doveva diventare fonte di gioia e di luce. Dopo il peccato persero questo vestito di luce che si trasformò in pelle. Adamo ed Eva conobbero la sensualità, la volontà di dominare l’uno sull’altro e di gioire l’uno dell’altro. Il loro itinerario spirituale consisterà nel ritrovare la luce partendo dalla sensualità. Adamo conoscerà una tensione interiore. Dovrà partire dall’eros per raggiungere l’agapê: questa è la sua vocazione impegnativa. Però la sua lotta sarà illuminata dalla speranza messianica. Il tema della gloria di Adamo è noto in Sira 45, 8 e 49, 16 e l’espressione «tutta la gloria di Adamo» è presente a Qumran. Il Midrash Pesiqta de Rav Kahana, basandosi su Is 61, 10 (“Come uno sposo che si cinge il diadema”) afferma che le vesti di gloria di Adamo saranno date al Messia che splenderà da un capo all’altro del mondo. Il Messia sarà l’Adamo nuovo. Non è inverosimile che la scena della Trasfigurazione di Gesù che sottolinea lo splendore dei suoi abiti faccia appello indirettamente a questa tradizione e presenti così una prova della sua messianicità. Mosè che è presente alla scena fu il primo a fare l’esperienza della trasfigurazione: il suo volto era raggiante, afferma il libro dell’Esodo 34, 35. Salito sulla montagna era rimasto a parlare con Dio quaranta giorni e quaranta notti. La preghiera autentica rende possibile la trasfigurazione. Trasforma la pelle in luce. Accanto a Mosè appare Elia, il profeta che era fuggito dal monte Carmelo all’Oreb dopo aver ucciso i falsi profeti di Baal. La traversata del deserto fu per lui una esperienza faticosa. Arrivato all’Oreb entrò in una grotta. Dio non si manifestò né nell’uragano né nel terremoto, ma nella voce del silenzio. Il silenzio è lode a Dio, dice il Salmo 64. Entrare in sé, ascoltare la voce del silenzio è un modo di prepararsi alla trasfigurazione della luce. Quando la preghiera diventa silenziosa non ha bisogno di parole. Nel silenzio la luce di Dio può trasformare e guarire le ferite più intime.

Nella parabola dell’invitato alle nozze l’uomo che entra senza l’abito nuziale è il simbolo di chi viene nella comunità dei figli della luce chiamati a rivestire Cristo, l’uomo nuovo, senza accettare il dinamismo di cambiamento. Il battezzato è chiamato ad essere figlio della luce nel quotidiano.

Paolo inviterà i cristiani a rivestire il Cristo (Ef 4, 24) nel loro battesimo dopo aver deposto il male. Ai cristiani che mangiavano il pane azzimo a Pasqua Paolo ricordava che dovevano mangiare gli azzimi di sincerità e verità. Il fermento che fa gonfiare la pasta è simbolo di orgoglio che fa sì che l’uomo si gonfi e si consideri più importante di quello che è. Il mistero pasquale introduce nella trasfigurazione e permette all’uomo di ritrovare la sua vocazione di essere figlio della luce dopo aver abbandonato le tenebre del peccato.

Nella tradizione giovannea la gloria è un potere salvifico che si rivela attraverso i “segni” di Gesù, ma soprattutto nella sua morte e nella sua risurrezione. Nel Prologo del Vangelo essa è associata alla luce che significa la rivelazione del Padre in Gesù.

Le Odi di Salomone, una raccolta di testi battesimali di origine giudeo-cristiana, sfruttano il parallelismo tra veste e luce. Nell’Ode 11, 11 si legge: «Il Signore mi rinnovò nella sua veste e mi avvolse nella sua luce». L’Ode 21 sviluppa il simbolismo battesimale delle tenebre-luce e dei paramenti: «Mi sono tolta l’oscurità e ho rivestito la luce».

Sant’Efrem attribuisce una grande importanza al tema delle vesti di luce. Nel suo commentario della Genesi ripete cinque volte che Adamo ed Eva erano rivestiti di gloria. Gn 2, 25 viene commentato: «Non provavano vergogna a causa della gloria che li rivestiva».

La trasparenza di Adamo e di Eva ha una dimensione personale, ma anche sociale e addirittura politica. Tutti ricordiamo il motto di Gorbachev: ritrovare la glasnost, la “trasparenza”. L’uomo è un animale politico, affermava Aristotele. Lo scopo della politica è quello di orientare i cittadini verso una vita riuscita, formando e indirizzando tramite l’educazione le loro passioni e la loro percezione per discernere ciò che è bene da ciò che è male, le tenebre dalla luce.

di Frederic Manns