Soli Deo gloria

11 settembre 2021

Nel discorso rivolto ai membri del capitolo generale dei claretiani, ricevuti in udienza il 9 settembre, Papa Francesco ha fatto riferimento al saggio «Meditazione sulla Chiesa» di Henri de Lubac. Riportiamo, qui di seguito, dall’edizione Jaca Book del 1978 il brano di cui ha parlato il Pontefice.

«Oh, se tu squarciassi i cieli e scendessi!».

Il Verbo di Dio ha squarciato i cieli. Egli è disceso nel seno di una Vergine, ed una Vergine lo custodisce ancora nel suo seno. Questo Tabernacolo di Dio in mezzo agli uomini, oggi, è la Chiesa.

Ave, Sion, in qua Deus
Habitavit, homo factus!

Ammiriamo questo grande mistero! Il Figlio di Dio, in tutta la sua integrità, è sceso dal cuore del Padre nel seno di Maria, e dal seno di Maria nel grembo della Chiesa. Quale è nel Padre, tale è nella Vergine; e come è nella Vergine, così è nell’unità della Chiesa... Così i cieli stillarono la misericordia; così il Verbo di Dio ci venne donato; così è diffuso dappertutto, tutto intero, Colui senza il Quale nulla esiste... Lui, nostro Dio, nostro Re, è sostanzialmente racchiuso nel seno d’una vergine, perché «egli ha operato la salvezza sulla terra», questa terra di cui è scritto che non vi era nessuno che se ne occupasse (Sal 73, Gn 2). Ed è anche nella Chiesa, secondo quanto dice il salmista (Sal 43): «L’Altissimo ha santificato il suo Tabernacolo; se Egli sta con Lui, non rovinerà».

Haec est arca continens
manna delicatum,
Haec sancii sacrarium
Spiritus sacratum !

Non la conoscono né i popoli che non hanno inteso la Parola, né coloro che l’hanno respinta, né gli increduli, né i mondani, né i politici, né gli specialisti della sociologia, né i mistici solitari. E non la conosciamo neppure noi che siamo suoi figli, noi che parliamo, anzi, in suo nome. Nel mondo noi ci imbattiamo ovunque nella incomprensione del suo mistero. Non avremo mai finito di dissipare gli equivoci che la velano e di farne intravvedere un raggio. Eppure dobbiamo costantemente correggere le concezioni che la carne ed il sangue ci suggeriscono a suo riguardo. Non basta cercare di approfondirne la conoscenza. Nella nostra stessa fedeltà e nel nostro amore, nel nostro zelo per difendere la Chiesa o per estenderla, si impone un incessante sforzo di purificazione.

Nulla ci potrebbe aiutare meglio che il contemplare la Madonna.

Nell’ora solenne in cui proclamava il suo trionfo, consacrando lo slancio di una pietà popolare che ingenerava sospetto in alcuni zelatori dell’Altissimo, il Sommo Pontefice affermava: «La definizione dell’Assunzione porterà un grande beneficio all’umanità, perché l’orienterà verso la gloria della Santissima Trinità».

Soli Deo gloria. Tutto in Maria lo proclama. La sua santità è tutta teologale. È la perfezione della fede, della speranza e della carità. È la perfetta realizzazione «della religione dei Poveri». L’ancella del Signore si annienta davanti a Colui che ha guardato alla sua umiltà. Ammira la sua potenza. Esalta la sua misericordia e la sua fedeltà. Esulta in Lui solo. Essa è la Sua gloria. Tutta la sua funzione materna verso di noi consiste nel condurci a Lui.

Così è Maria, così è anche la Chiesa madre nostra: la perfetta adoratrice. Questo è il vertice più alto dell’analogia tra l’una e l’altra. In ambedue opera il medesimo Spirito. Ma, mentre in Maria questa umile ed alta perfezione brilla di purissimo splendore, in noi, che siamo ancora appena sfiorati da questo Spirito, essa stenta ad emergere. La Chiesa, materna, non ha mai finito di generarci alla vita dello Spirito. E il pericolo più grande per la Chiesa che noi siamo, la tentazione più perfida, quella che sempre rinasce, insidiosamente, allorché tutte le altre sono vinte, alimentata anzi da queste stesse vittorie, è quella che Dom Vonier chiamava «mondanità spirituale». Con questo noi intendiamo, diceva, «un atteggiamento che si presenta praticamente come un distacco dall’altra mondanità, ma il cui ideale morale, nonché spirituale, non è la gloria del Signore bensì l’uomo e la sua perfezione. Un atteggiamento radicalmente antropocentrico: ecco la mondanità dello spirito. Esso diverrebbe imperdonabile nel caso — supponiamolo possibile — di un uomo che sia dotato di tutte le perfezioni spirituali, ma che non le riferisca a Dio».

Se questa mondanità spirituale dovesse invadere la Chiesa e lavorare a corromperla intaccando il suo principio stesso, sarebbe infinitamente più disastrosa di ogni mondanità semplicemente morale. Peggio ancora di quella lebbra infame che, in certi momenti della storia, sfigurò così crudelmente la Sposa diletta, quando la religione pareva introdurre lo scandalo nel «santuario stesso e, rappresentata da un papa indegno, nascondeva sotto pietre preziose, sotto belletti ed orpelli, il volto di Gesù».

Nessuno di noi è totalmente immune da questo male. Un umanesimo sottile, avversario del Dio Vivente, e sotto sotto non meno nemico dell’uomo, può insinuarsi in noi attraverso mille vie tortuose. La curvitas originale non è mai in noi definitivamente raddrizzata. Il «peccato contro lo Spirito» è sempre possibile.

Per fortuna, nessuno di noi si identifica con la Chiesa. Nessun nostro tradimento può consegnare al nemico la Città che il Signore stesso custodisce. «Il Magnificat non è stato detto una sola volta nel giardino di Ebron: è stato messo per tutti i secoli sulle labbra della Chiesa», dove conserva tutta la sua forza. Di età in età la Chiesa, come la Vergine Maria, magnifica il Signore, «portando nelle nostre tenebre la luce della Divinità». L’idea di lode divina è sempre associata al suo nome. A dispetto delle nostre resistenze, lo Spirito di Cristo non cessa di animarla, perché essa è in verità il Corpo di Cristo. È la Casa di Dio costruita sulla sommità dei monti, al di sopra di tutte le colline; ad essa affluiranno tutte le nazioni e diranno: «Gloria a Te, Signore!».

Anche oggi, nonostante tutte le nostre, opacità, essa è, come la Vergine, il Sacramento di Gesù Cristo. Nessuna nostra infedeltà può impedirle di essere «la Chiesa di Dio», «l’ancella del Signore». Essa inaugura nel tempo la grande Liturgia eterna. A tutti, con la sua voce possente che nulla riuscirà a soffocare, essa rivolge il grande invito liberatore:

Venite, o popoli, adoriamo la Divinità in Tre Persone: il Padre nel Figlio e con lo Spirito Santo. Perché il Padre, da tutta l’eternità, genera un Verbo co-eterno e con-regnante, e lo Spirito Santo è nel Padre, glorificato con il Figlio, potenza unica, unica sostanza, unica divinità. È questa che noi adoriamo dicendo: Santo Iddio, che hai tutto creato per mezzo del Figlio con il concorso dello Spirito Santo; Santo Forte, per il quale noi abbiamo conosciuto il Padre e per il quale lo Spirito Santo è venuto nel mondo; Santo Immortale, Spirito Consolatore, che procedi dal Padre e riposi nel Figlio: Trinità Santa, gloria a Te!

ipsi gloria in ecclesia
amen


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Anscar Vonier e Auguste Valensin


Nelle ultime pagine del saggio Meditazioni sulla Chiesa, Henri de Lubac parla della mondanità spirituale citando a sua volta altri due saggi: Lo Spirito e la sposa  del benedettino Anscar Vonier e Il sorriso di Leonardo  del gesuita Auguste Valensin.

In quest’ultimo testo Valensin si riferisce al clima morale del tempo e in particolare all’interno della Chiesa cattolica e parla di una «religione  che, accanto a mirabili esempi di virtù e di pietà, installava poi lo scandalo nel santuario stesso e, rappresentata da un papa libertino, nascondeva il volto di Gesù Cristo sotto gioielli, sotto trucchi e sotto mosche».

La riflessione sulla mondanità spirituale è il tema della pagina di dom Vonier che qui riportiamo: 

«Consideriamo ora l’atteggiamento della Chiesa, collocata in mezzo al mondo, con tutti i suoi valori spirituali. Essa deve all’azione dei sette doni, se in tutte le cose sa piacere a Dio, piuttosto che agli uomini. Se fosse rimasta al semplice livello di perfetta società etica, coll’unico obbiettivo di favorire la prosperità temporale, oppure una onestà di vita puramente naturale, la Chiesa sarebbe, non meno che Lucifero, caduta in apostasia: avrebbe rinnegato lo Spirito, rifiutando di seguirlo dove esso voleva condurla, sarebbe piaciuta agli uomini invece che a Cristo, e avrebbe raccolto come ultima ricompensa gli applausi del mondo. Ma la Chiesa è sfuggita a una così grande catastrofe, malgrado tutti i pericoli che hanno intralciato il suo cammino.

Certo, questo pericolo di “mondanità” è sempre presente. Quando noi ne parliamo come di una grave insidia, intendiamo riferirci a qualcosa di più sottile di quanto solitamente si esprime con quel termine. Per “mondanità” nella vita della Chiesa, si intende comunemente quell’amore delle ricchezze e dei piaceri che si trova talvolta negli alti dignitari ecclesiastici: un male sicuramente, ma certo non il più grave. La mondanità spirituale, quando dovesse impadronirsi della Chiesa, sarebbe ben più disastrosa. Per essa noi intendiamo quell’atteggiamento che, in pratica, si presenta come opposto all’altra mondanità, ma il cui ideale morale, diremo meglio spirituale, sarebbe, invece che la gloria del Signore, il vantaggio dell’uomo. Un atteggiamento radicalmente antropocentrico; ecco la mondanità dello spirito. Essa potrebbe divenire una colpa addirittura irremissibile nel caso, meramente ipotetico, di un uomo dotato di tutte le perfezioni spirituali, ma che non le volesse riferire a Dio. Orbene, da questo male, lo Spirito salva la Chiesa mediante i suoi sette doni. Noi definiamo appunto questi doni non semplicemente morali, ma sopra-morali, perché creano nella Chiesa e nelle anime attitudini che non possono essere annoverate in alcun sistema etico».