Sulle sfide della vita consacrata
Dopo il discorso del Papa ai capitolari claretiani

Adoratori e testimoni

11 settembre 2021

Non è la prima volta che Francesco incontra i claretiani riuniti in capitolo generale. Già dai tempi di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio ha mantenuto legami di affetto e di amicizia con un buon numero di claretiani, e questo affetto si fa sentire nella sua presenza. C’è una sintonia vitale che viene, soprattutto, da quello spirito missionario e semplice che condividiamo e che — tra luci e ombre — continua a farci vibrare e a plasmare la nostra vita. Questa sintonia nasce anche dalla consacrazione religiosa che condividiamo. Francesco non ci parla “per sentito dire”, ma dall’interno, con affetto e stima, sapendo bene cosa vuole dirci.

Come è tipico del suo ministero episcopale, Francesco si mostra a noi come un padre saggio, un fratello che ci conosce e un amico intimo. Ci sprona con parole semplici e dirette. Con chiarezza e fermezza. Ci offre parole di incoraggiamento e, allo stesso tempo, molto esigenti. Non fanno male a nessuno. Vanno al cuore della questione. Per questo le accogliamo volentieri, come ciò che sono: avvertimenti da parte di qualcuno che ci ama, affinché possiamo camminare meglio. Come minimo, serviranno come bussola per guidare la nostra vita missionaria. Con timore e tremore, Francesco ci ha parlato — così ha detto — con l’intenzione di «aiutare».

Quindi, prima le cose importanti. Francesco è stato molto insistente nel porre la nostra attenzione sulla necessità di vivere sempre uniti a Gesù nella preghiera e nella contemplazione. «Senza preghiera — ci ha detto — non va bene». L’avvertimento è chiaro: se la missione deve essere fruttuosa, non possiamo mai separare la missione da una vita di intimità con il Signore. Solo gli adoratori possono essere testimoni. Adoratori e testimoni: «due dimensioni — ha insistito — che non possono esistere l’una senza l’altra». Con allusioni e riferimenti carismatici al nostro padre fondatore, Francesco ci ricorda che la missione nasce proprio da quel primo fuoco di amore divino — come diceva Claret — che fa ardere di carità il missionario. Da lì nasce tutto il resto.

Una vita di contemplazione e di intimità con Cristo ci porta anche a riconoscere la nostra fragilità e, a partire da essa, a permettere alla forza di Dio di manifestarsi. Deboli, sì, ma sappiamo e confidiamo in Colui che è la nostra vera forza. «Che Egli sia la vostra unica sicurezza». Un invito a camminare senza paura, confidando in Lui.

Le sue radici spirituali ignaziane appaiono nelle sue parole, che sottolineano la necessità costante di stare in guardia in battaglia come buoni soldati. «Abbiate paura di cadere nella schizofrenia spirituale, nella mondanità spirituale». È una battaglia che dobbiamo condurre contro quelle forze che vogliono invaderci e trasformarci dal di dentro. «Non potete convivere con lo spirito del mondo e pretendere di servire il Signore», ci ha avvertito con forza. «Usate [il Vangelo] come un vademecum, lasciandovi orientare ogni momento dalle opzioni del Vangelo». Sono parole che fanno riflettere e che ci chiamano sempre verso quel di più (magis) che è sempre possibile in ogni vita che vuole crescere.

L’audacia della missione sta proprio lì, nel mantenere vivo quel centro che è Gesù e il Vangelo. La missione audace ha bisogno di missionari che non siano stanziali: «anziani che resistano all’invecchiamento della vita e giovani che resistano all’invecchiamento dell’anima». Quella connessione vitale e intima con il Signore ci farà andare incontro alle persone con lo stile di Dio. Uno stile che ci parla sempre di «prossimità, compassione e tenerezza», ha ricordato Francesco.

La vicinanza alla realtà, la vita missionaria incarnata e impegnata, è anche una sottolineatura abituale di Papa Francesco quando parla di missione. Il Papa ha molto radicata nella sua mente quell’espressione del vescovo martire argentino Angelelli: «Bisogna avere un orecchio per il Vangelo e un altro per il popolo». Per questo ci ha invitato con forza a non accontentarci di osservare con curiosità la realtà da lontano. «Possiamo guardare dalla finestra davanti alla realtà o impegnarci per cambiarla. Bisogna scegliere». «Lasciatevi toccare dalla Parola di Dio e dai segni dei tempi, e alla luce della Parola e dei segni dei tempi rileggete la vostra storia, rileggete il vostro carisma».

In Francesco pulsa il noto principio conciliare che ci invita al rinnovamento della vita religiosa, che «comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni forma di vita cristiana e alla primitiva ispirazione degli istituti, e nello stesso tempo l’adattamento degli istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi»  (Perfectae caritatis, 2). Questo, ci ha detto Francesco, «farà della vostra vita una vita con profezia che renderà anche possibile risvegliare e illuminare la gente». Questo è essere all’altezza dei tempi di oggi, questo ci renderà veramente audaci e coraggiosi.

E come una luce che illumina tutto, Francesco ha fatto riferimento al necessario senso dell’umorismo. Un invito a non farlo mancare nella nostra vita e nelle nostre comunità, perché «il senso dell’umorismo è una grazia della gioia — ci ha detto — e la gioia è una dimensione della santità».

Francesco ci ha parlato di nuovo, e non in modo compiacente, ma come Pietro che conferma i suoi fratelli nella fede e li invita con i suoi buoni consigli ad affrontare il futuro. Un futuro che ha sempre la sua speranza e il suo fondamento in Dio. In Lui è, insomma, l’origine della nostra missione e la nostra speranza più convinta e audace.

*L’autore, religioso claretiano
e direttore della casa editrice «Publicaciones Claretianas» (Madrid), ha scritto il libro-intervista con Papa Francesco «La forza della vocazione. La vita consacrata oggi» (2018)

di Fernando Prado Ayuso*