Per imparare a discernere l’azione di Dio

La fede del popolo

07 settembre 2021

Pubblichiamo ampi stralci di un articolo uscito sull’ultimo quaderno de «La Civiltà Cattolica» .

La religiosità popolare è una realtà che non lascia quasi mai indifferenti. Per alcuni, è una grande opportunità per la Chiesa, nonché uno dei suoi segni di vitalità in questi tempi, che mostra come il desiderio di Dio sia presente nella nostra società. Per altri, al contrario, essa manifesta la chiara decadenza di una Chiesa che, non riuscendo più a trasmettere la verità profonda del Vangelo, genera surrogati che allontanano le persone dal messaggio di Gesù Cristo, portandole alla superstizione, all’eterodossia e alla superficialità. Comunque sia, la religiosità popolare nel mondo cattolico muove folle, sia nella vecchia e secolarizzata Europa sia in America latina e in altri continenti, costituendo uno dei più forti “megafoni” su cui la Chiesa può contare in questo momento. Si tratta di un particolare “atrio dei gentili”, un “luogo teologico” da cui affrontare la nuova evangelizzazione, un muro solido o un’arma contro la secolarizzazione o, semplicemente, una comunità dove vivere e diffondere la fede. Ma, al tempo stesso, essa rischia di trasformarsi in un pericolo, che può indebolire il corpo ecclesiale o a volte anche attaccarlo direttamente. Va anche osservato che né la denominazione della religiosità popolare è del tutto chiara, né la sua definizione è univoca, e ciò dà luogo a difficoltà e a malintesi che incidono sul nostro modo di accostarci a essa.

Quanto alla denominazione, ci imbattiamo in primo luogo nel fatto che, in relazione al termine “religiosità”, emergono non poche perplessità, perché vi si percepisce un significato peggiorativo. Come se esistesse una “religione” ufficiale, che sarebbe una via seria e vera di accesso al Dio di Gesù Cristo, e poi un surrogato o un premio di consolazione, che sarebbe tale “religiosità”, valida per certi versi, ma insufficiente per altri. Di fronte a questa realtà, non sono mancate proposte di nuove denominazioni, ma nessuna di esse è riuscita a prevalere e a imporsi. Così Paolo vi decise di chiamarla “pietà popolare”, allo scopo di superare l’interpretazione negativa che ne veniva data, mettendone in rilievo le potenzialità (Evangelii nuntiandi, n. 48).

Più recentemente, altri teologi hanno proposto varie qualifiche e accenti. Jorge Seibold parla della “mistica popolare” come di una realtà interiore della “pietà popolare”. Víctor Codina usa l’espressione provocatoria «la religione del popolo», che può dar luogo a equivoci, inducendo forse a pensare che si tratti di un credo diverso da quello della Chiesa. Come si vede, si tratta di un concetto difficile, nel quale entrano in gioco non tanto le parole quanto il significato e il peso che hanno su di esse le dimensioni e le pratiche della religiosità popolare. Per questo, a nostro avviso, forse il modo migliore per riferirsi a tale realtà è quello di continuare a usare questa espressione, purché si sappia che con essa non ci riferiamo a una realtà di seconda categoria, ma alla fede del popolo, che non è diversa da quella del «santo popolo fedele di Dio», di cui parla Papa Francesco. Quando negli ultimi anni questa è andata acquisendo una certa considerazione nella vita della Chiesa, abbiamo scoperto che, in ambito europeo, mancava un’impalcatura teologica e pastorale in cui inquadrarla. E così molti studiosi, soprattutto dopo l’Evangelii gaudium, hanno cercato di trovarla nei documenti del Celam e nella cosiddetta “teologia del popolo” argentina, soprattutto negli scritti di Juan Carlos Scannone, Jorge Seibold e Carlos María Galli. Tuttavia, siamo in molti a pensare che tali ispirazioni non siano sufficienti, se vogliamo cercare di affrontare, comprendere, apprezzare e integrare sotto il profilo ecclesiale la fede del popolo europeo.

Prima di iniziare a proporre quelle che, a nostro avviso, sono alcune delle linee definitorie del contesto che caratterizza la religiosità popolare dei nostri Paesi, vorremmo ricordare che la nostra esperienza delle manifestazioni della fede del popolo è segnata dall’ambiente in cui noi stessi le abbiamo conosciute e vissute. In concreto, quello spagnolo. La prima di queste linee contestuali è strettamente collegata a ciò che abbiamo detto prima, ed è il fatto che la nostra religiosità popolare negli ultimi anni ha sperimentato un avvicinamento a gran parte della gerarchia ecclesiastica. Sebbene avesse sempre avuto una relazione complessa con il clero, negli anni post-conciliari tale relazione aveva conosciuto un reciproco allontanamento. Resta sorprendente che, mentre la secolarizzazione provocava una diminuzione della presenza dei fedeli e della loro adesione alla Chiesa, la religiosità popolare conosceva una crescita considerevole e inattesa. Ciò ha fatto sì che in un primo momento la Chiesa si volgesse verso di essa con un atteggiamento a volte più interessato (per trovare in essa i giovani che non trovava altrove) e altre volte più profondo (per riscoprire una realtà interpellante, intuendo che lo Spirito agiva in essa). È cominciato così quello che alcuni chiamano il “cammino sinodale”, in cui Chiesa e religiosità popolare sono tornate a incontrarsi e a camminare assieme.

Giungiamo così alla seconda linea contestuale, ovvero la sfida che la religiosità popolare pone alla Chiesa. È una sfida, perché questa realtà è stata una delle mediazioni grazie alle quali negli ultimi anni la Chiesa è riuscita a raggiungere “i lontani”, Ma in questo caso l’elemento singolare e inatteso è che non è stata l’istituzione ecclesiale a uscire verso la società per cercare “i lontani” bensì sono stati “i lontani” che, attraverso la religiosità popolare, hanno bussato alle porte della Chiesa, ponendole spesso interrogativi scomodi già con la loro semplice presenza. Questa presenza dei lontani e questa sfida interpellano la Chiesa europea in una maniera profonda e significativa, soprattutto per le implicazioni che comportano. La terza linea contestuale è il carattere paradossale della religiosità popolare. Infatti, dietro le sue forme arcaiche in molti casi essa nasconde un desiderio di rinnovamento simile a quello di altri movimenti religiosi.

La quarta linea contestuale è il carattere ambiguo della religiosità popolare. Nella religiosità popolare tale ambiguità si può mostrare in una maniera molto più evidente che in altri ambiti. In altre parole, in questa forma di religiosità ci si rende conto che alcune persone non sono interessate all’aspetto del servizio, ma piuttosto inseguono la propria affermazione e sono animate dalla ricerca del potere. Proprio perché dobbiamo accostarci a essa «con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare» (Evangelii gaidium, 125), dobbiamo imparare a discernere dov’è, all’interno di tale ambiguità, l’azione di Dio nella fede del popolo, per distinguerla da quel «cristianesimo fatto di devozioni, proprio di un modo individuale e sentimentale di vivere la fede, che in realtà non corrisponde ad un’autentica “pietà popolare”» (Evangelii gaudium, 70). La quinta linea contestuale a cui facciamo riferimento riguarda il fatto che, nonostante tutti i loro pericoli, queste manifestazioni della fede del popolo sono un «luogo teologico a cui dobbiamo prestare attenzione, soprattutto quando pensiamo alla nuova evangelizzazione» (Evangelii gaudium, 126). I buoni frutti della religiosità popolare ci fanno riconoscere in essa l’azione dello Spirito Santo, ma anche un appello a collaborare con Lui nella sua opera.

di Daniel Cuesta Gómez