Sono solo un peccatore che cerca di fare il bene

 Sono solo un peccatore che cerca di fare il bene  QUO-198
02 settembre 2021

Pubblichiamo la seconda parte del testo tradotto in italiano dell’intervista rilasciata da Papa Francesco lo scorso fine settimana a Carlos Herrera, di Radio Cope, e trasmessa dall’emittente spagnola ieri mattina, 1° settembre.

Santità, mi ha colpito molto una cosa che ha raccontato, quando diversi anni fa per strada a Buenos Aires dei genitori hanno gridato al figlio di non avvicinarsi a lei perché era vestito da prete e poteva essere un pederasta.

Proprio così.

Sembra che ci siano ancora dubbi su tutti i sacerdoti che durante questa pandemia, per esempio, hanno dimostrato di mettercela tutta per aiutare gli ultimi. I vescovi di tutti i Paesi stanno facendo quello che ha chiesto loro quando li ha convocati a Roma affinché non ci siano più pederasti tra le loro fila?

Prima di rispondere alla sua domanda voglio rendere omaggio a un uomo che ha iniziato a parlare di questo con coraggio, anche se era una spina nel fianco nell’organizzazione, molto prima che si costituisse la commissione su questo tema, che è il cardinale O’Malley. È toccato a lui risolvere la questione a Boston e non è stato per niente facile. Sono stati compiuti passi molto chiari su questo punto, non le pare? La Commissione per la Tutela dei Minori, che è stata voluta dal cardinale O’Malley, oggi sta funzionando e ora devo rinnovare la metà dei membri perché così avviene ogni tre anni. Gente di grande valore di Paesi diversi con problemi di questo tipo. E credo che stiano operando bene. Credo che siano fondamentali in questo, da un lato le statistiche che ho dato ai giornalisti nell’incontro dei presidenti delle Conferenze Episcopali, e dall’altro il discorso finale che ho pronunciato al termine della messa di quell’incontro. Qualcuno ha detto: “in fin dei conti il Papa ha detto che è un problema di tutti, ha dato la colpa al diavolo e se ne è lavato le mani”. È stato questo il commento di un media. Che ho dato la colpa al diavolo sì. Come incitatore di tutto ciò. Ma gliel’ho data quando si è parlato di pedopornografia. Ho detto che abusare di un bambino per filmare un atto pedopornografico è demoniaco. Non si spiega senza la presenza del demonio. Questo sì l’ho detto. Lì, in quel discorso ho sottolineato un po’ tutto, insieme alle statistiche. Credo che le cose si stiano facendo bene. Di fatto, si sta progredendo e ogni volta si progredisce di più. È un problema mondiale e grave. E a volte mi domando come certi governi permettano la produzione di pedopornografia. Che non dicano di non sapere! Oggi con i servizi d’intelligence si sa tutto. Un Governo sa chi nel suo paese produce pedopornografia. Per me questa è una delle cose più mostruose che ho visto.

Tempo fa ha confessato, Santità, che fino a pochi anni fa le tematiche ecologiche non le interessavano affatto. Ora è cambiato, perché è uno dei leader mondiali che parla di più della questione, degli abusi commessi contro la Terra. L’opzione ecologica le ha procurato nemici? Sarà a Glasgow per la Cop26? Sono due domande in una.

Racconto la storia. [La v Conferenza Generale del Celam ad] Aparecida, penso che fu nel 2007, se non erro. Mi confondo un po’ con le date. Ad Aparecida sentii i vescovi brasiliani parlare di conservare la natura, del problema ecologico, dell’Amazzonia... Insistevano, insistevano, insistevano, e io mi domandavo che cosa quello avesse a che vedere con l’evangelizzazione. Ascoltavo. Non avevo la più pallida idea. Sto parlando del 2007. La cosa mi colpì. Quando tornai a Buenos Aires iniziai a interessarmi e pian piano capii qualcosa. Sono un convertito in questo. E lì capii di più. E in qualche modo mi resi conto che dovevo fare qualcosa e mi venne l’idea di scrivere qualcosa come magistero perché la Chiesa dinanzi a tutto ciò... così come me, era, come si dice in Argentina, un salame che non capiva nulla della questione; c’è tanta gente di buona volontà che non capisce…. Allora decisi di fare alcune catechesi sul tema. Convocai un gruppo di scienziati che mi esposero i problemi reali, non le ipotesi, la realtà. Mi fecero un bel catalogo e a ragione. Lo passai a teologi che rifletterono sul tema. E così è nata Laudato si’.

Racconto un bell’aneddoto: quando andai a Strasburgo, il presidente Hollande mandò ad accogliermi e ad accomiatarsi da me il ministro dell’Ambiente che in quel momento era la signora Ségolène Royal. Nella conversazione che ebbi con lei mi disse: “è vero che sta scrivendo qualcosa?”. Il ministro dell’Ambiente sapeva. Ed io le risposi: “Sì, è vero”. “Per favore lo pubblichi prima [del vertice] di Parigi perché abbiamo bisogno di sostegno”. Tornai da Strasburgo e accelerai la scrittura. Ed uscì prima dell’incontro di Parigi. E l’incontro di Parigi per me è stato il summum nella presa di coscienza a livello mondiale. Dopo che è successo? È intervenuta la paura. E pian piano, negli incontri successivi, sono stati fatti passi indietro. Spero che Glasgow alzi un po’ la mira e ci metta più in riga.

Ma lei ci sarà, Santità?

Sì, in linea di principio il programma è che io vada. Tutto dipende da come mi sentirò in quel momento. Ma, di fatto, si sta già preparando il mio discorso e il programma è di esserci.

Parliamo della Cina, se è d’accordo Santità.... Tra le sue fila quanti insistono sul fatto che non si dovrebbe rinnovare l’accordo che il Vaticano ha sottoscritto con questo Paese mettono in pericolo la sua autorità morale. Ha la sensazione che ci sia molta gente che vuole tracciare la strada al Papa?

Anche a me quando ero un semplice laico e un prete piaceva tracciare la strada al vescovo, è una tentazione direi addirittura lecita se si fa con buone intenzioni. La questione della Cina non è facile, ma sono convinto che non si debba rinunciare al dialogo. Ti possono ingannare nel dialogo, puoi sbagliarti… ma il cammino è questo. La chiusura non è mai cammino. Ciò che si è ottenuto finora in Cina è stato almeno di dialogare.... Qualche cosa concreta come la nomina di nuovi vescovi, pian piano… Ma sono anche passi e risultati che possono essere messi in discussione da un lato e dall’altro. Per me una figura chiave di tutto ciò, e che mi aiuta e m’spira, è il cardinale Casaroli. Casaroli è stato l’uomo a cui Giovanni xxiii chiese di costruire ponti in Centroeuropa. C’è un libro molto bello, Il martirio della pazienza, dove racconta un po’ le sue esperienze lì. O vengono raccontate le esperienze che ha vissuto lui, che ha poi trascritto tutto. Un piccolo passo dopo l’altro, creando ponti. E a volte dovendo dialogare all’aperto o con il rubinetto aperto nei momenti difficili. Superò gradualmente le riserve nelle relazioni diplomatiche che in fondo presupponevano la nomina di nuovi vescovi e la cura del popolo fedele di Dio. Oggi, in qualche modo, dobbiamo seguire quei cammini di dialogo, a piccoli passi, nelle situazioni più conflittuali. La mia esperienza nel dialogo con l’Islam, per esempio, con il Grande Imam Al-Tayyeb è stata molto positiva in tal senso e lo ringrazio tanto. È stato come il germe di Fratelli tutti. Ma dialogare, dialogare sempre o essere disposti a dialogare. C’è una cosa molto bella. L’ultima volta che san Giovanni XXIII incontrò Casaroli, quest’ultimo lo informò di come andavano le cose... Casaroli si recava ogni fine settimana a un riformatorio minorile. Credo che fosse Casal del Marmo, non sono sicuro. Stava con i ragazzi e indossava la sottana come un prete. Nessuno sapeva.... Alcuni non sapevano neppure chi era. Quando si salutarono e Casaroli stava per uscire, san Giovanni XXIII lo chiamò e gli disse: “Eminenza, continua ad andare da quei ragazzi?” “Sì, sì”. “Non li lasci mai”. Il testamento di un Papa santo a un diplomatico molto abile: continua lungo il cammino della diplomazia ma non ti dimenticare che sei un prete, come stai facendo. Questo per me serve da ispirazione.

Santità, in Spagna è stata legalizzata l’eutanasia, in funzione di quello che chiamano “il diritto a una morte dignitosa”. Ma questo è un sillogismo fallace, perché la Chiesa non difende l’accanimento nella sofferenza, ma la dignità fino alla fine. Fino a che punto l’uomo ha un potere reale sulla sua vita? Che ne pensa il Papa?

Contestualizziamoci. Stiamo vivendo una cultura dello scarto. Ciò che non serve si scarta. Gli anziani sono materiale scartabile: danno fastidio. Non tutti, ma è vero, nell’inconscio collettivo della cultura dello scarto, gli anziani… i malati più terminali anche; i bambini non voluti anche, e vengono rimandati al mittente prima che nascano…. Ossia c’è una cultura…

Dopo, guardiamo alle periferie, pensiamo alle grandi periferie asiatiche, per esempio, per andare lontano e non pensare che si sta parlando di cose di qui. Lo scarto d’interi popoli. Pensi ai Rohingya, scartati, che vagano per il mondo. Poveretti. Ossia si scartano. Non servono, non vanno bene, non servono.

Questa cultura dello scarto ci ha segnati. E segna i giovani e gli anziani. Influisce molto su uno dei drammi della cultura attuale europea. In Italia l’età media è 47 anni. In Spagna credo sia più alta. Ossia, la piramide si è rovesciata. È l’inverno demografico nelle nascite, dove ci sono più casi di aborto. La cultura demografica è in perdita perché si guarda al profitto. Si guarda avanti… a volte usando la compassione! “che non soffra nel caso in cui….”. Ciò che chiede la Chiesa è di aiutare a morire con dignità. Questo lo ha sempre fatto.

Rispetto all’aborto, a me non piace mettermi a discutere fino a che punto si può, fino a che punto non si può, ma dico questo: qualsiasi manuale di embriologia di quelli che danno a uno studente di medicina nella facoltà dice che alla terza settimana dal concepimento, a volte prima che la madre se ne renda conto [di essere incinta], gli organi nell’embrione sono già tutti definiti, incluso il Dna. È una vita. Una vita umana. Alcuni dicono: “non è una persona”. È una vita umana! Allora, di fronte a una vita umana, mi pongo due domande: è lecito eliminare una vita umana per risolvere un problema? Seconda domanda: è giusto assoldare un sicario per risolvere un problema? E con queste due domande si risolvono i casi di eliminazione di persone — da un lato e dall’altro — perché sono un peso per la società.

Vorrei ricordare un fatto che ci raccontavano a casa. Di una famiglia per bene con vari figli e un nonno che viveva con loro. Ma il nonno stava invecchiando e a tavola cominciava a sbavare. Quindi il papà non poteva avere ospiti perché si vergognava di lui. Allora gli venne in mente di mettere un bel tavolo nella cucina e spiegò alla famiglia che dal giorno dopo il nonno avrebbe mangiato in cucina e così potevano avere ospiti. E così fu. Dopo una settimana arriva a casa e trova suo figlio di 8, 9 anni, uno dei figli, che giocava con il legno, chiodi, martelli e gli dice: “Che cosa stai facendo?” “Sto facendo un tavolino, papà”. “Perché?” “Per te, per quando sarai vecchio”. Cioè, quello che si semina con lo scarto poi si riceverà.

Santità, passiamo a un altro scenario. Nella società spagnola lei sa che si sono prodotte alcune frazioni e alcune fratture concrete. Il referendum in Catalogna ha portato a una situazione particolarmente delicata. E lei ha detto che il sovranismo è un’esagerazione che va sempre a finire male. Che atteggiamento crede che dobbiamo adottare di fronte a una posizione di rottura?

Direi di guardare alla storia. Nella storia ci sono stati casi d’indipendenza. Ci sono Paesi europei che attualmente sono addirittura in un processo d’indipendenza. Guardi il Kosovo e tutta quell’area che si sta ridefinendo. Sono fatti storici caratterizzati da una serie di peculiarità. Nel caso della Spagna, siete voi spagnoli che dovete giudicare, esprimendo il vostro parere. Ma per me, la cosa più importante in questo momento in qualsiasi paese che ha questo tipo di problema è chiedersi se si sono riconciliati con la propria storia. Non so se la Spagna si è completamente riconciliata con la sua storia, soprattutto quella dello scorso secolo. E se non lo ha fatto, credo che debba fare un passo di riconciliazione con la propria storia, il che non vuol dire rinunciare alle proprie posizioni, bensì entrare in un processo di dialogo e di riconciliazione; e soprattutto, evitare le ideologie, che sono quelle che impediscono qualsiasi processo di riconciliazione. Inoltre le ideologie distruggono. Unità nazionale è un’espressione affascinante, è vero, ma l’unità nazionale non si potrà mai valorizzare senza la fondamentale riconciliazione dei popoli. E credo che in questo qualsiasi governo, qualunque sia il suo schieramento, debba farsi carico della riconciliazione e vedere in che modo portare avanti la storia come fratelli e non come nemici o con quell’inconscio disonesto che mi fa giudicare l’altro come un nemico storico.

La Spagna ha vissuto un processo di riconciliazione molto intenso e ammirato da tutto il mondo negli anni Settanta dello scorso secolo. Il problema è che il revisionismo storico ha preteso di non utilizzare quell’ammirevole riconciliazione nel mondo che è stata la transizione spagnola, immagino che lo sapevate in Argentina e non sia nuovo anche per il Papa. Il nazionalismo, il sovranismo, hanno disseminato l’Europa di morti e di migranti. E questo mi porta a chiederle: dinanzi all’immigrazione, provocata da diversi fenomeni, in cui siamo ora immersi, che atteggiamento dobbiamo assumere? Che succede quando il numero di quanti chiedono accoglienza supera le possibilità di accoglienza di un Paese? Non ci devono essere frontiere? Tutti in qualsiasi luogo, dove vogliamo e come vogliamo? Gli Stati hanno diritto a rendere le loro norme più rigide o meno rigide?

La mia risposta è: primo, dinanzi ai migranti quattro atteggiamenti: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Vado all’ultimo: se uno accoglie e li lascia lì liberi in casa e non li integra sono un pericolo, perché si sentono estranei. Pensi alla tragedia di Zaventem. Quelli che hanno compiuto quell’atto di terrorismo erano belgi, erano figli d’immigranti non integrati, ghettizzati. Io devo far sì che i migranti si integrino e perciò devo compiere il passo non solo di accoglierli, ma di proteggerli e promuoverli, educarli etc. Secondo (più verso la sua domanda): i Paesi devono essere molto onesti con loro stessi e vedere quanti migranti possono accettare e fino a che numero, e qui è importante il dialogo tra le nazioni. Oggi il problema migratorio non lo risolve un Paese solo, è importante dialogare, e vedere “io posso fino a qui…”, “qui mi fermo” … oppure no; “fin qui le strutture d’integrazione funzionano o non funzionano”, etc. sto pensando a un Paese che pochi giorni dopo l’arrivo di un migrante già gli dà i soldi per andare a scuola e imparare la lingua, e poi gli trova un lavoro e lo va integrando. Così è stato durante l’epoca dell’integrazione dell’immigrazione dovuta alle dittature militari del Sud America: Argentina, Cile, Uruguay. Sto parlando della Svezia. La Svezia è stata un esempio in questi quattro passi di accogliere, proteggere, promuovere e integrare.

E dopo c’è anche un’altra realtà rispetto ai migranti, a ho cui fatto riferimento prima, ma la ripeto: la realtà dell’inverno demografico, L’Italia ha paesi quasi vuoti.

E anche la Spagna…

“No, noi ci prepariamo”. Che cosa aspetti, di rimanere senza nessuno?. È una realtà. Ossia, la migrazione è un aiuto nella misura in cui si compiono i passi d’integrazione. È questa la mia posizione. Ma è vero, un Paese deve essere molto onesto e dire: “posso fin qui”.

Il prossimo anno ricorreranno quarant’anni dal discorso di san Giovanni Paolo ii sull’identità europea. Vorrei chiederle quali sono i luoghi in cui potrebbe andare il Papa sempre che la sua salute e le sue buone condizioni glielo consentano. Non so se Haiti, non so se la sua terra, non so se Santiago (de Compostela). [È stato li] che Giovanni Paolo ii ha detto: “Torna a ritrovarti. Sii te stessa. Scopri le tue origini”. Sarebbe un magnifico ricordo rammentarlo insieme a lei approfittando dell’Anno Santo Giacobeo….

Ho promesso al Presidente della Giunta di Galizia di pensarci. Ossia, non l’ho escluso da un’eventuale agenda. Per me l’unità dell’Europa in questo momento è una grande sfida. O l’Europa continua a perfezionarsi e a migliorarsi nell’Unione europea o si disintegra. L’ ue è la visione che hanno avuto uomini grandi come Schumann, Adenauer. Credo di aver pronunciato sei discorsi sull’unità dell’Europa. Due a Strasburgo, uno quando mi hanno conferito il Premio Carlo Magno, e lì il discorso pronunciato dal sindaco di Aquisgrana io lo raccomando perché è una meraviglia di criticità sul problema della ue . Ma non possiamo rinunciare. Uno dei momenti più felici che ho vissuto è stato in un occasione di uno dei discorsi quando sono venuti tutti, capi di Stato o capi di Governo dell’ ue . Non mancava nessuno e ci siamo fatti una foto nella Cappella Sistina. Quel momento non lo dimenticherò. Non possiamo tornare indietro. È stato un momento di crisi e la ue ha reagito bene di fronte alla crisi. Nonostante le discussioni, ha reagito bene. Dobbiamo fare il possibile per salvare questa eredità. È un’eredità e un compito.

Santità, chiaro, se io non le chiedo quando verrà il Papa in Spagna mi diranno: “perché non hai chiesto al Santo Padre...”. Allora oso suggerirle che Lei, Santità, non conoscerà la Settimana Santa finché non verrà un Martedì Santo a Siviglia a vedere la Virgen de la Candelaria. Non ha neppure la curiosità?

Molta. Molta. Ma la mia scelta finora per viaggi in Europa sono i paesi piccoli. Prima è stata l’Albania e poi tutti gli altri paesi erano piccoli. Ora nel programma c’è la Slovacchia, poi Cipro, Grecia e Malta. Ho voluto fare questa scelta: prima i Paesi più piccoli. Sono stato a Strasburgo ma non sono stato in Francia. A Strasburgo sono stato per la ue . E se vado a Santiago, vado a Santiago, ma non in Spagna, che sia chiaro.

Al Cammino d’Europa

Al Cammino d’Europa. Una Europa. Ma questo è ancora da decidere.

C’è qualcosa per cui il Papa ha pianto nell’ultimo anno, oltre alla pandemia, o il Papa non ha la lacrima facile?

Io non ho la lacrima facile, ma di tanto in tanto mi viene quella tristezza di fronte ad alcune cose, che faccio molta attenzione a non confondere con la malinconia alla Paul Verlaine: quel “Les sanglots longs, de l’automne, blessent mon coeur”. No, no. Non voglio che si confondano. A momenti, quando vedo certe cose mi toccano il cuore... e questo mi succede a volte.

È stato definito “il Papa pop” o il “Papa Superman”, che so non piacerle molto. Chi è in realtà Francesco, come le piacerebbe essere ricordato?

Per quello che sono: un peccatore che cerca di fare il bene.

Allora siamo due peccatori a questo tavolo…

Siamo due.

Ma lei ha più influenza lassù. (Ride). Mi ha sempre colpito il suo rapporto con lo scrittore Jorge Luis Borges. Perché ha tanto attirato quel giovane gesuita?

Non so perché. Mi sono avvicinato a lui perché ero molto amico della sua segretaria. E poi per simpatia…. Non ero sacerdote quando l’ho conosciuto. Avrò avuto 25 o 26 anni quando l’ho conosciuto, insegnavo a Santa Fe come gesuita, in quei tre anni in cui eravamo noi gesuiti a insegnare nelle scuole e lo invitai a venire a parlare ai miei studenti di letteratura. E venne e fece il corso… non so perché. Ma era un uomo molto buono. Molto buono.

L’abbiamo sentita parlare molto della sua nonna paterna, di nonna Rosa, ma l’abbiamo sentita parlare meno di sua madre, o forse non l’abbiamo sentita parlarne direttamente…

Qui bisogna tener conto di due fattori. Siamo cinque fratelli tutti molto legati ai nonni. Dio ci ha conservato i nonni finché siamo diventati grandi. Il primo nonno, il più lontano di tutti, l’ho perso quando avevo 16 anni e l’ultima nonna quando ero già provinciale dei gesuiti. Cioè i nonni ci hanno accompagnati. In casa c’era inoltre un’abitudine: le vacanze le passavamo noi quattro fratelli più grandi — perché mia sorella più piccola è arrivata sei anni dopo — con i nonni, così mamma e papà si riposavano un po’. Era divertente. Ci sono tante cose in questo legame con i nonni. Di nonna Rosa ciò che racconto sono gli stessi aneddoti di sempre, alcuni sono molto divertenti. Anche dell’altra nonna racconto aneddoti, come la lezione che mi diede il giorno della morte di Prokofiev sullo sforzo nella vita. Quando le domandai come avesse fatto quell’uomo ad arrivare a quel punto. Ero adolescente. E anche di mamma ricordo molte cose e le racconto. Ma richiamano di più l’attenzione quelle della nonna, perché ripeto spesso alcune sue cose curiose, alcune irripetibili per iscritto, su programmi radiofonici... alcuni detti che ci hanno insegnato tanto. Ma, a parte il fatto che eravamo molto legati ai nonni, la domenica andavamo a casa loro e poi allo stadio a vedere il San Lorenzo. Ma i nonni hanno inciso molto sulla nostra vita.

Non è tornato a vedere il San Lorenzo perché da anni non vuole guardare la televisione...

Sì. Ho fatto una promessa il 16 luglio 1990. Ho sentito che il Signore mi chiedeva questo, perché eravamo in comunità e stavamo vedendo qualcosa che finì in modo greve, spiacevole, male. Ci rimasi male. Era il 15 luglio sera. Il giorno dopo, nella preghiera, promisi al Signore che non avrei più visto la televisione. Chiaro, quando viene eletto un presidente la vedo, quando c’è un incidente aereo, la vedo, cose così… ma non sono dipendente dalla televisione.

Non ha visto la Coppa America per esempio.

No, per niente.

C’è una vecchia leggenda che dice che qualche Papa è fuggito dal Vaticano. Francesco ha mai compiuto qualche fuga di cui finora nessuno è venuto a conoscenza?

No. Chi scappava per andare a sciare era san Giovanni Paolo ii . In un momento preciso c’era una pista di sci e lui l’aveva nell’anima. E faceva bene a fuggire, andava in incognito. Ma un giorno mentre stava in fila per salire un bambino disse: “Il Papa!”. Non so come lo scoprì. Tornò subito in Vaticano e cercò di prendere più precauzioni. Le case di famiglie che ho visitato, che ricordi, sono tre. Un mezzo convento delle teresiane dove ho voluto visitare la professoressa Mara, allora novantenne, una grande donna che insegnò all’Università La Sapienza e poi all’Augustinianum, e ho voluto celebrare messa per lei. Poi sono andato a fare le condoglianze forse al mio migliore amico, un giornalista italiano, a casa sua. E la terza casa che ho visitato è stata quella di Edith Bruck, la signora che ha compiuto ora novant’anni, che è stata in un campo di concentramento. Ungherese, Ebrea. È stato all’inizio di quest’anno o lo scorso anno, non ricordo bene. Sono le uniche tre case dove mi sono recato di nascosto e poi si è saputo. Mi piacerebbe andare per la strada, mi piacerebbe molto, ma devo rinunciarvi, perché non potrei fare dieci metri.

Ha avuto mai la tentazione d’indossare abiti civili….

No, mai. No.

Con un cappello e degli occhiali?

[Ride]) No, per niente.

Come combatte la nostalgia Papa Francesco, chi gli cucina le merendine di anice con cui faceva sempre colazione a La Puerto Rico?

La mia nostalgia cerco che sia di tipo malinconico, autunnale, anche se una cosa bella dell’autunno argentino, a Buenos Aires, erano le giornate nuvolose, con molta nebbia, dove non si vedeva a dieci metri dalla finestra, ed io ascoltavo Piazzolla. È un po’ strano, ma anche Roma ha le sue giornate di nebbia. Nostalgia, no. Voglia di andare da una parrocchia all’altra camminando, sì; ma nostalgia, no.

È finita l’epoca dei mal di testa per parole che le sfuggivano o che dicevano che le erano sfuggite e che avevano conseguenze con cose che lei non aveva detto?

Il pericolo c’è sempre. Una parola può essere interpretata in un modo o in un altro, non è vero? Sono cose che succedono. Che posso farci… Non so da dove hanno preso la scorsa settimana che avrei presentato la mia rinuncia! Quali parole avranno preso nella mia patria? Da lì è uscita la notizia. E dicono che ha provocato scalpore, quando a me non è mai passato per la testa. Dinanzi a interpretazioni che nascono un po’ distorte da qualche mia parola sto zitto, perché chiarire è peggio.

Si parla molto di calcio a Santa Marta?

Sì, del calcio italiano. Sto imparando un po’ a conoscerlo. Si parla molto di calcio, sì.

Che giocatore di calcio era lei, Santità?

Ero un “palo”. Mi chiamavano “el pata dura”, per questo mi mettevano sempre in porta, lì mi difendevo più o meno bene.

Il nostro programma “Tiempo de juego”, i miei compagni quando ho detto loro che venivo a vedere il Papa, “per favore che il Papa ti dica che cosa pensa dell’ingaggio di Messi, se ne è andato in Francia”. Che pensa del mondo del calcio, lo segue da vicino?

Ho scritto una lettera pastorale sullo sport. Una lettera pastorale che non era una lettera pastorale. In due passaggi. Il primo è stato l’articolo pubblicato sulla «Gazzetta dello Sport» il 2 gennaio di quest’anno. Poi, basandomi su quell’articolo — l’ho corretto io — ho scritto la lettera pastorale. Un articolo intervista. Dico solo questo: per essere un buon calciatore bisogna avere due cose: saper lavorare in squadra e non essere come diciamo a Buenos Aires, nel nostro slang, uno che non molla mai la palla, ma che gioca sempre per la squadra. Secondo, non perdere lo spirito amatoriale. Quando nello sport si perde questo spirito amatoriale si comincia a commercializzare troppo. E ci sono uomini che hanno saputo non lasciarsi macchiare da tutto questo, e hanno devoluto i loro guadagni a opere di bene e a fondazioni. Occorre lavorare in squadra, perché lo sport è una scuola di squadra, e non perdere lo spirito amatoriale.

Santità, la ringrazio molto per quest’ora indimenticabile che ha regalato agli ascoltatori di cope .

Un saluto grande a quanti stanno ascoltando e vi chiedo di pregare per me affinché il Signore continui a proteggermi e a custodirmi, perché se mi lascia solo sono un disastro.

Di solito è lei a dircelo, ma oggi siamo noi a dirlo a lei: che Dio la benedica!

Anche a tuti voi, che Dio vi benedica. Grazie.

Grazie.

(fine seconda parte — la prima parte
dell’intervista è stata pubblicata nell’edizione di ieri, mercoledì 1° settembre,
nelle pagine 1, 6 e 7)