Intervista a Radio Cope (parte prima)

Il Papa dopo l’operazione: «Mai passato per la testa di dimettermi»

 Il Papa dopo l’operazione:   «Mai passato per la testa  di dimettermi»  QUO-197
01 settembre 2021

Pubblichiamo di seguito in una traduzione italiana la prima parte del testo dell’intervista che Papa Francesco ha rilasciato lo scorso fine settimana a Carlos Herrera, di Radio Cope. Il colloquio è stato trasmesso questa mattina, mercoledì 1° settembre, sui canali dell’emittente spagnola.

Santo Padre, in primo luogo le devo chiedere, come sta?

Ancora vivo (ride)

La sua recente operazione, che è stata un’operazione importante, ci ha lasciato una certa preoccupazione...

E sì, queste cose che nascono dai diverticoli... non so bene... lì si deformano, si necrotizzano... ma grazie a Dio è stata presa in tempo, e ora sono qui.

Ho anche sentito che è stato un infermiere che per primo l’ha avvisata, l’ha allertata.

Mi ha salvato la vita! Mi ha detto: “Deve operarsi”. C’erano opinioni diverse. “No, basta un antibiotico...”, e lui mi ha spiegato tutto molto bene. Un infermiere del nostro servizio sanitario, dell’ospedale del Vaticano. È da trent’anni che è qui, è un uomo di grande esperienza. È la seconda volta nella mia vita che un infermiere mi salva la vita.

Quando è stata la prima volta?

La prima volta è stata nel ‘57, quando pensavano che fosse un’influenza, un’epidemia di influenza di quelle che girano in seminario, e mi curava un infermiere del seminario con l’aspirina. Per gli altri andava bene, ma con me non andava bene e mi portarono all’ospedale, e mi tolsero acqua da un polmone. Il medico disse, non mi ricordo quanto, diciamo un milione di unità di penicillina e tanta streptomicina — erano gli unici antibiotici dell’epoca — e quando uscì, l’infermiera mi disse: “il doppio”.

E questo l’ha salvata?

Sì, perché altrimenti...

Uno degli... non dirò dei segreti meglio custoditi del Vaticano, ma una delle questioni che tradizionalmente interessa di più è la salute del Papa.

Sì evidentemente.

Non c’è stata nessuna sorpresa, era tutto programmato...

Era tutto programmato ed è stato comunicato... Dopo l’Angelus me ne sono andato direttamente, erano quasi le 13, ed è stato comunicato alle 15.30, quando già stavo facendo i primi accertamenti.

Lei ha detto, Santità, che “l’erba cattiva non muore mai” ...

È così, è così, e questo vale anche per me, vale per tutti.

I media [sic] le hanno proibito qualcosa, esiste qualche ultimatum? C’è qualcosa che lei, Santità, non può fare e che non è disposto a non fare?

Non capisco.

Qualcosa che i medici le hanno proibito di fare?

Ah i medici! Scusi, avevo capito “i media”.

(Risata) Lo sa, anche i media hanno tentazioni. Ma in questo caso i medici.

Ora posso mangiare di tutto, cosa che prima con i diverticoli non potevo fare. Posso mangiare di tutto. Ho ancora le medicine post-operatorie, perché il cervello deve registrare che ha 33 centimetri in meno di intestino. Ed è il cervello a gestire tutto, il cervello gestisce il nostro corpo e gli occorre tempo per registrarlo. Ma la vita normale, conduco una vita del tutto normale.

Mangia quello che vuole...

Quello che voglio.

Cammina, fa sforzi...

Oggi tutta la mattina in udienze, tutta la mattina.

Ora compirà un viaggio in Slovacchia e in Ungheria. Per quanto ne so è il 34° viaggio del suo Pontificato.

Non mi ricordo bene il numero, ma dovrebbe essere così.

Il programma sarà intenso come sempre? Io credo che ai Papi, Santità, fanno fare un’autentica gimcana. Mi sono sempre chiesto perché i Papi non vanno due giorni in più e dividono il lavoro in due giorni in più, delle 24 ore per circa 18 fanno cose. Dovrà misurare di più le sue forze dopo l’operazione o no?

Forse in questo primo viaggio un po’ di più, perché uno deve rimettersi del tutto, no? Ma alla fine sarà uguale agli altri, vedrà (ride).

Santità, teme che una delle cose più insistenti con cui i media, soprattutto quelli italiani, la contraddistinguono è che quando si mette in dubbio la salute del Papa molti pensano o insistono sulla vecchia questione della rinuncia, me ne vado a casa, non ne posso più...? È una costante permanente, credo, nella sua vita come Papa, vero?

Sì, mi hanno detto che la scorsa settimana andava di moda questo. Eva (Fernández) me lo ha detto, addirittura me lo ha detto con un’espressione argentina molto bella, e io le ho risposto che non avevo idea perché leggo un solo giornale qui la mattina, il giornale di Roma. Lo leggo perché mi piace il modo di titolare che ha, lo leggo rapidamente e basta, non entro nel gioco. La televisione non la vedo. Sì, ricevo il resoconto più o meno delle notizie del giorno, ma sono venuto a sapere dopo, qualche giorno dopo, che si diceva che rinunciavo. Quando un Papa è malato, si alza un vento o un uragano di Conclave (risate).

Com’è stato il lockdown del Papa? Il tempo in cui siamo stati confinati a casa. Che cosa ha fatto il Papa durante il lockdown?

Prima di tutto sopportarmi, no? Che non è facile. È una scienza che non ho ancora finito d’imparare. È difficile sopportare se stessi.

Ci è abituato, lo fa da tanti anni...

Sì, ma è difficile. Uno a volte è pignolo con sé stesso, e vuole che le cose vengano in modo automatico. Dopo ho iniziato a riprendere le cose a poco a poco e oggi sto conducendo una vita normale. Questa mattina, tutta una mattinata di udienze; oggi è la seconda udienza del pomeriggio (ho iniziato alle 15.30) e vado avanti.

Anche se la destinazione del suo prossimo viaggio è la Slovacchia, molti sono in attesa del suo incontro con il primo ministro dell’Ungheria, Viktor Orbán, del quale non condivide alcuni punti del programma di governo, soprattutto quelli relativi alla chiusura delle frontiere. Che cosa le piacerebbe dirgli se avesse l’opportunità di incontrarlo da solo?

Non so se mi incontrerò con lui. So che alcune autorità verranno a salutarmi. Non andrò al centro di Budapest, ma nel luogo del Congresso [Eucaristico], e c’è un salone dove mi riunirò con i vescovi e lì riceverò le autorità che verranno. Non so chi verrà. Il presidente lo conosco perché era alla messa in Transilvania, quella parte della Romania dove si parla ungherese, una messa bellissima in ungherese, ed è venuto con un ministro. Credo che non fosse Orbán... perché al termine della messa si saluta formalmente... non so chi verrà...

E una delle cose a cui tengo è non andare con un copione: quando sono di fronte a una persona la guardo negli occhi e lascio che le cose vengano da sole. Non mi viene di pensare a che cosa gli dirò se lo incontrerò, sono supposizioni che non mi aiutano. Mi piacciono le cose concrete: le supposizioni ti impigliano, ti fanno male.

La nuova mappa politica che affronta l’Afghanistan, Santità, lei la segue da vicino. Il Paese è stato lasciato alla sua sorte dopo molti anni di occupazione militare. Il Vaticano può muovere fili diplomatici per far sì che non vi siano rappresaglie contro la popolazione, per tante altre cose?

Sì. E, di fatto, sono certo che la Segreteria di Stato lo sta facendo perché il livello diplomatico del Segretario di Stato e dei suoi collaboratori è molto alto, e anche quello dei Rapporti con gli Stati. Veramente il cardinale Parolin è il miglior diplomatico che io abbia conosciuto. Diplomatico che aggiunge, non di quelli che sottraggono, che cerca sempre, un uomo di accordi. Sono certo che sta aiutando o almeno offrendosi di farlo. È una situazione difficile. Credo che come pastore io debba esortare i cristiani a una preghiera speciale in questo momento. È vero che viviamo in un mondo di guerre (penso allo Yemen, per esempio). Ma questo è qualcosa di molto speciale, ha un altro significato. E cercherò di chiedere ciò che chiede sempre la Chiesa nei momenti di maggiore difficoltà e di crisi: più preghiera e digiuno. Preghiera, penitenza e digiuno, che è ciò che si chiede nei momenti di crisi. E rispetto al fatto dei venti anni di occupazione e poi si lascia, ho ricordato altri fatti storici, ma mi ha colpito una cosa che ha detto la cancelliera Merkel, che è una delle grandi figure della politica mondiale, a Mosca, lo scorso 20 [agosto]. Traduco, spero che la traduzione sia corretta: “Occorre mettere fine alla politica irresponsabile di intervenire da fuori e di costruire in altri Paesi la democrazia, ignorando le tradizioni dei popoli”. Lapidaria. Credo che questo dica molto, che ognuno lo interpreti. Ma quanto ha detto questa donna mi è apparso saggio.

Il fatto che l’Occidente rinunci, fondamentalmente, alla coalizione capeggiata dagli Stati Uniti e la stessa Unione europea... a lei, Santo Padre, la scoraggia o crede che sia il cammino giusto? Bisogna abbandonarli alla loro sorte?

Sono tre cose diverse. Il fatto di rinunciare è lecito. L’eco che ha in me è un’altra cosa. E terzo, lei ha detto: “abbandonarli alla loro sorte”; io direi il modo in cui si rinuncia, il modo in cui si negozia un’uscita, non è così? Per quanto si vede, qui non sono state prese in considerazione — sembra, non voglio giudicare — tutte le eventualità. Non so se ci sarà una revisione o no, ma certamente c’è stato molto inganno da parte, può darsi, delle nuove autorità. Dico inganno o molta ingenuità, non capisco. Ma io qui vedrei il modo. E penso che sia quello che sottolinea la signora Merkel.

Il Papa immagino che si possa permettere delusioni come qualsiasi cristiano. Qual è stato il più grande disinganno che ha avuto come Santo Padre?

Ne ho avuti diversi. Ho avuto varie delusioni nella vita e questo è un bene perché le delusioni ti fanno atterrare d’emergenza. Sono atterraggi d’emergenza nella vita. E il problema è alzarsi. C’è un canto alpino che a me dice molto: “Nell’arte di salire ciò che importa non è non cadere, ma non rimanere caduto”... e tu, davanti a un disinganno, hai due cammini: o rimani lì dicendo che questo non va bene — come dice il tango: “Dai che va bene! Non cambia niente. Tanto laggiù all’inferno ci incontreremo!” — o mi alzo e mi rimetto in gioco. E credo che davanti a una guerra, davanti a una sconfitta, persino a un disinganno proprio, o a un fallimento proprio, o al proprio peccato, bisogna alzarsi e non rimanere caduti.

Si dice sempre che il diavolo è felicissimo che la gente creda che non esiste. Il diavolo scorrazza pure per il Vaticano?

[Ride] Il diavolo scorrazza ovunque, ma quelli che mi fanno più paura sono i diavoli educati. Quelli che suonano il tuo campanello, che ti chiedono permesso, che entrano nella tua casa, che diventano amici... Ma Gesù non ne ha mai parlato? Sì che ne ha parlato. Sì ne ha parlato. Quando dice: quando lo spirito immondo esce da un uomo, quando qualcuno si converte o cambia vita, inizia ad andare in giro, in luoghi aridi, si annoia... E dopo un certo tempo dice: “torno per vedere come va lì” e vede la casa tutta ordinata, tutta cambiata. Allora cerca sette peggiori di lui ed entra con un altro atteggiamento. Per questo dico che sono i diavoli educati, quelli che suonano il campanello. La persona nella sua ingenuità lo lascia entrare e il fine di quell’uomo è peggiore del principio, dice il Signore. Ho terrore dei diavoli educati. Sono i peggiori, e ci si lascia ingannare tanto. Ci si lascia ingannare tanto.

A marzo ricorreranno nove anni dall’inizio del suo Pontificato, che non è stato quel pontificato breve di 4-5 anni che ha detto lei, Santità. È soddisfatto dei cambiamenti intrapresi o le resta qualcosa in sospeso che vorrebbe completare al più presto? Ossia, ha la sensazione che Dio le abbia dato un tempo extra per qualcosa?

Chiaro che la mia nomina mi ha colto di sorpresa perché ero venuto con una valigetta. Perché io qui avevo la tonaca. Me ne avevano regalata una quando ero diventato cardinale e l’avevo lasciata a casa di una delle monache per non dovere... Appartenevo a cinque o sei congregazioni lì e allora dovevo viaggiare, per non venire con questo... Sono venuto come sempre. E ho lasciato le omelie preparate per la Settimana Santa lì nel vescovado. Cioè, mi ha colto di sorpresa. Ma non c’è nulla che ho inventato io, ciò che ho fatto fin dal principio è cercare di avviare quello che noi cardinali avevamo detto nelle riunioni pre-conclave per il futuro Papa: il prossimo Papa deve fare questo, questo e questo. E questo è ciò che ho iniziato a mettere in moto. Credo che restino varie cose ancora da fare, ma non c’è nulla che ho inventato io. Sto obbedendo a ciò che è stato deciso in quel momento. Forse alcuni non si rendevano conto di quello che stavano dicendo o pensavano che non fosse tanto serio, ma alcuni temi provocano prurito, è vero. Ma non c’è originalità mia nel piano. E il mio progetto di lavoro, la Evangelii gaudium, è una cosa in cui ho cercato di riassumere quello che noi cardinali abbiamo detto in quel momento.

Ossia quando ha lasciato Buenos Aires, non ha mai contemplato la possibilità di non tornarci?

No, assolutamente. Assolutamente no. Sì, ho dovuto rimandare delle cose importanti lì. Non mi è venuto in mente anche per la mia età. Quando le cose non ti vengono in mente, tutto qui. Ma l’unica cosa che ho fatto è stata di cercare di riassumere tutto; ho chiesto gli acta di quelle riunioni — in cui non ero presente — ma per non dimenticarmi e avviare tutto.

Uno degli ultimi terremoti in Vaticano, al meno nei media, è il macroprocesso per corruzione nel quale è imputato il cardinale Becciu. Lui ha assicurato che dimostrerà la sua innocenza. Da fuori l’impressione è che la riforma delle finanze vaticane sia come quella lumaca che si arrampica lungo il pozzo e ogni volta che avanza un metro ne indietreggia due. C’è speranza? Come crede che finirà la questione? In tutti gli organismi la corruzione è un peccato inerente, inevitabile, ma, in che modo può essere evitabile dentro il Vaticano?

Occorre ricorrere a ogni mezzo per evitarlo, ma è una storia vecchia. Guardando indietro, abbiamo la storia di Marcinkus, che ricordiamo bene; la storia di Danzi, la storia di Szoka. È una malattia in cui si ricade. Credo che oggi siano stati fatti passi avanti nel consolidamento della giustizia dello Stato Vaticano. Da tre anni si sta cercando di far sì che la giustizia divenga più indipendente, con i mezzi tecnici, anche con dichiarazioni di testimonianze registrate, le cose tecniche attuali, nomine di giudici nuovi, del pubblico ministero nuovo... e tutto ciò ha portato avanti le cose. Ha aiutato. La struttura ha aiutato ad affrontare questa situazione che sembrava che non sarebbe mai esistita. E tutto è iniziato con due denunce di persone che lavoravano in Vaticano e che nelle loro funzioni hanno visto un’irregolarità. Hanno fatto una denuncia e mi hanno chiesto che cosa fare. Io ho detto loro: se volete andare avanti dovete presentare tutto al procuratore. La cosa era un po’ impegnativa, ma erano due persone per bene, erano un po’ timorosi e allora, come per dare loro coraggio ho messo la mia firma sotto la loro. Per dire: questo è il cammino, non ho paura della trasparenza e neppure della verità. A volte fa male, e molto, ma è la verità a renderci liberi. Così è stato semplicemente. Ora, che da qui a qualche anno esca fuori altro. Spero che questi passi che stiamo compiendo nella giustizia vaticana aiutino a far sì che fatti del genere accadano sempre meno…. Sì, lei ha usato la parola corruzione e in questo caso ovviamente, almeno a prima vista, sembra che sia così.

Che cosa teme di più, che [Becciu] sia dichiarato colpevole o innocente, tenendo conto che lei stesso ha dato il permesso per sottoporlo a giudizio?

È sottoposto a giudizio secondo la legislazione vaticana. Un tempo i giudici dei cardinali non erano i giudici di Stato come avviene oggi ma il capo dello Stato. Io spero di tutto cuore che sia innocente. Tra l’altro è stato un mio collaboratore e mi ha aiutato molto. È una persona che stimo molto, ossia il mio auspicio è che ne esca bene. Ma, diciamolo, è una maniera affettiva della presunzione d’innocenza. Oltre alla presunzione d’innocenza, ho voglia che ne esca bene. Sarà però la giustizia a decidere.

Non so se Papa Francesco è tipo da pugno duro sul tavolo. Forse l’ultimo colpo sul tavolo è stato il documento pontificio in cui si limita la celebrazione delle messe tridentine? E inoltre le chiedo di spiegare ai miei ascoltatori che cosa è la “messa tridentina”, che cosa ha la messa tridentina che non è precettivo.

Non sono tipo da dare pugni sul tavolo, non ci riesco. Sono piuttosto timido. La storia di Traditionis custodes è lunga. Quando per primo san Giovanni Paolo ii — e dopo Benedetto più chiaramente con Summorum pontificum — ha dato la possibilità di celebrare con il messale di Giovanni xxiii (anteriore a quello di Paolo vi , che è quello postconciliare), per coloro che non si sentivano a proprio agio con la liturgia attuale, che avevano una certa nostalgia…. mi è sembrata una delle iniziative pastorali più belle e umane di Benedetto xvi , che è un uomo di un’umanità squisita. È iniziato così. È stato questo il motivo. Diceva che dopo tre anni bisognava fare una valutazione. È stata fatta e sembrava che tutto andasse bene. E andava bene. Da quella valutazione a ora sono passati dieci anni (ossia tredici dalla promulgazione) e lo scorso anno abbiamo visto con i responsabili del Culto e della Dottrina della Fede che conveniva fare un’altra valutazione a tutti i vescovi del mondo. E così è stato fatto. Ci è voluto un anno intero. Dopo si è studiata la questione e, in base a ciò, l’inquietudine che è emersa con più forza è stata che una cosa fatta per aiutare pastoralmente quanti hanno vissuto un’esperienza anteriore si stesse trasformando in un’ideologia. Ossia, da cosa pastorale a ideologia. Allora bisognava reagire, con norme chiare. Norme chiare che ponessero un limite a quelli che non avevano vissuto quell’esperienza. Perché sembrava che fosse di moda in alcuni luoghi che sacerdoti giovani “ah no, io voglio...”, e non sapendo il latino, non sapevano quello che dice. E dall’altro lato, sostenere e consolidare quanto detto nel Summorum Pontificum. Ho fatto una sorta di schema, l’ho fatto studiare e ho lavorato, ho lavorato molto, con gente tradizionalista di buon senso. Ed è emersa questa cura pastorale che occorre avere, con alcuni limiti ma buoni. Per esempio, che la proclamazione della Parola sia in una lingua che tutti capiscano; altrimenti è prendersi gioco della Parola di Dio. Piccole cose. Ma sì, il limite è molto chiaro. Dopo questo motu proprio, un sacerdote che vuole celebrare non è nelle condizioni di altri — che lo facevano per nostalgia, per desiderio, etc — deve chiedere il permesso a Roma. Una specie di permesso di bi-ritualismo, che solo Roma dà. [Come] un sacerdote che celebra in rito orientale e rito latino, è bi-rituale ma con il permesso di Roma. Ossia, fino ad oggi, quelli precedenti continuano ma un po’ ordinati. Chiedendo inoltre che ci sia un sacerdote incaricato non solo della liturgia ma anche della vita spirituale di quella comunità. Se lei legge bene la lettera e legge bene il decreto, vede che semplicemente è riordinare in modo costruttivo, con cura pastorale ed evitare un eccesso a quanti non sono...

Le toglie il sonno, Santità, il cammino sinodale che ha iniziato la Chiesa cattolica tedesca?

Su questo mi sono permesso d’inviare una lettera. Una lettera che ho scritto io solo in castigliano. Ci ho messo un mese a scriverla, tra pregare e pensare. E l’ho inviata a suo tempo: originale in castigliano e traduzione in tedesco. E così ho espresso tutto quello che sento sul sinodo tedesco. Tutto qui.

Non è una protesta nuova quella del sinodo tedesco... si ripete la storia...

Sì, ma non la vedrei neppure in modo troppo tragico. In molti vescovi con i quali ho parlato non c’è cattiva volontà. È un desiderio pastorale ma che non tiene presenti alcune cose che io spiego nella lettera di cui bisogna tener conto.

Ci sono cose che sono fissate nell’immaginario popolare. Una di esse, di cui più si parla, è quella della crisi del teatro. Lei, Santità, sa che il teatro è in crisi da quando lei e io siamo nati. Un’altra cosa è la riforma della Curia. Si dice sempre che “occorre riformare la curia”, ma la curia sembra irriformabile. È come una foresta spinosa in cui è impossibile entrare, o questo si dice dal di fuori. Il Papa continua a sognare una Chiesa molto diversa da quella che vede ora?

Se lei vede come è stato avviato fin dal principio quello che avevano detto i cardinali nel pre-conclave fino a ora, vede anche che la riforma sta andando di pari passo e bene. Il primo documento che marca la linea, cercando di riassumere quanto detto dai cardinali, è Evangelii gaudium. Se c’è un problema in Evangelii gaudium che vorrei segnalare è quello della predicazione. Sottoporre i fedeli a lunghe lezioni di teologia, di filosofia o di moralismo, che non è la predicazione cristiana. Nella Evangelii gaudium chiedo una riforma seria della predicazione. Alcuni fanno, altri non capiscono... Per mettere un punto, no? Ma Evangelii gaudium cerca di riassumere in generale come atteggiamenti quanto espresso dai cardinali nel pre-conclave. E riguardo alla costituzione apostolica Praedicate Evangelium, che si sta elaborando su questo punto, e l’ultimo passo è che io la legga — devo leggerla perché devo firmarla e devo leggerla parola per parola — non presenterà nulla di nuovo rispetto quanto si sta vedendo finora. Forse qualche dettaglio, qualche cambiamento riguardo a dicasteri che si uniscono, due o tre dicasteri in più, ma è già stato tutto annunciato: per esempio, Educazione si unirà a Cultura. Propaganda fide si unirà al dicastero della Nuova Evangelizzazione. Ma è stato tutto già annunciato. Non ci sarà nulla di nuovo rispetto a quanto è stato promesso che si sarebbe fatto. Alcuni mi dicono: “Quando uscirà la costituzione apostolica della riforma della Chiesa, per vedere la novità?”. No. Non ci sarà nulla di nuovo. Se c’è del nuovo, sono piccole cose di aggiustamento. Sta nell’ultima parte, che è in ritardo a causa della mia malattia. Si sta cucinando a fuoco lento, in modo che comprenda tutto. Sia chiaro che la riforma non sarà altro che avviare quanto detto dai cardinali, quanto abbiamo chiesto nel pre-conclave, e che si sta vedendo. Si sta vedendo.

Nella prima visita al Dicastero per la comunicazione del Vaticano, lei, Santità, ha espresso la sua preoccupazione perché il messaggio non stava giungendo dove avrebbe dovuto. I numeri di ascolto erano scarsi. Era una ramanzina in piena regola?

Mi ha fatto sorridere la reazione. Io ho detto due cose. Primo, una domanda: quanta gente legge «L’Osservatore Romano»? Non ho detto se lo leggono in molti o in pochi. Era una domanda. Credo che sia lecito domandare, no? E la seconda domanda, che è stata piuttosto un tema, [l’ho fatta] quando, dopo aver visto tutto il nuovo lavoro di unione, il nuovo organigramma, la funzionalizzazione, ho parlato della malattia degli organigrammi, che dà a una realtà un valore più funzionale che reale. E dico: con tutta questa funzionalità, che è perché funzioni bene, non [bisogna] cadere nel funzionalismo. Perché il funzionalismo è il culto degli organigrammi a prescindere dalla realtà. Queste due cose che ho detto sembra che qualcuno non le abbia capite o che a qualcuno non siano piaciute, e non so perché le abbia interpretate come una ramanzina. È una cosa normale, è una domanda e un monito. Sì... qualcuno si è sentito in fuorigioco. Credo che il dicastero prometta molto, è il dicastero che ha più budget nella curia in questo momento, che ha a capo un laico — spero che presto ce ne siano altri diretti da un laico o una laica — e che sta decollando con nuove riforme. «L’Osservatore Romano», che io chiamo “il giornale del Partito”, ha fatto grandi progressi ed è una meraviglia vedere gli sforzi culturali che sta compiendo.

(fine prima parte - la seconda parte sarà pubblicata nell’edizione di domani)