DONNE CHIESA MONDO

Sguardi diversi

Conchita, madre
di tutti i sacerdoti

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06 novembre 2021

La prima laica beata del Messico che ebbe nove figli


Il 4 maggio del 2019 Conception Cabrera de Armida è stata beatificata da papa Francesco. Fino a un mese fa non avevo idea di chi fosse, e ora mi sembra che senza di lei si capisca poco della Chiesa presente, mi sembra che questa donna quanto mai feconda abbia tracciato delle linee guida per affrontare il nostro tempo, e che ora dentro la Chiesa molte altre donne, ma non solo donne, si stiano facendo carico di seguirle; se la nomino alle amiche consacrate si accendono di entusiasmo, se cerco in rete scopro che gruppi di riflessione e preghiera, grandi e piccoli, soprattutto in Messico e negli Stati Uniti, le fioriscono attorno. Conchita, così la chiamano coloro che la sentono vicina, nasce nel 1862 in Messico, gracilina, per rafforzarsi va a cavallo, è madre di nove figli alcuni morti in giovane età e a 38 anni rimane vedova. Già durante il suo matrimonio vive in una dimensione spirituale profondissima che si esprime anche nella scrittura: verga a mano più di sessantamila pagine. Dopo la morte del marito la sua dimensione spirituale sboccia pienamente nel mondo. Nelle foto che si trovano in rete, è una ragazza dall'acconciatura ancora romantica con grandi occhi neri attenti, una donna di mezza età che con delicatezza scruta, una anziana signora comprensiva che si schermisce ridente. Per dire chi Conchita sia stata, serve un elenco: è laica, mistica, scrittrice, fondatrice di congregazioni e in vari modi madre. Si deve a lei la fondazione di cinque istituti religiosi, tra cui le Suore della Croce del Sacro Cuore di Gesù e le Missionarie figlie della Purissima Vergine Maria. Nel cuore della sua vocazione c’è l’idea di preparare “cuori” per la vita eterna, e in particolare di stare vicino ai sacerdoti per offrire a Dio “sacerdoti santi”.

Sento una grande fascinazione per le sante madri, donne capaci di tenere insieme un quotidiano di cure, di affetti, il piacere e la fatica dell’avere a che fare con l’infanzia e l’ascesi, lo slancio. Conchita fa di più, tematizza la maternità, ne rivela la necessità spirituale, indica la possibilità che proprio lì risieda una delle risposte alle questioni della condizione attuale dell’umanità.

Conchita è la prima laica beata del Messico. È nata in un tempo che a seconda della prospettiva sembra lontano o vicinissimo. Quella fine dell’Ottocento in cui i semi del presente hanno già messo radice, le piccole foglie sono già spuntate.

In quegli anni cambiava il ruolo delle donne, le ragazze si muovevano verso un nuovo protagonismo, molte si sentivano chiamate a farsi carico di una autorevolezza pubblica e spesso provavano a farsene carico a partire dalla posizione in cui si trovavano facendosi madri educatrici, insegnanti, usando lo strumento agile della scrittura per parlare con se stesse, con i bambini, con il mondo. Si può dire qualcosa di simile di Conchita, anche se il suo modo di entrare nel mondo ne fa qualcosa di ben diverso da un’attrice che calca semplicemente il palcoscenico, arriva semmai come un vento che viene da fuori, solleva le quinte, rivela come la scena del mondo, che sia esuberante o scabra e desolata, non sa risolversi in se stessa. Sento ancora rivolgere al pensiero religioso e alla fede l’accusa di essere un facile conforto di fronte alle questioni radicali della vita umana, a me sembra il contrario, mi pare che il pensiero religioso, in particolare il pensiero mistico, e Conchita è anche una mistica, si avvicini quanto nessun altro ai luoghi oscuri della condizione umana, là dove è assediata dalla solitudine, dalla desolazione, dalla paura. Conchita è morta nel 1937, il 3 di marzo. Una vita già lunga, a cavallo fra due secoli, che sembra lunghissima per via della quantità di esperienze, di opere, tutte affrontate senza mai spostarsi dalla condizione in cui era.

Al cuore dell’opera di Conchita c'è l’intuizione della maternità spirituale, nei confronti di ogni donna e di ogni uomo, ma soprattutto nei confronti dei sacerdoti che nella loro posizione esposta, di responsabilità estrema, rischiano di avvertire troppo acuta la solitudine.

La Congregazione per il clero (2009-2010) che diffonde l’iniziativa dell’Adorazione euristica per la santificazione dei sacerdoti e la maternità spirituale, riconoscendo che i sacerdoti sono esposti a pericoli interiori, solitudine, sgomento, bisogni senza direzione, che in alcuni casi si traducono nel pericolo di abusi, indica la valorizzazione della maternità spirituale, che è sempre esistita e da sempre ha vivificato la vita della Chiesa, come una via, una chiave accessibile a tutte le donne: «Per essere madre spirituale per i sacerdoti non è necessario essere madre naturale (…) Indipendentemente dall’età e dalla condizione tutte le donne, siano esse madri di famiglia, vedove, monache e consacrate e soprattutto coloro che offrono le loro sofferenze possono diventare madri spirituali dei sacerdoti». Nel documento, accanto a santa Monica, a santa Teresa di Lisieux, troviamo l’esempio di Conchita: «Gesù una volta spiegò a Conchita: ci sono anime sacerdotali che hanno la vocazione senza avere la dignità e l’ordinazione sacerdotale. Loro si muovono in unione con me». Si tratta di anime che si impegnano in un sacerdozio silente, diffuso. Un sacerdozio che attraverso figure come quella di Conchita diventa visibile.

Per cercare di capire l’impatto e il significato della sua ispirazione, mi sono fatta raccontare Conchita da Kristina Piñero, consacrata del Regnum Christi. Kristina vive a San Antonio in Texas, lavora nella parrocchia della Santa Trinità come direttrice della formazione. Ha scritto una tesi dal titolo La dimensión mariana de la gracia de la encarnatión mística en Concepción Cabrera de Armida per la Faculty of Oblate, School of Theology. L’ho raggiunta con una telefonata intercontinentale, non ho visto il suo viso, ma ho sentito la sua voce, scoppiettante e flautata. «Sin da bambina» mi racconta Kristina «Conchita si era distinta per l’amore per Gesù, poi si è innamorata e sposata con Francisco de Armida dopo nove anni di fidanzamento. È rimasta vedova a 38 anni con 8 figli (uno era morto molto presto). Il matrimonio e la maternità per lei sono stati un modo per scoprire la sua maternità spirituale. Scriveva la notte, oppure quando il marito era al lavoro. Aiutava i poveri, i malati, coloro che le chiedevano consigli spirituali, se c'era un neonato denutrito lei lo allattava».

Nella voce di Kristina c’è un'eccitazione, una festa, «Conchita si identifica in Maria, il suo esempio l’aiuta a esercitare la propria maternità. Fra la maternità concreta e quella spirituale c’è armonia». Armonia è una parola alla quale Kristina tiene. «La capacità materna è la capacità di creare cuori che amano il Signore. Conchita» Kristina cerca la parola «si è gustata la maternità. Poi dopo la morte del marito riceve una grazia speciale: la grazia dell’incarnazione mistica, una sfumatura di amore materno, che la porta a sperimentare l’affetto materno per Gesù. Da questo momento la sua vita sarà un dispiegarsi dell’incarnazione mistica. Conchita capisce che può offrirsi con Gesù per la salvezza di tutti, a partire da suo marito e dai suoi figli».

Nelle sue Meditazioni eucaristiche raccolte in Italia nel volumetto Davanti all’Altare (Ancilla 2010), Conchita, rivolta a Gesù, scrive:


«Ti chiedo consolazione per consolarti, sollievo per sollevarti, amore, un intenso amore del sacrificio per amarti! (…) Amore e consolazione!... Ecco, mio buon Gesù, ciò che hai trovato nel Cuore di Maria: Ti prego, concedici la grazia che in ciascuno dei nostri cuori che battono all’unisono con il tuo nella Casa della Croce, tu possa trovare ancora amore e consolazione. – Così sia».

Consolare Gesù, mi sembra una possibilità vertiginosa. Chiedo a Kristina come si può racchiudere in poche parole il messaggio di Conchita. La sua voce dal Texas rende domestico quello che non smette di essere abissale: «Conchita ci indica servizio, tenerezza, accoglienza, dedizione, dolcezza, fermezza, donazione, fecondità spirituale. Nella sua condizione laica, Conchita è una apostola, richiama alla santità i laici nella realtà ordinaria della vita. Ci mostra la ricchezza spirituale che c’è nel matrimonio, nella famiglia». Infine, Conchita, come fanno i mistici, contempla il dolore, lo riempie di senso e così senza negarlo lo capovolge. «Una cosa che trovo importante» ci tiene a dirmi Kristina «Conchita era piena di vita e ha sperimentato la sofferenza che l’ha aiutata a sviluppare la compassione. Ha considerato la sofferenza una opportunità di conoscenza, un luogo di incontro. Nella sofferenza ha trovato luce in Maria, Maria dopo la morte di Gesù, addolorata dall’assenza terrena del figlio. Nella Solitudine di Maria, il dolore si fa un dolore puro. Conchita contempla Maria e impara da lei. L’Eucaristia dà significato alla sofferenza. Attraverso la contemplazione del tempo della solitudine di Maria, solitudine che per Conchita risuona nel proprio dolore per la separazione dai figli, Conchita fa i conti con l’assenza di Dio, con il mistero della sofferenza. E attraverso Maria la sofferenza si riempie di Speranza».

Mi sembra un grande spostamento di prospettiva quello che indica Conchita nelle parole di Kristina. Al di là della preghiera dei figli a Maria consolatrice l’identificazione in lei, nella sua soggettività, nella sua attenzione, nella sua sofferenza, nella sua capacità di cura verso il Figlio, verso il mondo e chi lo abita: una via che richiama l’umanità a una maturità nuova.

di Carola Susani