Poco più del due per cento della popolazione ha ricevuto due dosi

L’emergenza vaccinale in Africa

 L’emergenza vaccinale in Africa  QUO-195
30 agosto 2021

La pandemia sta dimostrando sempre di più che siamo tutti sulla stessa barca. Si tratta di un concetto ben espresso nell’Enciclica Fratelli Tutti e che Papa Francesco ha ribadito in più circostanze. Purtroppo finora — dispiace prenderne atto — questa istanza è stata disattesa dal punto di vista formale e da quello fattuale. Infatti, fin quando l’emergenza vaccinale verrà contrastata dal consesso delle nazioni con gli attuali criteri, un continente come l’Africa continuerà ad essere un gigantesco vivaio di varianti.

Secondo l’Africa Cdc, attualmente solo il 4,51 per cento della popolazione africana ha ricevuto la prima dose e il 2,5 per cento ha completato il ciclo vaccinale. La situazione è allarmante anche perché la fornitura di vaccini a disposizione dell’Africa attraverso accordi bilaterali e iniziative quali la Covax Facility e l’unità operativa per l’acquisto di vaccini per l’Africa, denominata Africa Vaccine Acquisition Task Team (ovvero Avatt), ammonta a 130 milioni di dosi e ne sono state somministrate circa 93 milioni su una popolazione di oltre 1,3 miliardi di abitanti. Ancora una volta si evidenzia il tema delle diseguaglianze, stigmatizzato ripetutamente nel magistero di papa Francesco.

Mentre in Europa si discute sulla possibilità di somministrare una terza dose, nei paesi a basso reddito, tra i quali figurano quelli africani, solo l’1,4 per cento della popolazione ha ricevuto la prima somministrazione vaccinale. Come sottolineato più volte dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), si tratta di un pericoloso ritardo sulla tabella di marcia che potrebbe procrastinare nel tempo la pandemia a tutte le latitudini. E se da una parte è sempre più evidente che lo spazio fiscale necessario per mitigare lo shock prodotto dal covid-19 a livello planetario, è stato caratterizzato da gravi discrasie; dall’altra è sempre più impellente incrementare le vaccinazioni in quelle che Papa Francesco ha pertinentemente definito le «periferie del mondo».

Non è dunque affatto peregrina la proposta formulata dall’Oms di dare priorità alla spedizione di fiale vaccinali nei Paesi a basso reddito, piuttosto che destinarle alle terze inoculazioni nei paesi benestanti. Le economie dei Paesi avanzati hanno speso il 28 per cento del proprio prodotto interno lordo del 2020 per restituire impulso alla crescita. Nelle economie emergenti e in quelle a basso reddito è stato speso rispettivamente solo il 7 ed il 2 per cento. Come ha dichiarato nei giorni scorsi il presidente del Consiglio italiano, Mario Draghi, nel corso della conferenza Compact with Africa: «È obiettivo del quadro comune del g 20 facilitare la ristrutturazione del debito nei Paesi con un livello eccessivo di indebitamento, in maniera esauriente e sostenibile». Rimane il fatto che l’emergenza sanitaria e la crisi economica per i Paesi fragili sono due facce della stessa medaglia.

Sul tappeto rimane in particolare la vexata quaestio della liberalizzazione dei brevetti, anche perché è stato ampiamente dimostrato che è possibile convertire impianti industriali in loco in quanto, stando a studi approfonditi su questa proposta, i tempi di realizzazione sarebbero relativamente contenuti, nell’ordine di pochi mesi. Com’è noto la liberalizzazione dei brevetti, proposta da India e Sud Africa all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) — il cosiddetto Trips waiver (moratoria sulla proprietà intellettuale) — appoggiata da oltre cento paesi tra cui gli Stati Uniti e sostenuta fortemente dalla Santa Sede, potrebbe certamente aiutare, ma l’Unione europea (Ue), almeno per il momento, si oppone.

La sospensione della proprietà intellettuale non significa l’immediata disponibilità di vaccini aggiuntivi nei Paesi poveri ma rappresenterebbe un traguardo significativo nell’ambito della cooperazione internazionale.

Serve, infatti, un approccio globale al tema della salute in cui si intreccino sanità e giustizia per affermare il bene comune dei popoli. Fin quando la salute non sarà percepita come una questione d’interesse collettivo, non vi potrà mai essere vero sviluppo.

di Giulio Albanese