L’intervento di monsignor Nunzio Galantino

Poliedro contro piramide

 Poliedro contro piramide  QUO-192
26 agosto 2021

«Tra Cesare e Dio. La cultura del Risorgimento a 150 anni da Porta Pia» è il tema generale del XXI corso dei «Simposi Rosminiani» che si svolge online dal 24 al 27 agosto. L’evento è organizzato dal Centro internazionale di studi rosminiani di Stresa, al quale si uniscono la Pontificia Università Lateranense e la Conferenza episcopale italiana. All’incontro partecipano fra gli altri monsignor Nunzio Galantino, studioso del beato Rosmini, che si è soffermato sulle Cinque piaghe della santa Chiesa, don Romano Penna, biblista, di cui riportiamo parte dell’intervento, e don Giuseppe Lorizio, ordinario di teologia fondamentale alla Pontificia Università Lateranense, intervistato dal nostro giornale. I simposi sono iniziati nel 2000 come continuazione della «Cattedra Rosmini» fondata nel 1967 con il compito di riportare la voce del filosofo nel dialogo intellettuale contemporaneo.

Solo un cammino di vera conversione consentirà alla Chiesa di abbandonare la mentalità feudale, come già esortava a fare il beato Antonio Rosmini quasi duecento anni fa; un cammino certo «faticoso» ma che, «col decisivo aiuto dello Spirito santo», permetterà di passare dal modello piramidale a quello del poliedro, l’unico in grado di riflettere «la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (Evangelii gaudium, 236). Nel suo intervento, monsignor Nunzio Galantino, presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica e grande studioso del teologo e filosofo italiano, ha parlato di una sfida tanto più urgente quanto la mentalità feudale «è contraria all’umanesimo, cui il Convegno di Firenze del 2015 intendeva ispirarsi, nella sua contrapposizione alla visione medievale della Chiesa e della società». Tale mentalità «si oppone alla fede cristiana, che pone tutti di fronte a Dio sullo stesso livello, come insegna il Vangelo e ci ricorda l’enciclica Fratelli tutti. Capisco che liberarsi delle livree feudali è faticoso — ha dichiarato il vescovo — penso però che se lo facciamo noi, col decisivo aiuto dello Spirito santo, non rimarremo nudi, come rimarremmo, e in alcuni ambiti in parte lo siamo, vergognosamente nudi se a privarci delle livree medioevali fossero altri».

Il corso di quest’anno è dedicato al tema «Tra Cesare e Dio. La cultura del Risorgimento a 150 anni da Porta Pia». Galantino ha definito la breccia come «metafora del farsi strada della modernità nella Chiesa, con tutti i traumi (si pensi alle vicende del modernismo) e il fascino che questo incontro/scontro ha prodotto e ancor oggi genera». Antonio Rosmini aveva già in qualche modo «profeticamente intravisto e descritto il trauma e la necessità di un’autentica conversione ecclesiale», fin dagli anni Trenta del xix secolo, periodo della stesura delle Cinque piaghe della santa Chiesa, opera di cui il presule si è occupato a livello di ricostruzione ed edizione critica nell’ultima versione voluta dal teologo e filosofo italiano. Una conversione, si è detto, che necessita di «liberarsi delle livree feudali». Nel suo trattato, Rosmini affermava infatti che «il feudalismo fu l’unica, o certo la principalissima fonte di tutti i mali [della Chiesa]».

Questa mentalità, ha spiegato monsignor Galantino, si rinviene nella prima piaga, ovvero la separazione del clero dal popolo, in particolare nel culto. Una mentalità ancora molto presente oggi nella Chiesa, che «peraltro risulta nemica del Vaticano ii ». La forma mentis feudale, ha proseguito il relatore, soggiace e sopravvive nella seconda piaga: l’insufficiente educazione del clero. Per il presidente dell’Apsa l’ignoranza dei preti giova «certamente al laicismo che, facendo leva su di essa, può facilmente dimostrare che la fede cristiana appartiene all’oscurantismo culturale», ma anche ad alcuni vescovi «che preferiscono, proprio con atteggiamento feudale, avere un clero non pensante ma obbediente». Eppure non sarebbe difficile mostrare il ruolo culturale di tanti parroci, «a esempio nelle periferie delle grandi città o in paesi sperduti, ove l’unica struttura appunto culturale è stata e spesso è ancora la parrocchia».

Del resto, «se la Chiesa è ospedale da campo, allora ha bisogno di investire nella ricerca, perché la clinica ha bisogno del laboratorio e non di improvvisazione, per quanto sorretta da buona volontà».

Nella terza piaga — la disunione dei vescovi tra loro e con il Papa — la mentalità feudale «si insinua come atteggiamento di chi pensa la propria diocesi come appunto un feudo e l’episcopato come un privilegio e un premio», ha spiegato il vescovo, secondo il quale non è difficile intravedere tale mentalità «nell’enorme difficoltà che si sta vivendo nella Chiesa italiana a far accettare una mentalità sinodale», fortemente invocata da Papa Francesco nell’incontro con i rappresentanti del v Convegno nazionale del 2015 a Firenze, «ma finora disattesa e ripresa solo per le insistenze del vescovo di Roma e di alcuni suoi illuminati collaboratori».

Solo una Chiesa “inquieta” — come aveva detto il Pontefice in quell’occasione — «abbandonerà la mentalità feudale, che è invece statica e rassicurante, nonché autoreferenziale».

La piaga dell’asservimento al potere politico dominante manifesta ancor di più il male del feudalesimo, ritiene Galantino: «Si potrebbe pensare a una grande distanza cronologica rispetto a questa piaga, ma, se si guarda in profondità, si nota che non è così. Spesso la ricerca di rilevanza politica e contrattuale finisce per vedere la libertà della Chiesa inficiata e la parresia richiesta ridotta di efficacia, col rischio di subire ricatti e bavagli, che le impediscono di annunciare l’ipsa puritas Evangelii (Concilio di Trento)». Tali ricatti spesso riguardano i beni temporali (quinta piaga, ricchezza ovvero servitù dei beni ecclesiastici): «Rosmini non è certo un pauperista — ha affermato il relatore — ma percepisce in profondità quanto disastro provochi nel clero e nel popolo di Dio l’attaccamento al denaro e alle proprietà non finalizzato all’evangelizzazione e alla carità».

Ripercorrendo l’opera più famosa del beato, ha concluso Galantino nella sua prolusione, «abbiamo visto i danni derivati da una mentalità feudale nella Chiesa. Non è detto però, come ci ricorda spesso Papa Francesco, che la Chiesa sia condannata a coltivare questa mentalità, semmai dissimulandola. Quello che Rosmini auspica (ed è il motivo che lo porta a scrivere le Cinque piaghe) è un cammino di vera conversione della Chiesa».

di Charles de Pechpeyrou