La necessità di investire in educazione e formazione

Scuola e lavoro dall’alternanza all’alleanza

 Scuola e lavoro dall’alternanza all’alleanza  QUO-187
20 agosto 2021

La mostra «Alleanza scuola lavoro. Non è mai troppo tardi» — curata da Ubaldo Casotto e promossa da Fondazione Costruiamo il Futuro, Censis e Fondazione Deloitte — è presente al Meeting di Rimini (20-25 agosto). Il percorso si divide in quattro parti: una prima sezione storica che documenta l’impegno e la crescita di consapevolezza dello Stato italiano dall’unità a oggi nell’investimento in educazione; una seconda parte statistica (a cura del Censis) che fotografa con dati e tabelle la situazione della scuola italiana oggi evidenziandone le problematiche; una terza parte esperienziale: un video in cui vengono presentate alcune realtà in cui l’alleanza scuola lavoro è già una realtà virtuosa (scuole statali, paritarie, iniziative aziendali e private, del Nord, del Centro e del Sud), esempi significativi e utili per formulare proposte che non rischino l’astrattezza; la quarta parte è quindi fatta di proposte in cui, a partire dalle esperienze presentate, persone autorevoli rispetto al tema che trattano indicano dieci strade da battere per rispondere alla domanda da cui origina la mostra: che cosa vuol dire investire in educazione e formazione oggi?

Dopo i momenti di crisi (guerre, epidemie, crisi economiche e sociali) l’investimento che può rilanciare e storicamente ha rilanciato un Paese è quello in educazione e formazione. Lo documenta la storia italiana ed europea con le istituzioni educative dei gesuiti nel ’500, quelle dei barnabiti del ’600, gli istituti professionali di don Bosco nella Torino industriale dell’800, l’opera di don Gnocchi nella Milano del dopoguerra o l’esperienza dei Martinitt, o ancora l’istituzione delle “150 ore” negli anni Settanta per il diritto allo studio degli operai. Lo documenta l’impegno dello Stato italiano nel ’900 di cui diamo conto nella prima sezione di questa mostra.

Mario Draghi al Meeting di Rimini del 2020 ha detto che vi è «un settore, essenziale per la crescita [...] dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani. Questo è stato sempre vero ma la situazione presente rende imperativo e urgente un massiccio investimento di intelligenza e di risorse finanziarie in questo settore».

Noi pensiamo che questo investimento non possa prescindere da un rapporto del sistema formativo con il sistema produttivo. Non basta un’alternanza scuola-lavoro, bisogna passare all’“alleanza” scuola-lavoro.

La parola alleanza già risponde al timore che immediatamente e ideologicamente si affaccia di una subordinazione dell’educazione agli interessi produttivi. Scopo della scuola è e resta l’educazione, cioè la sua formazione integrale della persona che avviene attraverso la sua graduale introduzione alla realtà totale. Proprio per questo il lavoro — che la nostra Costituzione (art. 4) definisce come una attività o la funzione con cui ognuno concorre «al progresso materiale o spirituale della società» —, pur non essendo lo scopo del processo formativo, non può risultarvi estraneo. Il fatto che a un giovane diplomato o laureato si prospettino 40-50 anni di lavoro (cioè di collaborazione al bene comune) non può essere trascurato da chi deve pensare e strutturare il suo iter formativo.

Il 2021 è il quarantesimo anniversario della pubblicazione della Laborem exercens, la grande enciclica sociale di san Giovanni Paolo ii nella quale il Papa che fu anche operaio (prima in una cava di pietra e poi in fabbrica) spiegò che il lavoro qualifica la natura dell’uomo e che scopo del lavoro dell’uomo è l’uomo stesso, «perché mediante il lavoro l’uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza sé stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, diventa più uomo». E parlando della piaga della disoccupazione, e in particolare della «disoccupazione degli intellettuali» disse che «avviene o aumenta quando l’istruzione accessibile non è orientata verso i tipi di impegno o di servizi richiesti dai veri bisogni della società, o quando il lavoro, per il quale si esige l’istruzione, almeno professionale, è meno ricercato o meno pagato di un lavoro manuale». Non aveva paura Karol Wojtyła a dire che «il lavoro e la laboriosità condizionano anche tutto il processo di educazione nella famiglia» e che «la capacità di lavoro — cioè di partecipazione efficiente al moderno processo di produzione — esige una preparazione sempre maggiore e, prima di tutto, un’adeguata istruzione». Per san Giovanni Paolo ii infatti «all’organizzazione della vita umana secondo le molteplici possibilità del lavoro dovrebbe corrispondere un adatto sistema di istruzione e di educazione, che prima di tutto abbia come scopo lo sviluppo di una matura umanità, ma anche una specifica preparazione ad occupare con profitto un giusto posto nel grande e socialmente differenziato banco di lavoro».

Ora, è universalmente evidente che parlare di scuola a 360 gradi si rischia di parlare di tutto e quindi di niente, la mostra intende invece focalizzare il rapporto scuola-università-mondo del lavoro concentrandosi su quella parte del sistema scolastico e universitario che ha dichiaratamente questa vocazione.

Che cosa ha voluto dire investire in formazione ed educazione? Che vuol dire farlo oggi? Come riconnettere scuola, università e mondo del lavoro? È questo, o anche questo, che significa investire in capitale umano?

Le risorse ci sono, anche se sono caricate come debito sulle spalle chi oggi è giovane. Investire nei giovani — diceva sempre Mario Draghi al Meeting di Rimini — vuol dire dotarli degli strumenti con cui potranno affrontare questo enorme debito. Che non sia l’unica eredità che gli lasciamo.

di Ubaldo Casotto