Il dramma degli afghani in fuga

La responsabilità di accogliere

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19 agosto 2021

È durata solo una manciata di giorni la commozione suscitata dalle immagini delle migliaia di afghani accalcati all’aeroporto di Kabul nella speranza di riuscire a lasciare il Paese tornato nelle mani dei talebani. Alle aperture che all’inizio apparivano quasi incondizionate da parte delle cancellerie occidentali — soprattutto quelle maggiormente coinvolte negli ultimi 20 anni in Afghanistan — adesso riguardo all’accoglienza dei profughi in fuga iniziano i primi tentennamenti e i distinguo, anche se alcuni governi sembrano intenzionati a mantenere le promesse.

In realtà già prima della presa della capitale, quando l’offensiva dei ribelli è parsa inarrestabile, decine di migliaia di persone avevano varcato i confini in cerca di rifugio. Ma ora la situazione è definitivamente precipitata.

La comunità internazionale dovrebbe attivarsi per far sì che quella dei profughi afghani non si trasformi in una nuova, catastrofica emergenza umanitaria. Nei giorni scorsi un quotidiano italiano scriveva «abbiamo fallito in Afghanistan, ora non falliamo a casa nostra». Del resto stupisce che prima di decidere di abbandonare il Paese non si sia immaginato un simile, prevedibile scenario e non si sia fatto nulla per evitarlo. E sarebbe ancora più grave se una tale decisione fosse stata presa pur essendo consapevoli delle drammatiche conseguenze.

Ora non si può far altro che cercare di correre ai ripari. L’occidente, in particolare chi ha avuto un ruolo di responsabilità in Afghanistan, dovrebbe farsi carico di programmare in tempi brevissimi concrete azioni di sostegno e di accoglienza. E se si decidesse di farlo prioritariamente nei Paesi confinanti, bisognerebbe dare loro la dovuta assistenza, evitando però che si ripeta quanto accaduto negli altri Paesi in situazioni simili, con campi profughi diventati ghetti e zone franche per bande e “signori” locali che ne hanno tratto profitto. Meglio sarebbe attivare corridoi umanitari e attivare un’accoglienza diretta sui propri territori.

L’Europa dovrebbe continuare a fare la sua parte; l’Europa che ben conosce cosa voglia dire non governare i flussi migratori. Ma anche questa volta, almeno finora, le posizioni sono discordanti, dai no categorici a moderate concessioni. Mentre restano ancora aperte le questioni dei rimpatri forzati dei migranti afghani, di cui si chiede il blocco perché ormai il Paese è chiaramente insicuro, e quella dei reinsediamenti, per i quali si sollecita un’accelerazione, dando priorità ai più vulnerabili.

Certo bisognerà trattare con i talebani anche su questo fronte, oltre che su quello del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, affinché diano la possibilità di lasciare l’Afghanistan a quanti non si sentono al sicuro, ma occorre farlo in fretta.

di Gaetano Vallini