Cronaca di una disfatta annunciata

TOPSHOT - An image grab taken from Qatar-based Al-Jazeera television on August 16, 2021, shows ...
17 agosto 2021

Kabul «è caduta prima del previsto: il popolo afghano si è arreso». Sono la cruda ammissione di una sconfitta le parole del presidente Usa Joe Biden, pronunciate a meno di 24 ore di distanza dalla caduta della capitale afghana e dal ritorno dei talebani al potere. Vent’anni di guerra e ora un drammatico, quasi beffardo, ritorno al punto di partenza.

È toccato proprio a Biden, appena arrivato alla Casa Bianca, giustificare una guerra assurda, il cui reale obiettivo non è mai stato del tutto chiaro: uccidere Osama Bin Laden in quanto principale stratega dell’11 settembre? Colpire i talebani? Esportare la democrazia? Sradicare il terrorismo internazionale? E perché proprio l’Afghanistan?

Tre presidenti (Bush, Obama, Trump), oltre 2.300 miliardi di dollari spesi, quasi tremila morti e ventimila feriti americani, quasi 47 mila civili afghani uccisi, un’opinione pubblica sempre più divisa, confusa e disinteressata. Una voragine enorme, difficilmente ricomponibile. «La nostra missione è stata caratterizzata da molti errori e passi falsi, non è stata perfetta. Sono il quarto presidente a essere presente durante questa guerra e non voglio passare questa responsabilità a un quinto presidente» ha detto Biden, precisando che la sua amministrazione non farà dietrofront sul ritiro — e non lesinando critiche ai precedenti inquilini della Casa Bianca. «Quante altre generazioni di figli e figlie americani dovrei mandare a combattere la guerra civile afghana, quando le truppe afghane non lo fanno? Quante altre vite, vite americane, dovremmo sacrificare?».

Le immagini delle persone che cadono nel vuoto dagli aerei in fuga da Kabul bastano a rendere l’idea di quello che sta realmente accadendo. Una situazione che è il frutto dei negoziati svoltisi dal 2018 a Doha, in Qatar, tra Usa e talebani. L’accordo raggiunto ha concesso molto ai talebani, in primis la legittimazione politica, mentre ha indebolito il governo di Kabul. Basti citare il rilascio di 5.000 detenuti talebani in cambio dei 1.000 prigionieri governativi, uno scambio previsto dall’accordo di Doha, su cui Kabul non ha avuto alcuna voce in capitolo. Nel 2020 sono iniziati i negoziati infra-afghani, ma va detto che i talebani non hanno mai riconosciuto il governo di Ghani, completamente isolato sul piano diplomatico. Insomma, senza l’aiuto Usa, la veloce capitolazione del governo era del tutto prevedibile. I militari afghani lo sapevano: si sono arresi senza combattere consci del fatto che il loro destino era già scritto.

I Paesi Ue e l’Onu sono gli attori internazionali che sembrano, in questo momento, più interessati al futuro dell’Afghanistan, soprattutto in un’ottica migratoria.

L’Onu ha auspicato l’avvio di nuovi negoziati tra talebani e governo che possano condurre alla costituzione di un nuovo esecutivo inclusivo. «Non possiamo e non dobbiamo abbandonare il popolo afghano» ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. I Paesi Ue che hanno partecipato alle operazioni in Afghanistan chiedono misure forti. «L'Afghanistan non deve diventare di nuovo il santuario del terrorismo che è stato» ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron, affermando che l’azione della Francia «mirerà in primo luogo a continuare a combattere attivamente contro il terrorismo islamista in tutte le sue forme; i gruppi terroristici sono presenti in Afghanistan e cercheranno di trarre profitto dalla destabilizzazione». Macron ha avuto ieri un colloquio telefonico con il cancelliere tedesco, Angela Merkel, da cui è emersa la volontà di uno «stretto coordinamento» nell’Unione. Merkel ha sottolineato che la disfatta in Afghanistan è un errore di tutti: «Non siamo riusciti a raggiungere quello che ci eravamo preposti». Domani, mercoledì, si terrà un vertice dei ministri degli Esteri e dell’Interno Ue per fare il punto sugli aiuti e sui migranti.

A livello geopolitico, la situazione è molto diversa e non riguarda affatto l’Europa, che in realtà è un attore di secondo piano.

La prospettiva più concreta è che avvenga in Afghanistan quello che è già avvenuto in Siria: dopo il ritiro americano, l’intrecciarsi e lo scontrarsi degli interessi e degli interventi di molti attori, regionali e non, come la Cina, la Russia, l’India, il Pakistan, l’Iran e soprattutto la Turchia. Partite mediorientali e centro-asiatiche diverse e complesse, che vanno al di là dei talebani, ma in cui i talebani potrebbero essere strumentalizzati in molti modi. Che cosa ne sarà dell’Afghanistan? Quasi impossibile dirlo. C’è una sola certezza, un’amara legge della storia: a pagare il prezzo più alto saranno gli ultimi, i più deboli, coloro che saranno costretti a subire l’ennesimo cambio di regime, le violenze, gli abusi, l’oblio.

di Luca M. Possati