Bailamme

Il silenzio di Dio e il cammino, balbettante, dell’uomo umile

 Il silenzio di Dio e il cammino, balbettante, dell’uomo umile  QUO-177
06 agosto 2021

«Umiltà vuol dire verità» l’affermazione è di san Paolo vi di cui oggi ricorre il quarantatreesimo anniversario della nascita al cielo. Papa Montini sottolineava così che l’uomo umile è quello che, “guardandosi allo specchio”, riconosce tutti i suoi limiti, il suo essere fragile, creatura plasmata dal fango, anche se dalla mano di Dio.

Due mesi fa, scrivendo al cardinale Marx, Papa Francesco ha indicato come unica via possibile per la Chiesa per uscire dalla crisi «il cammino dello Spirito quello che dobbiamo seguire, e il punto di partenza è la confessione umile: ci siamo sbagliati, abbiamo peccato» e aggiungeva che «Ci salverà la porta dell’Unico che può farlo e confessare la nostra nudità: “Ho peccato”, “abbiamo peccato”… e piangere e balbettare come possiamo quell’“allontanati da me che sono un peccatore”, eredità che il primo Papa ha lasciato ai Papi e ai Vescovi della Chiesa».

Il pentirsi e il balbettare è anche la condizione dell’uomo di fronte a Dio secondo il poeta e sacerdote David Maria Turoldo che trent’anni fa pubblicava nella raccolta Canti ultimi (1991) questi versi: Tu, Dio, sempre più muto:/ silenzio che più si addensa / più esplode: e ti parlo, ti parlo/ e mi pento / e balbetto e sussurro sillabe / a me stesso ignote: / ma so che odi e ascolti / e ti muovi a pietà: / allora anch’io mi acquieto / e faccio silenzio

Versi circolari che partono dal silenzio e al silenzio ritornano. Il primo è un silenzio paradossalmente “esplosivo” e spinge prepotentemente alla parola, al balbettio, al sussurro. Tutto questo parlare al Dio silenzioso vince il suo mutismo (la sua indifferenza?) e lo muove a pietà. L’uomo pro-vocato dal silenzio di Dio parla, geme, pronuncia anche “sillabe ignote” ma sa che può farlo anche in questa maniera scomposta, perché confida sul fatto «che odi e ascolti»: è il punto di svolta, lo snodo, struggente, della fede. È questa la molla, il motore che spinge dal silenzio iniziale a quello finale. Il primo silenzio è quello solitario, misterioso, di Dio, il secondo è un silenzio condiviso, di comunione tra Creatore e creatura, nel segno della pace.

E in questo passaggio tra i due silenzi, alla luce di quella “eredità” di cui parla il Papa nella sua lettera pastorale, possiamo immaginare un suono, una “voce” ben precisa: è il canto di un gallo, in una notte gerosolimitana.

di Andrea Monda