I «breviloquia» (tweet) di Papa Francesco

Quando il latino è social

 Quando il latino è social  QUO-166
24 luglio 2021

Dopo avere attraversato conquiste e frammentazioni, sperimentato i labirinti bui del Medioevo, tradotto il bisogno di concisione e allusività della preghiera cristiana, affrontato le complesse astrazioni della Scolastica, superato il passaggio della comunicazione culturale alla stampa, costruito la visione dell’Umanesimo, raccolto la sfida dei nuovi sviluppi della ragione poetica e filosofica dell’età moderna, dialogato con pregiudizi e avversioni di ogni tipo, in massima parte frutto di un’esigenza di rinnovamento dell’insegnamento, il latino è lì: plastico, deformabile, resistente ma morbido, “maccheronico” ma eterno e insindacabile simbolo di eleganza. Un grafite linguistica. Una maîson d’alta moda chiamata a confrontarsi oggi con il jeans e a disporsi a un nuovo passo: quello della comunicazione social. Spetta a Papa Francesco il merito anche di questo rinnovamento: non avere rinunciato al latino su Twitter, chiedendogli però di essere mezzo e non fine, di mettersi ancora alla prova e di animare con la sua ricchezza le forme di comunicazione più giovani e quei contenuti della nuova evangelizzazione, forse troppo ottimisticamente dati nel recente passato per acquisiti.

Alla squadra dell’ufficio delle Lettere latine della Segreteria di Stato è affidato il non facile compito di tradurre in quei «280 caratteri, spazi inclusi», i messaggi che quasi quotidianamente accompagnano il lentum molimen dell’opera riformatrice del Santo Padre che, senza alcun dubbio, nell’aggiornamento della lingua ecclesiastica (e teologica) ha prodotto passi da gigante, con la sua speciale attenzione rivolta a temi nuovi come l’ecologia e i diritti umani e il suo attento sguardo all’attualità e, di riflesso, alle nuove tecnologie e all’informatica. Il frutto di questo lavoro è racchiuso nel secondo volume dei Breviloquia Papae Francisci, distribuito dalla Libreria editrice vaticana, che raccoglie in versione bilingue italiana e latina i tweet di Papa Francesco pubblicati negli anni 2018-2019.

Chi si è misurato con l’insegnamento ben conosce l’importanza di un detto risalente, nel concetto espresso, al Fedro di Platone: se devo insegnare il latino a Giovannino, potrebbe non bastare conoscere molto bene il latino, ma è senz’altro necessario conoscere Giovannino. Per risultare efficace, la comunicazione deve dunque tener conto del destinatario. L’esperienza della lingua latina applicata al mondo del social network ci insegna, in aggiunta, che anche lo strumento che veicola la comunicazione non si aggira e che anzi la lingua è bene che da esso sia plasmata. L’effetto non riguarda soltanto la brevità, di cui la latinitas cristiana ha già lunga e solida esperienza, ad esempio, nel periodare delle orazioni del Rito romano. Esso investe almeno altri due aspetti della linguistica.

Il primo è l’estensione dei vocaboli oltre i limiti del loro significato proprio ereditato dalla tradizione. Il fenomeno è noto alla retorica come “catacrèsi” e ha già interessato la bimillenaria lingua latina soprattutto nelle fasi di grande cambiamento culturale: il vocabolo Missa per definire la «Messa» a partire dal verbo presente nella formula di congedo della celebrazione Ite, missa est ne è forse uno degli esempi più eclatanti. Incontriamo, così, nei tweet latini ambĭtus, originariamente utilizzato per definire un «giro», un’ «orbita», un «abbraccio» o perfino un «broglio», un «intrigo», ora adattato al concetto di «ambiente»; o propensio per esprimere non un’intenzione volitiva, ma l’idea più moderna della «disponibilità». La «tenerezza» spesso citata da Francesco si scopre come concetto piuttosto estraneo alla terminologia latina che ne limita l’uso a denotare o lo stato morbido della materia o l’«affettuosità», mediante vocaboli come teneritas e blandus amor o caritas. Nessuno di essi risulta, però, appropriato a definire l’atteggiamento che è bene accompagni nella relazionalità la pratica di una fede assimilata e vissuta come forza di cambiamento, per il quale appaiono preferibili il virgiliano pietas, il patristico miseratio o il più poetico lenitas. Così pure il concetto, oggi molto in voga, di «orizzonte», per indicare non il riferimento ottico, ma in modo più esteso l’«insieme» di prospettive che si aprono alla mente umana all’evolversi di una situazione, è tradotto con prospectus, che nell’accezione più classica indica la «vista», ma richiama nella fonetica delle lingue moderne quell’idea di «prospettiva» che alla nozione di orizzonte è sottesa. Non rari appaiono anche i casi di vocaboli che rispolverano termini italiani esemplati sul latino, ma ormai desueti, come il «plúteo», plutĕus, lo scaffale della libreria, vocabolo ancora oggi in uso per designare i ripiani della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze.

Fatta salva qualche concessione, come il tegmentum enatantibus servandis che traduce il «giubbotto salvagente» dei migranti, l’horror prolixi caratterizza inevitabilmente questo genere comunicativo che, per il ristretto spazio messo a disposizione, impone come sua buona norma il bando di ogni perifrasi e circonvoluzione di pensiero. Il latino breviloquens conia, pertanto, spesso neologismi non appartenenti alla tradizione lessicologica classica: solidarietas e solidalis, globalizatio o individualismus appaiono come latinizzazioni di vocaboli riconducibili a una matrice omogenea tra varie lingue moderne, al pari di sphaera ozonii, lo «strato di ozono», o di reciprocitas per definire l’odierna ratio legislativa riguardante il godimento dei diritti civili tra cittadini di diversi Paesi nel contesto degli accordi sulle politiche migratorie.

L’interesse di questo libro per gli addetti ai lavori e i cultori del latino non è in discussione. Tuttavia: licet nobis dare consilium? Metodo infallibile per insegnare ai giovani a odiare la lettura è presentare un libro come un insegnamento e un’alternativa alla tecnologia. Si presenti, invece, questo libro ai ragazzi come un modo per stare insieme, li si inviti a leggerlo con i nonni, gli zii, i genitori, gli amici, ridendo di qualche ricordo lontano o recente di scuola e di vita, con allegria, ricordando magari la nonna che storpiava la preghiera confondendola col dialetto, il votaccio a un compito in classe e lo straordinario potere pedagogico che deriva da un apparente fallimento e gustando che, se ti formi oggi in un umanesimo vero, ti alleni a rivendicare la dignitas laboris, ad avere cura del bonum terrae domus nostrae communis, a concepire un progressus che, per essere «sostenibile», deve essere sapiens e a capire che dietro un reiectus esistono anche multa mala incumbentia.

di Roberto Fusco