Quattro pagine - Approfondimenti di cultura, società, scienze e arte

Ombra

Martin Lewis, «Tree, Manhattan»
20 luglio 2021

Emblema di complessità


«Pietro passa e, senza che egli faccia nulla, la sua ombra diventa carezza risanatrice, comunicazione di salute, effusione della tenerezza del Risorto che (…) restituisce vita, salvezza, dignità». Ha colto uno degli aspetti più delicati dell’ombra Papa Francesco, all’udienza generale del 28 agosto 2019, parlando del «pescatore di Galilea chiamato a raccogliere non più le reti, ma i cuori di chi accoglie la vita di Cristo». È l’ombra che non cerca protagonismi, ma che agisce; è l’ombra ristoro gratuito che accompagna e custodisce «nel mezzo della fatica quotidiana», come scrive nella sua riflessione Sergio Massironi.

Definita spesso in negativo — spazio che permette il nascondimento del colpevole e che, per definizione, preclude verità e chiarezza — l’ombra è in realtà un meraviglioso emblema della complessità, come ha dimostrato Borges nel 1969 con quello scrigno inesauribile che è Elogio dell’ombra (di cui Silvia Guidi ci presenta una versione teatrale).

Dopo la luce della scorsa settimana, dunque, è la volta dell’ombra per questo numero di «Quattro Pagine», ombra indispensabile per «avere una visione sinottica dell’universo», come ci racconta Gabriele Nicolò conducendoci, assieme al filosofo Roberto Casati, in un viaggio da Platone a Piranesi. Ombra come tappa essenziale per diventare adulti, tappa che «i genitori dovrebbero benedire», scrive Roberto Rosano, ricordando anche quel racconto meraviglioso sull’adolescenza che è Dall’Ombra di Lalla Romano. Ombra che ritorna come autentico filo rosso nella produzione di questa grande scrittrice, aggiungiamo noi, che nelle sue tante pagine è stata capace di raccontare come nessuno le età della vita cogliendone la complessità profonda nel valore del tempo e in quel tormento malinconico e rigoroso che spesso l’accompagna.

L’ombra è ancora, insieme, «fastidio e soddisfazione» per Agnese Spotorno, l’adolescente autistica autrice del libro autobiografico che qui Enrica Riera ci presenta; ma è anche metafora delle esistenze «incapaci di pietà» nel celebre film di Sidney Lumet del 1957 recuperato da Cristiano Governa nel suo «Ufficio Oggetti Smarriti».

L’ombra del resto gioca su più piani in Yoga (Torino, Adelphi 2021, traduzione di Lorenza Di Lella e Francesca Scala), libro in cui, tra gli altri aspetti, Emmanuel Carrère affronta anche il tema scomodo e ancora marginalizzato della malattia mentale e dell’approccio medico-sociale di cui essa è oggetto. Senza voler fornire particolari o riassumere un libro sfaccettato e ambivalente che (ne siamo sicure) ogni lettrice e ogni lettore leggerà a modo suo, a un certo punto il frastornato e frastornante protagonista fa un’osservazione che a nostro avviso coglie la complessità dell’ombra.

«A sinistra — scrive Carrère — c’è l’Ombra ma c’è anche la gioia pura, e forse non può esserci gioia pura senza Ombra, e allora vale la pena di vivere con l’Ombra. Il regalo di Erica è dirmi che la gioia pura non è meno vera dell’Ombra. Non più vera, certo, ma non meno vera, ed è già qualcosa, è una buona notizia per chi, come me, crede che la Realtà ultima, la sostanza delle cose sia l’orribile piccola marina di Raoul Dufy».

di Giulia Galeotti