LE PETIT TOUR
Michele Scarponi

Una vita da gregario felice

 Una vita  da gregario felice    QUO-157
14 luglio 2021

Tra gli sport di squadra il ciclismo è sicuramente il più atipico: il senso dell’agire del gruppo è votato alla vittoria finale di uno solo, e gli almanacchi riportano il nome del vincitore della classifica finale, con quello del team scritto accanto in piccolo. Le grandi vittorie però funzionano quando una squadra è cementata assieme dai mesi di preparazione condivisa, da una perfetta comunione di intenti e dall’abnegazione. Se a vincere sono — quasi — sempre i capitani, la differenza la fanno i gregari, quelli che passano nei grupponi e che spesso solo i più appassionati tifosi riconoscono. Nonostante gli stravolgimenti dei ruoli tradizionali negli ultimi anni questo paradigma offre ancora una fotografia nitida della realtà ciclistica.

L’eccezione più significativa a confermare questa regola è stata quella di Michele Scarponi, definito non a caso “il gregario più forte del mondo”. Scarponi è stato un ciclista marchigiano, nato e cresciuto nel pietroso entroterra anconetano. Soprannominato l’aquila di Filottrano, ha costruito la sua vita in sella fin dalla più tenera infanzia, salendo sulla sua prima bicicletta ad otto anni. Da lì in poi si è imposto nelle varie categorie giovanili con un percorso forse non lineare ma sicuramente rivelatore di quello che sarebbe stato il suo talento.

Scorrendo il suo Palmares si trovano tanti piazzamenti importanti, vittorie di tappa nei grandi giri e nelle corse a tappe, persino una maglia rosa conquistata al Giro del 2011 per una discussa squalifica ad Alberto Contador. Ma non è per questo che viene ricordato e amato oggi, bensì per il suo essere il gregario perfetto, prima ancora che quello “più forte”.

Nel 2013 fa il salto più importante della sua carriera, con l’ingaggio alla squadra Astana, quella dello “squalo” Vincenzo Nibali. E nel Tour de France di quell’anno porta letteralmente sotto braccio il suo capitano alla vittoria agli Champs Elysees, rinunciando alle ambizioni personali per mettersi al servizio del gruppo. Questo spirito di servizio tornerà più volte, fino a trovare il compimento più alto nel 2016, alla tappa Regina del Giro d’Italia.

La corsa rosa affronta il Colle dell’Agnello, un arcigno valico alpino che congiunge l’Italia alla Francia e viene affrontato sia nel Tour che nel Giro. Già dalla partenza di Pinerolo, altra località simbolo del ciclismo eroico, si capisce che Scarponi è in giornata: si lancia presto in fuga, mentre dietro di lui infuria la battaglia per la maglia rosa tra Nibali e l’olandese Kruijswijk. Arrivato da uomo solo al comando in cima al Colle, si lancia in discesa verso quella che sembra una meritatissima vittoria di tappa.

Tra le consuetudini non scritte del ciclismo c’è quella per cui in una squadra chi arriva a ottenere la testa della classifica generale lasci la vittoria di tappa ad un gregario se possibile. C’è tanto di cavalleria quanto di pragmatismo in questa scelta, visto che le vittorie di tappa regalano sia gloria che un cospicuo ritorno economico.

E invece sul Colle dell’Agnello accade l’imponderabile: Scarponi compie un gesto che da solo ha cristallizzato la sua memoria nella storia dello sport. Arrivato nel penultimo falsopiano previsto dal percorso di giornata, si ferma del tutto ad aspettare il proprio capitano. Mette il “piede a terra”. Lo squalo e l’aquila di Filottrano si ricongiungono così, e quest’ultimo riveste i panni del gregario, dopo essere stato campione, per “tirare” e lanciare la volata di Nibali che eroderà il distacco dalla testa della classifica generale arrivando poi a completare la rimonta finale che gli consegnerà il trionfo in quel di Torino pochi giorni dopo. La carriera del ciclista marchigiano è stata interrotta solo dalla fatalità di un incidente proprio sulle strade di casa, ma la sua eredità continua: oggi “piede a terra” è diventata l’espressione simbolo della Fondazione che di Scarponi porta il nome e che promuove la cultura ciclistica e la sicurezza stradale. A Michele è stata intitolata una granfondo, una gara amatoriale sulle strade che lo hanno visto crescere tra Filottrano e Jesi, e la cima di Castelletta, borghetto arroccato tra Matelica e Fabriano, porta il suo nome, in omaggio ai suoi allenamenti in quel luogo. Sulla sommità c’è anche un cippo commemorativo, come ce ne sono per Coppi o Pantani nei loro luoghi simbolo, con una piccola statua protesa verso l’alto, verso il cielo dell’Aquila.

di Filippo Simonelli