Le carceri in Italia tra sovraffollamento e violenza

La drammatica vicenda
di Santa Maria Capua Vetere

 La drammatica vicenda  di Santa Maria Capua Vetere  QUO-157
14 luglio 2021

I video diffusi su internet lo scorso 29 giugno dal reparto Nilo del carcere Francesco Uccella di Santa Maria Capua Vetere hanno sconvolto un intero Paese. I filmati, risalenti a più di un anno prima, mostrano il personale della struttura compiere differenti atti di violenza nei confronti dei detenuti. Alcuni di questi, con il capo chino e le mani dietro la testa, ricevono ripetuti schiaffi dagli agenti della penitenziaria, mentre altri, caduti a terra, vengono forzatamente costretti a rialzarsi e colpiti con calci e manganelli.

Come prevedibile, le cruente immagini hanno scatenato un vero e proprio caso mediatico, mentre nei giorni successivi venivano pubblicati in rete altri filmati girati nella struttura del casertano. Il ministro della Giustizia italiano Marta Cartabia ha definito l’accaduto come «un tradimento della Costituzione», facendo riferimento all’articolo 27 che menziona esplicitamente il senso di umanità, mentre la magistratura locale ha parlato di «uno dei più drammatici episodi di violenza ai danni dei detenuti».

L’antefatto di questa drammatica vicenda è stato ricostruito in seguito all’avvio delle indagini. Il 5 aprile 2020, mentre l’Italia si trovava nell’occhio del ciclone causato dalla pandemia covid-19, nel carcere si era sparsa la voce che un detenuto avesse contratto il virus. Analogamente a quanto verificatosi in altri istituti, la notizia ha gettato nel panico i carcerati del reparto Nilo, i quali hanno organizzato una protesta prolungata durante il giorno ma pacifica nelle modalità. A quel punto, un agente della polizia penitenziaria ha contattato l’allora amministratore delle carceri della regione Campania Antonio Fullone, insistendo sulla necessità di mandare «un segnale forte» ai carcerati per ristabilire le gerarchie all’interno della struttura. Fullone ha quindi contattato la direttrice dell’istituto Elisabetta Palmieri, asserendo che «l’unica scelta è quella di usare la forza».

Il giorno successivo è stato quindi teatro delle violenze sopra citate, celate dietro la definizione ufficiale di «perquisizione straordinaria». Più di 100 agenti della polizia penitenziaria, equipaggiati in assetto antisommossa e con il volto coperto, hanno brutalmente seviziato i 370 ospiti del reparto. Particolarmente duro è stato il trattamento riservato ai 15 detenuti considerati come «ospiti pericolosi», i quali, dopo avere subito il pestaggio, sono stati costretti nelle celle di isolamento, con gli abiti laceri e sporchi di sangue. Uno di questi, un ventisettenne algerino affetto da schizofrenia, è deceduto 28 giorni dopo. Un ex detenuto, affetto da disabilità e costretto in sedia a rotelle, ha invece sporto denuncia contro il personale della struttura per danni morali, dichiarando di avere subito, oltre alle percosse, anche numerosi insulti e umiliazioni verbali di vario genere. Secondo la sua testimonianza, anche la direttrice del carcere avrebbe partecipato alle violenze impugnando un manganello. Palmieri ha negato questa versione, dichiarando di essere stata assente dal carcere in quel frangente per motivi di salute.

In seguito alla diffusione dei video, il ministro Cartabia ha disposto un’indagine ispettiva, che si affianca a quella penale della magistratura. 52 agenti della polizia penitenziaria sono stati immediatamente sospesi dal servizio e sottoposti a misure cautelari, mentre in tutto 117 persone, fra cui anche personale medico e dirigenti del carcere, sono indagate. Le forze dell’ordine hanno messo sotto sequestro i telefoni cellulari degli agenti, scoprendo conversazioni inquietanti che parlano di “operazione pulizia” e di “metodo Santa Maria”. Oltre al reato di tortura configurato dal gip, che ha parlato di «un’orribile mattanza», le indagini vertono anche sul possibile depistaggio descritto nelle conversazioni messaggistiche e operato da alcuni membri della polizia penitenziaria, i quali avrebbero tentato di inscenare una rivolta violenta dei detenuti in modo da giustificare il ricorso a misure drastiche. Lo stesso Fullone è stato accusato di favoreggiamento e depistaggio.

Quanto accaduto a Santa Maria Capua Vetere getta luce su una problematica diffusa in tutta Italia: le condizioni delle carceri. Solo dall’inizio del 2021 sono infatti state emesse 11 condanne per membri della polizia penitenziaria accusati di tortura, mentre numerosi altri processi sono attualmente in corso. Uno dei motivi principali di questi frequenti episodi di violenza è sicuramente l’elevato tasso di sovraffollamento delle strutture, il più alto dell’Unione europea.

Attualmente le carceri italiane ospitano infatti 53.637 detenuti a fronte di una capienza massima di 50.779. Il dato risulta anche in calo rispetto a prima della pandemia: a febbraio 2020 vi erano infatti oltre 61.000 detenuti in tutto il Paese.

Le strutture che risentono maggiormente di questa situazione critica sono il carcere di Poggioreale a Napoli e quello di Regina Coeli a Roma, mentre le regioni più sovraffollate sono Lombardia e Puglia. Anche la mancanza di occupazioni disponibili per i carcerati è ritenuto un fattore di malessere. Al momento, sono solo poco più di 2.000 i detenuti impegnati stabilmente in un’attività, mentre circa 15.000 svolgono lavori occasionali. Gli episodi violenti risultano inoltre sensibilmente aumentati dal 2015, anno di introduzione della circolare 3663/6113, che prevede una maggiore libertà per i detenuti, salvo quelli giudicati più pericolosi, all’interno della struttura. Da allora sono infatti cresciuti i numeri di colluttazioni fra carcerati, aggressioni ai danni della polizia penitenziaria, suicidi in cella e infrazioni disciplinari quali gli atti di intimidazione.

A risentire di questi cambiamenti sono soprattutto i cosiddetti nuovi arrivati, ovvero i detenuti più giovani e meno pericolosi. Tutti questi fattori, contrariamente alle indicazioni della Corte europea sulla funzione rieducativa della pena come modello, contribuiscono a creare un clima di risentimento e di scarsa vivibilità nelle carceri, che hanno un tasso di recidiva del 70%.

In seguito agli eventi di Santa Maria Capua Vetere, il ministro Cartabia ha convocato diversi incontri con i rappresentanti delle autorità carcerarie nazionali, enunciando la necessità di una maggiore videosorveglianza all’interno delle strutture e di una formazione più completa per il personale che opera all’interno di queste. Le indagini saranno estese ad altri istituti. Oggi, 14 luglio, il ministro Cartabia si recherà inoltre al carcere Francesco Uccella insieme al presidente del Consiglio Mario Draghi. Al termine della visita è prevista una conferenza stampa all’interno della struttura.

di Giovanni Benedetti