Il film di Ammendola sui meninos de rua vince il Premio Unicef 2021

Essere padre
di figli non amati

Padre Renato Chiera con uno dei suoi “meninos  de rua”
14 luglio 2021

«Stiamo affrontando un momento molto difficile in Brasile. C’è una crisi che riguarda i valori essenziali. Stiamo perdendo la capacità di amare». La voce calda e accogliente di padre Renato Chiera, sacerdote piemontese da quarant’anni in Brasile al fianco dei ragazzi di strada, guida e accompagna le immagini del film Dear Child, opera del regista Luca Ammendola. Un film intenso, duro, profondo e al tempo stesso impregnato di speranza che racconta la vita di questo missionario e dei suoi ragazzi, i suoi meninos de rua per i quali ha dedicato e continua a dedicare tutta la vita, senza risparmio di energie, anche ora che si avvicina al traguardo degli ottant’anni.

Il film ha ricevuto numerosi riconoscimenti in Italia e a livello internazionale. Tra questi il più significativo è il Best Film Unicef 2021 assegnato durante il Ferrara Film Festival nel giugno scorso. «Per l’Unicef — si legge nella motivazione — un bambino è un bambino, non fa differenza dove nasce o cresce, perché ha gli stessi insindacabili diritti e merita le giuste opportunità». La storia, prosegue ancora il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, «ci mostra il lavoro di cura, amore, dedizione che il sacerdote padre Renato Chiera utilizza per il recupero di un gruppo di ragazzi, salvati dalla droga, dalla violenza e dall’abbandono».

Il film, ambientato nella Casa do Menor fondata da padre Chiera nella Baixada Fluminense — una grande, sofferta e violenta periferia di Rio de Janeiro — vede scorrere e intrecciarsi le storie di giovani che, già nella loro adolescenza, hanno subito ogni genere di violenza e sfiorato più volte la morte. Tales a 16 anni ha già alle spalle una vita da spacciatore di droga; Josue, un anno più grande, di quella droga è diventato dipendente; Vagner a soli 14 anni ha una taglia sulla propria testa, è “condannato” dagli squadroni della morte che “ripuliscono” le periferie della metropoli brasiliana da questi giovani pericolosi che nessuno vuole.

«La più grande tragedia — ci dice padre Renato Chiera — non è essere poveri, è non essere figli, non sentirsi amati. Per questo, la nostra proposta pedagogica e psicologica cura con la “presenza” di qualcuno che li faccia sentire figli. Per questo cerco di essere padre di questi figli non amati da nessuno e di farli sentire figli del Padre di tutti noi».

«Dear Child — spiega il missionario — porta in sé un messaggio molto profondo e attuale che ha valore non solo per l’amara condizione delle baraccopoli brasiliane. È un’immersione in un mondo di emarginazione e di abbandono sconosciuto per molti. Può scuotere le coscienze e muovere all’azione». L’auspicio di padre Renato è che il film possa far «riflettere sulla dura realtà di un mondo orfano di padri. E di padri che non assumono i figli». Per il fondatore di Casa do Menor, bisogna avere il coraggio di «vedere le conseguenze di questa assenza nei figli. In Brasile come nel resto del mondo — è il suo avvertimento accorato — dobbiamo ascoltare il grido dei ragazzi. Cosa ci vogliono comunicare? Cosa ci dicono con il loro disagio? E bisogna ricordarsi di quanto diceva don Giovanni Bosco: “Non è sufficiente amare un figlio, bisogna sentire se lui si sente amato”».

Il film è dunque un’opportunità per riflettere sulla realtà dei ragazzi in ogni contesto, non solo quello estremo e drammatico dei meninos de rua. Padre Chiera è convinto che «l’amore vince la violenza» e, nonostante il dolore quotidiano di cui è testimone nella periferia di Rio, non perde la speranza. «Noi — afferma — abbiamo speranza perché crediamo nel Risorto, siamo nelle mani di Dio». Di qui l’invito del missionario a far vedere questo film ai giovani, alle famiglie, ai sacerdoti e catechisti, naturalmente nelle scuole. E poi il sogno che anche Papa Francesco, così attento e prossimo alle sofferenze dei bambini, possa vederlo. Il missionario ha anche parole di gratitudine per il regista, Luca Ammendola, «una persona di una profonda sensibilità umana e con la capacità di cogliere con delicatezza particolari inosservati».

Dal canto suo, Ammendola ha affermato che con Dear Child vuole aiutare l’opera di padre Chiera. E ha confidato di aver vissuto un’esperienza forte nel girare questo film. «La vita è semplice mi ha detto padre Renato la prima volta che ci siamo incontrati — ricorda il regista — siamo noi che abbiamo deciso di complicarla, ma è semplice. Tutto quello che dobbiamo fare è amare. Quello che è difficile è imparare come amare». Forse proprio questo può essere il frutto più fecondo di questo film che in ognuno dei suoi 76 minuti ci regala un’esperienza, drammatica e meravigliosa come la vita, per imparare, o re-imparare, ad amare.

di Alessandro Gisotti