#CantiereGiovani
La storia di Filippo Arlia, il più giovane direttore di Conservatorio d’Italia

Palestre di bellezza
dove allenarsi insieme

Filippo Arlia
12 luglio 2021

Nel 2011, a 22 anni, ha fondato l’Orchestra Filarmonica della Calabria, di cui è direttore. Il diploma in pianoforte, al Conservatorio di Vibo Valentia, è arrivato quattro anni prima, quando non era ancora maggiorenne. Dal 2014 è alla guida dell’Istituto Superiore di studi musicali Pëtr Il'ič Tchaikovsky, che ha sede a a Nocera Terinese, in Calabria. Sui social, il nome di Filippo Arlia è sempre seguito dalla frase “il più giovane direttore di Conservatorio d’Italia”, e in quanto tale è diventato l’icona del «Si può fare!». Tradotto: è difficile, ma non impossibile trasformare in lavoro il proprio amore per la musica. Nel suo già lunghissimo curriculum vitae le tappe eccellenti sono tante (dalla Carnegie Hall di New York all’Auditorio Nacional de Musica di Madrid) ma al momento il suo successo più importante si chiama Adonis ed è uno splendido bimbo di due anni, che già prova a rubare la bacchetta al papà.

Un figlio aiuta a fidarsi del futuro, perché, come ama ripetere un grande vecchio dell’architettura come Renzo Piano, i più giovani sono i messaggi che mandiamo a un mondo che non vedremo mai.

Veder crescere un bimbo rende ancora più solido l’amore per l’insegnamento — una passione, nel caso di Arlia, che c’è sempre stata, anche prima del successo internazionale, mai soppiantata dai riflettori o spenta dal turbine di un’agenda sempre più densa di progetti e responsabilità.

«Credo che la musica sia parte della mia vita sin da quando facevo le scuole elementari. Senza non potrei vivere — scrive Arlia, raccontando la sua storia — Ho capito da subito che la mia strada sarebbe stata proprio quella del musicista. La musica mi dà anima e gioia».

Si custodisce solo ciò che si ama, e non si può amare (e quindi custodire) quello che non si conosce. Per questo è così vitale insegnare musica, oltre che ascoltarla, secondo Arlia. E imparare a considerare le note sul pentagramma una disciplina “seria”, importante, formativa, dall’altissimo valore pedagogico.

«Penso che la musica possa essere un’occasione di riscatto sociale perché anche un buon ascoltatore, un giovane che acquista un disco di Brahms o di musica classica in genere difficilmente domani sarà un giovane che andrà a rubare; quindi la musica classica può essere anche uno strumento per migliorare la situazione a livello sociale. Il mio sogno personale senza dubbio è un’orchestra stabile per la mia regione, la Calabria, perché è l’unica regione italiana non avere Ico (istituzione concertistica orchestrale). Ed è l’unica regione a non avere un Teatro Stabile; questo purtroppo è un problema che affligge la nostra terra e che costringe spesso i giovani artisti ad emigrare».

La discografia può essere una soluzione sostitutiva, «acquistiamo i dischi, facciamoli arrivare a casa nostra — ripete Filippo Arlia — Non solo di musica classica, anche dischi di soul, dischi di jazz per sentirci meglio e per curare lo spirito in un momento così complicato».

Servono palestre di bellezza dove allenarsi a suonare insieme. Orchestre, teatri, sale da concerto, luoghi “abitati dalla bellezza e dalla musica.

«Se le famiglie capissero che Beethoven non è meno importante di Napoleone — taglia corto Arlia, sulle pagine di Quinte Parallele — avremmo già raggiunto un grande risultato. In Germania ad esempio se si parla di Beethoven o Brahms tutti li reputano due colonne fondamentali della cultura generale, non della cultura della musica classica».

In Calabria, continua Arlia parlando della sua amatissima terra, che non intende lasciare, «ci sono all’incirca 4 mila giovani che studiano in conservatorio, ma manca uno Stabile. Cosa possono fare al termine dei loro studi, se non andare via? Io stesso viaggio tanto e suono all’estero, ma alla fine torno sempre a casa. È stata una scelta ben precisa: per me sarebbe stato molto più facile andare a vivere in una grande città. Io mi sono posto l’obiettivo di restare nella mia terra di proposito, per migliorare la sorte di questo posto e soprattutto per dare dimostrazione che chi resta qui con l’obiettivo di migliorare le cose non è da meno di chi va via».

Vincere “facile” non basta; la vera sfida è far crescere anche il contesto in cui si vive, trasformando la gratitudine in un contagio positivo capace di generare un’onda lunga di progettualità e voglia di fare. Ma le difficoltà non mancano, e il lockdown da pandemia non ha certo migliorato la situazione, bloccando le lezioni in presenza per molto tempo. «Facciamo anche lezioni di storia della musica, di semiografia, di paleografia — spiega Arlia parlando dell’Istituto Pëtr Il'ič Tchaikovsky — e ci sono una serie di materie che prevedono anche che gli studenti possano suonare insieme come musica da camera o musica d’insieme». Tra i cinque dipartimenti di musica ce ne è anche uno dedicato agli strumenti tradizionali. «Abbiamo sette corsi di musica popolare tra cui anche il corso di lira calabrese, il primo corso di musica calabrese che esiste in un Conservatorio italiano».

Corsi e insegnamenti che durante la pandemia da coronavirus sono stati impartiti online. Non si tratta di video-lezioni ma di una piattaforma che permette agli studenti di seguire il corso, scaricare il materiale di studio e di inviare poi diversi compiti. Sono state invece sospese le classi di strumento perché legate ad un elemento che non potrà mai essere sostituito, e che ha penalizzato fortemente l’attività di ogni conservatorio: il rapporto diretto con gli allievi. «Per fare lezione di strumento musicale — continua Arlia — il contatto con il maestro è imprescindibile; è molto difficile per un maestro di pianoforte o di violino spiegare qual è la giusta posizione sullo strumento senza avere un contatto con l’allievo». L’impostazione sullo strumento, infatti, non è qualcosa che si può apprendere a distanza; un po’ come accade nella danza classica. «Come si fa una lezione online con il pianoforte? Non penso che esista il modo di correggere la postura: da secoli l’insegnante abbassa le spalle allo studente di pianoforte fino ad arrivare alla posizione corretta».

I giovani sono importanti, ripete Arlia. Pensando alla sua storia da enfant-prodige, ma non solo. Citando ancora Renzo Piano, «non sono loro a salire sulle nostre spalle, siamo noi a salire sulle loro, per intravedere le cose che non potremo vivere».

di Silvia Guidi