L’11 luglio 1924 nasceva Giuseppe Bonaviri

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lasciatemi nell’ombra

Giuseppe Bonaviri,  medico cardiologo, romanziere e collaboratore del nostro giornale, nato a Mineo (Catania) 97 anni fa
10 luglio 2021

L’11 luglio Giuseppe Bonaviri avrebbe tagliato il traguardo (oramai possibilissimo) dei novantasette anni. Bonaviri, chi? Comprensibile domanda, alla quale non riesce a dare soddisfacente risposta l’aggiunta al nome e cognome della professione: Giuseppe Bonaviri scrittore (ma fu anche medico, cardiologo, per la precisione). E chi se ne ricorda? Morì nel 2009 a Frosinone, città dove abitò a lungo e costruì la sua famiglia, sempre viva nella memoria la Sicilia della sua nascita, un angolo di mondo arcaico, in cui la poesia sbocciava irrefrenabile negli esseri umani come i fiori sulle piante. Bonaviri fu uno di quei grandi poeti che occupano pagine e pagine nella storia della letteratura, ma che pochissimi conoscono. Fu poco letto anche in vita, pur se regolarmente pubblicato e assai apprezzato dai critici (Giorgio Manganelli, per citarne uno soltanto, definì la sua scrittura di «una musicalità oppiacea, aromatosa»). Più volte inserito nella rosa degli scrittori candidati al premio Nobel, tradotto in svariate lingue (cinese, giapponese, bulgara), Giuseppe Bonaviri trascorse la vita potremmo dire da perfetto sconosciuto. Ma fu un grande narratore, un poeta dalla voce originale e fantastica. Di sé disse: «Come figura di scrittore non sono facilmente collocabile, e questo contribuisce a farmi stare in ombra. Sono stato sempre lontano dalle centrali editoriali, non ho mai fatto vita pubblica. Sono e resto un isolato».

Chi lo conobbe — e chi scrive questa nota ha avuto la fortuna di essere tra questi — lo ricorda come un uomo dolcissimo, mite, tormentato dalle nevrosi, incapace di vivere una vita normale, vale a dire aperta alle sue dure sorprese, alla sua spietata quotidianità. Ed è giusto che sia questo giornale a ricordarlo nell’occasione dell’anniversario della nascita, altrimenti dimenticato. Bonaviri scrisse a lungo per «L’Osservatore Romano», elzeviri e recensioni che fanno un bel mucchio di pagine. Tra quelli che abbiamo sottocchio, un articolo pubblicato l’11 maggio 1998 in apertura della Terza pagina. «Un’ipotesi biologica sull’origine dell’arte», il titolo. «Riflessioni di un medico scrittore», l’occhiello. L’autore vi espone una sua «modesta idea di estrazione biologica che mi pare dritto dritto ci porta a quanto Dio ci apporta, e sia presente perfino nella nostra fisiologia intrinseca, tuttora sconosciuta nella sua minuta intelaiatura dinamica…» In un altro articolo, anch’esso pubblicato dall’«Osservatore Romano» cinque anni dopo, scriveva: «Questa grande meraviglia, forza o funzione della memoria — presente, a mio avviso, oltre che negli animali, seppure vissuta in modo piatto, non creativo — esiste ovunque, nei sassi e nello stesso intimo meccanismo delle particelle elementari dell’atomo…». Da queste parole, da questo assaggio di prosa saggistica si può avere un’idea della complessità del suo pensiero e nello stesso tempo della sua elementare visione dell’esistenza. Nel recensire Il dottor Bilob, romanzo di Bonaviri, Francesco Licinio Galati, sacerdote docente di teologia morale, nel 1995 scriveva su «L’Osservatore Romano»: la scoperta «della luminosità delle cose, della musicalità dappertutto vibrante, della meraviglia che fa pensare ad allucinazioni esaltanti, tutto è poesia e fruizione di estasi che trascolarono in mondi senza tempo, risposta al dualismo di razionalità scientifica e assorbimento degli elementi di un èpos che ci appartiene».

La prima opera letteraria di Bonaviri nel 1954 fu accolta nella prestigiosa collana dei Gettoni Einaudi, diretta da Elio Vittorini. Il sarto della Stradalunga, il titolo del romanzo, uscito dalla ipersensibilità di un giovane che negli arcaici riti del suo paese (Mineo, in provincia di Catania, dove quasi un secolo prima era nato Luigi Capuana) nella immobile pena di vivere di una comunità rimasta fuori da ogni indizio di civile progresso, aveva trovato spunto per liberare la sua prorompente vena lirica. Contrariamente a quanto si sarebbe aspettato il padre, sarto, il giovane Bonaviri si era laureato in medicina, professione (lui avrebbe detto mestiere) che aveva scelto per guadagnare e nello stesso tempo rendersi utile. Nel tempo libero aveva letto tutto quanto c’era da leggere, e quel romanzo gli era sgorgato come massa d’acqua che si libera di un ostacolo (ricordo che pressappoco così mi disse parlando del Sarto della Stradalunga).

Fu una sorpresa per lo stesso Vittorini, il quale confessò che, letto il manoscritto, si era convinto che l’autore fosse un operaio bisognoso di riscatto. «Seguendo un suo modello mentale, costruito sul mito operaista, quando mi conobbe, Vittorini si meravigliò che fossi un medico», raccontò poi Bonaviri. Come poteva immaginare, l’autorevole “lettore” della casa editrice Einaudi, che quell’esordiente narratore provenisse da un luogo dove, per tradizione, contadini illetterati componevano “a braccio” versi nel loro dialetto? Raccontava lo scrittore-medico che non lontano da Mineo, su un altopiano chiamato Camuti, attorno a un roccione detto “pietra della poesia”, quando lui era bambino usavano ritrovarsi cantori di poesia spontanea provenienti da varie parti della Sicilia. Fu questa la sua vera scuola, la sua vera università. Veniva da lì la vena lirica, la poesia narrativa di Giuseppe Bonaviri. Per questo la sua scrittura funziona sempre, e sempre respira di un mondo fantastico, sia scritta in versi sia in prosa.

Per fortuna, se i suoi volumi non sono più accolti nelle librerie, è possibile trovarli, tutti e ben sistemati, nelle biblioteche pubbliche. Significativi e particolarmente affascinanti i titoli. Oltre al già citato Il sarto della Stradalunga, La divina foresta, Notti sull’altura, Il fiume di pietra, Novelle saracene, Il dire celeste, L’enorme tempo, L’incominciamento. Dovunque “atomelli vibranti” e “neutrini sonanti”, e lune che inargentano le notti, e bambini che danzano come in una visione da Mille e una notte, e sapienti saraceni e paladini in assetto di battaglia. Un piacere e un’avventura fantastica, leggere Bonaviri.

di Matteo Collura