I racconti della domenica
Marta e Maria

Nella casa dell’amicizia

Michael J. Card, «Gesù a casa di Marta e Maria»
10 luglio 2021

A Betania una casa aveva una reputazione strana. Vi abitavano due sorelle che non erano sposate. Il loro fratello anche lui era celibe. A chi lo criticava Lazaro rispondeva: Andate nel deserto di Giuda e vedrete quanti uomini non sono sposati. Il Regno di Dio è vicino.

Un rabbi che entrava nella casa di due donne era sovranamente libero di andare dove lo portava il cuore. Però i Farisei non incoraggiavano gli uomini a parlare liberamente alle donne, nemmeno alla propria moglie. Parlare troppo alle donne allontanava dallo studio della Torah.

Nella casa di Marta e Maria Gesù trovava quell’accoglienza e ospitalità che gli era stata rifiutata in Samaria.

Marta e Maria avevano un carattere differente. Si completavano molto bene. Tutte e due aspettavano la visita di Gesù nella loro casa, che il maestro chiamava la casa dell’amicizia. “Passare dall’affanno di ciò che devo fare per Lui, allo stupore di ciò che Lui fa per me”, questo amava ripetere Marta dopo ogni visita del maestro. “Passare da Dio come dovere, a Dio come desiderio”, ripeteva Maria che amava sedersi ai piedi di Gesù per ascoltare le sue parole. Sapienza del cuore di donna, intuito che sceglie ciò che fa bene alla vita e regala pace, libertà, orizzonti e sogni: la Parola di Dio.

Maria, che ben conosceva Gesù, sapeva ancora ascoltarlo stupefatta; sapeva incantarsi ancora, come fosse la prima volta. Il miracolo di Maria ancora una volta consisteva nel bere le sue parole e i suoi silenzi e contemplare i suoi occhi. Essa sapeva che Gesù non cercava servitori, ma amici; non cercava delle persone che facessero delle cose per lui, ma gente che gli lasciasse fare delle cose grandi. “Ha fatto grandi cose in me l’Onnipotente”, ripeteva anche lei. Il centro della fede è ciò che Dio fa per me, non ciò che io faccio per Dio.

Maria dopo ogni visita di Gesù diceva alla sorella: “Il primo servizio da rendere a Dio è l’ascolto. È dall’ascolto che comincia la relazione, perché ti prende una sorta di contagio quando sei vicino a un maestro come Lui, un contagio di luce quando sei vicino alla luce”. Marta rispondeva: “Tu hai trovato un nido e un cuore in ascolto, hai un rabbi tutto per te, per te una donna, a cui nessuno insegnava”.

A Maria doveva bruciare il cuore quel giorno. Da quel momento la sua vita era cambiata. Maria era diventata feconda, grembo dove si custodiva il seme della Parola, apostola: inviata a donare, ad ogni incontro, ciò che Gesù le aveva seminato nel cuore.

“Marta, Marta tu ti affanni e ti agiti per troppe cose”, aveva detto Gesù, affettuosamente raddoppiando il nome, non contraddicendo il servizio ma l’affanno, non contestando il cuore generoso di Marta, ma l’agitazione.

Era attento a un troppo che è in agguato, a un troppo che può sorgere e ingoiarti, troppo lavoro, troppi desideri, troppo correre. Prima importava la persona poi le cose. Sedersi ai piedi del maestro permetteva di imparare la cosa più importante: distinguere tra superfluo e necessario, tra illusorio e permanente, tra effimero ed eterno.

Gesù non sopportava che Marta fosse impoverita in un ruolo di servizio marginale, che si perdesse nelle troppe faccende di casa: “Tu, le diceva Gesù, sei molto di più. Tu non sei le cose che fai; tu puoi stare con me in una relazione diversa, condividere non solo servizi, ma pensieri, sogni, emozioni, sapienza e conoscenza”.

Gli atteggiamenti di Maria e di Marta erano complementari. Marta non poteva fare a meno di Maria, perché il suo servizio aveva un’unica sorgente che faceva grande il cuore. Maria non poteva fare a meno di Marta perché non c’era amore di Dio che non doveva tradursi in gesti concreti. L’amica e l’ancella erano due modi d’amare, entrambi necessari, i due poli di un unico comandamento: “Amerai il Signore tuo Dio e amerai il tuo prossimo”. Un’unica beatitudine contava: “Beati quelli che ascoltano la Parola, beati quelli che la mettono in pratica”. Le due sorelle si tenevano per mano, e quando nulla separerà l’uomo da Dio, allora nulla separerà l’uomo dal servizio all’uomo (Lc 10, 38-42). Due atteggiamenti sull’accoglienza di Gesù sono possibili, il servizio generoso per l’ospite gradito e di riguardo e l’ascolto attento alle parole del Signore. Marta svolgeva il ruolo tradizionale, ed è perfetta (Pr 30), della padrona di casa e della massaia, Maria, al contrario, inaugurava un ruolo nuovo ed essenziale per una donna: stare ai piedi del Maestro come una discepola (At 22, 3). In realtà Marta dava più importanza all’esteriorità che non all’ascolto di cui aveva perso il senso. Conseguentemente il senso del suo affannarsi: è preoccupata, ansiosa, tesa, incerta, impaziente, pungente. Marta è l’immagine di chi vive momenti di timore, di paura senza sapere più donare un sorriso e senza sapere quale sia esattamente la sua identità (o meglio, solo quella che le hanno appiccicata addosso). L’ascolto di Dio era per Maria la roccia della sua salvezza: «Tu, o Dio, roccia della mia salvezza» (Sal 89, 27). La lieta notizia che deriva dalla meditazione consiste nel fatto che Dio ha una Parola per me, e posso ascoltarla, nel silenzio e nella pace, da tale ascolto sono nutrita, cresco nella fede e mi realizzo come essere umano: “Questa parte migliore non ti sarà tolta”.

Una teologia dell’umiltà di Dio corre trasversalmente alle sacre Scritture e ritaglia storie e personaggi che rinviano allo specchio umanissimo della fragilità. Tutti compaiono con caratteri umani, né perfetti, né perfettamente virtuosi. La Bibbia non narra la storia degli angeli, ma degli uomini.

Senza la Bibbia finirebbero per sfuggire non solo le grandi e piccole opere della cultura letteraria occidentale, ma anche quelle artistiche e anche quelle musicali.

La battaglia per la Bibbia e quella per la cultura potrebbero rivelarsi la stessa lotta: quella contro l’ignoranza e contro i fondamentalismi che ormai corrono agili nel nostro mondo. Un approccio critico ci insegna l’umiltà di fronte alla parola di Dio.

di Frederic Manns