eSwatini: il piccolo Stato dell’Africa meridionale per il quale il Papa ha rivolto un appello a superare, con il dialogo, tensioni e violenze

In precario equilibrio l’ultima
monarchia assoluta in Africa

una barricata incendiata durante le proteste nella capitale Mbabane  (foto Afp)
10 luglio 2021

I riflettori dei media internazionali si sono accesi, come non accadeva da tempo, su uno Stato piccolo quanto un francobollo stampato nell’entroterra dell’Africa australe e ultima monarchia assoluta del continente. È l’eSwatini, noto come Swaziland fino al 2018, governato dal 1986 dal re Mswati iii, capo della famiglia reale Swazi. In questo lembo di territorio, al confine tra Mozambico e Sud Africa e privo di sbocchi al mare, le proteste anti-monarchiche si sono intensificate drammaticamente nelle ultime settimane. I manifestanti si sono riversati nelle piazze, per chiedere riforme politiche immediate e democratizzazione delle istituzioni.

La capitale Mbabane è stata teatro, nei giorni scorsi, di scontri tra la polizia e una folla incontrollabile. L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Unhchr) ha ricevuto notizie di decine di persone inermi brutalmente uccise o ferite e di «intimidazioni da parte delle forze di sicurezza nella repressione delle proteste». Anche le testimonianze raccolte da Human Rights Watch (Hrw) descrivono «sparatorie indiscriminate contro i dimostranti» e «violenze da parte degli stessi manifestanti», soprattutto a Mbabane e Mazini, la città più grande. Saccheggi delle imprese in tutto il Paese e distruzione su vasta scala di proprietà e infrastrutture pubbliche e private, nonché lesioni a persone, sono seguite difatti alle manifestazioni con cui la popolazione chiede al monarca, in carica da più di trent’anni, di dimettersi per consentire la transizione democratica.

È una crisi nazionale inedita per questo regno dalle dimensioni lillipuziane, che ha soffocato a lungo qualsiasi accenno di protesta di massa, e nel quale il re nomina i ministri, controlla il parlamento e i partiti politici sono banditi da quasi 50 anni. eSwatini significa “terra degli Swazi”, dal nome della principale etnia del Paese che costituisce circa il 90 per cento della popolazione. Neanche l’omogeneità etnica, garante finora di una relativa armonia, è riuscita però a sopire le aspirazioni di un popolo che, in un difficile equilibrio tra tradizione e modernità, mira alla democrazia. La protesta è, difatti, frutto di una frustrazione che viene da lontano, come sottolinea il segretario generale di Pudemo (People’s United Democratic Movement), partito di opposizione bandito dal governo.

La crisi economica, l’arretratezza sociale e la povertà estrema in cui versa la popolazione, che vive di un’agricoltura di sussistenza, è stata aggravata dalla pandemia. La disoccupazione nell’ultimo anno è arrivata al 48 per cento. Chi ha perso il lavoro è rimasto senza garanzie sociali, mentre negli ospedali non ci sono più medicine. Oltre al covid-19, il Paese affronta una situazione sanitaria complessa, in quanto detiene il triste primato mondiale di diffusione dell’Hiv, che combinata con le prolungate siccità e il conseguente calo della produzione alimentare nazionale, ha rischiato di falciare intere generazioni.

Quasi un quarto della popolazione dal punto di vista alimentare dipende dall’assistenza e un terzo dei bambini sotto i cinque anni sono malnutriti. Il 76 per cento della popolazione vive in zone rurali. Circa due terzi della forza lavoro sono impegnati nel settore agricolo, ma la maggior parte del Pil proviene dal settore industriale, in particolare dallo sfruttamento delle risorse minerarie. Il pascolo eccessivo ha impoverito i terreni. La siccità, attribuita al cambiamento climatico, e le inondazioni periodiche sono diventate problemi persistenti. I piccoli agricoltori e le imprese devono affrontare diverse sfide, tra cui l’accesso insufficiente alle infrastrutture, alla finanza e ai mercati. A questo si aggiunge la limitata disponibilità di acqua e di tecnologie agricole. Gli attivisti accusano il re 53enne di aver costantemente eluso le richieste di riforme significative, inclusa l’abolizione dei divieti sui partiti di opposizione, che sono fuori legge dal 1973.

Come brace sotto la cenere, il movimento di proteste ha preso quindi slancio la scorsa settimana, divampando in un fuoco vivo. Con il pretesto dell’aumento dei casi di covid, in tutta risposta, il governo ha imposto il coprifuoco, dispiegato l’esercito, interrotto le riunioni pubbliche, bloccato internet e ridotto l’accesso ad altri canali di comunicazione, limitando di fatto la libertà di movimento e di espressione, dunque i diritti dei cittadini. Le sorti dei circa 1,3 milioni di abitanti sono state così avvolte in una coltre di silenzio, dopo che il suono degli spari ha echeggiato notte e giorno. La mobilitazione dell’esercito nelle principali città per arginare le proteste — le più ampie e violente dalle manifestazioni dei dipendenti pubblici del 2019 che avevano già scosso il regno, senza tuttavia scoraggiare il sentimento anti-monarchico nell’ex protettorato britannico — ha portato a un rapido deterioramento della sicurezza.

I dimostranti hanno dato alle fiamme edifici e veicoli e, in alcune zone, issato barricate per le strade e saccheggiato negozi, prendendo di mira anche le proprietà appartenenti alla famiglia reale, accusata dai gruppi per i diritti umani di godere di uno stile di vita sontuoso, per un Paese dove due terzi della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Contro gli spari della polizia centinaia di giovani, principali protagonisti delle proteste, hanno risposto con lanci di pietre. «Vogliamo un governo democratico che serva gli interessi del popolo», ha detto il presidente dello Swaziland Youth Congress. Secondo quanto riferisce l’Onu, i disordini sono iniziati a maggio proprio con le proteste dei giovani che chiedevano conto della morte in circostanze poche chiare di uno studente di giurisprudenza di 25 anni, presumibilmente per mano delle forze di sicurezza. Alla fine di giugno le proteste si sono trasformate in marce quotidiane inneggianti alla democrazia, fino a degenerare. Ad accendere la scintilla è stata, in particolare, la decisione del governo di non permettere al movimento popolare di presentare mozioni in parlamento attraverso i deputati sulle varie questioni sociali. Con un decreto è stata cancellata l’unica e ultima opportunità per la società civile.

Il governo dell’eSwatini, mercoledì scorso, ha dovuto ammettere la morte di 27 persone nelle proteste. Lo ha annunciato in un’intervista a Afp, il ministro del Commercio, precisando che la maggior parte delle vittime risale alla scorsa settimana e assicurando l’avvio di un’indagine. «È stato necessario usare la forza», ha detto. Inizialmente le uccisioni erano state smentite dalle autorità, dichiarando di non aver ricevuto alcun rapporto ufficiale sulla morte dei manifestanti. Secondo il governo le distruzioni durante le proteste ammontano a circa 178 milioni di euro, mentre quasi 5.000 persone hanno perso i loro mezzi di sussistenza.

Negli ultimi giorni una calma precaria, sotto stretta sorveglianza, è scesa sul piccolo regno. Tuttavia le lunghe code fuori dai supermercati, per rifornirsi di cibo, e le stazioni di servizio a corto di carburante tradiscono l’apparente ritorno alla normalità. L’Alto commissario dell’Onu per i diritti umani (Unhchr) teme «ulteriori disordini» e chiede tanto un utilizzo parsimonioso delle misure di contenimento dell’ordine pubblico, dopo il giro di vite della scorsa settimana, quanto il ripristino di internet. L’Unhchr, inoltre, ricorda alle autorità che «le manifestazioni pacifiche sono protette dalla legge internazionale sui diritti umani, compreso l’articolo 21 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui il Paese è parte. Alla luce degli ultimi avvenimenti è stata unanime la condanna della comunità internazionale, che chiede un «dialogo inclusivo» fra tutte le parti e, soprattutto, «moderazione». Le Nazioni Unite e l’Unione africana hanno denunciato «l’uso sproporzionato della forza», chiedendo al governo locale di indagare tempestivamente in modo «trasparente, efficace e indipendente su tutte le violazioni dei diritti umani» nel contesto delle manifestazioni.

Intanto una missione d’inchiesta è stata inviata domenica scorsa dalla Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadc). I rappresentanti dell’organizzazione regionale hanno già incontrato funzionari del governo, religiosi e membri della società civile.

I prossimi giorni saranno cruciali, per intraprendere azioni che portino a una soluzione duratura e sostenibile al latente stallo politico dell’eSwatini. Una sfida tutta da giocare per un popolo che guarda al futuro e chiede libertà di espressione, riforme democratiche e sviluppo.

di Alicia Lopes Araújo