L’11 luglio la finale europea Inghilterra-Italia tra ricordi, offese, nostalgie e sogni di gloria

Il coraggio di Fantozzi
(e i camerieri)

Paolo Villaggio in una scena del film «Il secondo tragico Fantozzi» (1976)
10 luglio 2021

Inghilterra-Italia è la madre di tutte le partite, e giocarla l’11 luglio (data della finale di Madrid 1982, per quei tre che non se lo ricordino) aggiunge un sapore ancora più gustoso al piatto che si prepara per domenica. In effetti domenica si fa la storia o si torna nell’anonimato per entrambe, con una pacca sulla spalla che sa di delusione, perché le due squadre sanno che è una grande occasione che non sanno se e quando ricapiterà. L’Inghilterra perché rigioca in casa una finale dopo 55 anni, l’Italia perché non pensava di essere così avanti, e perché l’Inghilterra non sembrava la più forte del mazzo.

Si va con la mente al passato, al ricordo di altre partite storiche fra le due formazioni.

Gli azzurri “leoni di Higbury”, da poco campioni del mondo del 1934, guidati da Vittorio Pozzo perdono sì dagli inglesi per 3 a 2, ma, ridotti in dieci sin dai primi minuti, rimontano due gol col grande Peppino Meazza e a momenti pareggiano, entrando per sempre nella leggenda, tanto più di quegli anni dove l’orgoglio italico è parte di un tutto assai più ampio.

Con un salto addirittura di 40 anni arriviamo al 1973, prima vittoria italiana in terra inglese, con gol di Capello su cross di Chinaglia e Zoff che svolazza fra i pali come un ragazzino (in fondo ha solo 31 anni, e giocherà per altri dieci). Quel giorno i tabloid inglesi annunciano ironicamente la calata allo stadio di 20.000 camerieri italiani, che hanno passato senza dubbio una delle notti più belle della propria vita (stile Nino Manfredi in Pane e Cioccolata: «sono italiano, in fondo nessuno è perfetto»), a dimostrazione che il razzismo c’è in ogni latitudine; auspice della vittoria un grande Giorgio Chinaglia, «il povero sciancato puzza piedi figlio di un trattore toscano», come lo chiama Gianni Brera che lo elegge man of the match, uno che il cameriere in Inghilterra l’aveva fatto davvero da giovane al seguito della famiglia emigrata in terra gallese, prima di esplodere nella Lazio.

Arriviamo poi a uno straordinario gol di Bettega di testa in tuffo per una qualificazione ai Mondiali argentini del 1978 dove saremo protagonisti, e un altro gol di Tardelli a pochi minuti dalla fine negli Europei giocati in casa del 1980, dopo una marcatura ferrea sul grande Keegan: Schizzo, che due anni dopo ci regalerà l’urlo mondiale, faceva già le prove del Bernabeu. Una pillola c’è anche in Italia ‘90, una finale terzo e quarto posto giocata a Bari e vinta per 2 a 1, che consente a Totò Schillaci, meteora del calcio italiano di quell’edizione, di diventare capocannoniere, e poi emigrare a trovare fortuna in Giappone. Siamo poi già al 1997, una rete dell’emigrante di lusso Zola, giocatore del secolo al Chelsea, ci fa vincere 1 a 0 e ci traghetta verso i Mondiali del 1998, con Cesarone Maldini in panchina: si fermano qui le nostre vittorie a Wembley, e pensate che siamo fra i pochissimi, tedeschi a parte, ad averci vinto due volte.

La sfida successiva è agli Europei del 2012, vinta ai rigori, col cucchiaio di Pirlo a suggellare un’Italia che vola in semifinale, mentre nel 2014 vinciamo ai Mondiali brasiliani il match d’esordio per 2 a 1, con Marchisio e Balotelli, ma nessuna delle due si qualifica al turno successivo, in un girone che premia Suarez e i suoi morsi. A ben vedere sono tutte vittorie, o quasi, ma ci può essere sempre una prima volta per gli inglesi, che da 55 anni aspettano una finale, nonostante in questi anni i loro club abbiano vinto in Europa e nel mondo in lungo e in largo.

C’è poi un’altra storia più piccola nella storia più grande di questa sfida, quella di Vialli e Mancini che a Wembley, nel 1992, perdono col Barcellona la finale di Coppa Campioni, ponendo di fatto fine al giocattolo Sampdoria, che da lì non vincerà più niente. Gianluca Vialli entrando domenica nello stadio non potrà non avere un brivido freddo, l’ennesimo nella sua vita, ricordando un paio di assist del Mancio sprecati solo davanti a Zubizarreta.

Domenica si può chiudere anche questo conto, per tutti e due, insieme appassionatamente sulla panchina italiana, gemelli diversi di un Paese che sogna una vittoria anche per dimenticare, proprio come l'Inghilterra, 18 mesi di sofferenza: è anche una sfida fra due dei Paesi europei più colpiti dalla pandemia, forse è un caso, o forse no.

Ci aspettiamo un’Italia gagliarda e tosta, che scavi fossati in difesa per proteggersi dall’arrembaggio albionico, che a un certo punto arriverà, anche se ormai giocano poco all’inglese, sono diventati anche loro cittadini del mondo, Brexit docet; e poi riparta in contropiede, cercando le fasce, per servire finalmente in modo adeguato un Ciro Immobile fin qui relegato al ruolo di comparsa.

Bello poi che la madre di tutte le partite sia in contemporanea con la nonna di tutte le partite, visto che al Maracaná si gioca Brasile-Argentina finale di Coppa America: è una domenica per tifosi, ma anche per sani appassionati del gioco, come ci ha spiegato Luis Enrique martedi.

In questo caleidoscopio, non possiamo dimenticare due sfide Italia-Inghilterra cinematografiche, entrambe mai giocate ma fra le più notevoli di sempre.

La prima è quella del finale del film In nome del popolo italiano, con il severo magistrato Tognazzi che si trova per caso coinvolto nei festeggiamenti per una vittoria italiana contro gli inglesi, ed a causa dell’abbrutimento della società che gli ruota attorno (correva l’anno 1971, ed eravamo già in crisi e incattiviti, appena usciti dal boom), decide di farla pagare all’imprenditore Gassmann (maschera ideale e colpevole di tutti gli italiani che festeggiano la vittoria), che pure sa innocente, perché comunque è colpevole anch’egli di quell’abbrutimento: un film che compie 50 anni giusto quest’anno, e che andrebbe proiettato nelle scuole quando si parla di Giustizia, quella con la G maiuscola.

C’è poi l’Italia-Inghilterra del Secondo tragico Fantozzi, col mitico ragioniere nostrano obbligato ad andare a vedere per la trentesima volta la Corazzata Potemkin, mentre tutta Italia è intenta a guardare alla tv la più bella partita di tutti i tempi, con una commovente telecronaca del fantastico Nando Martellini che per una volta, finalmente, azzecca tutti i nomi dei giocatori: «Scusate l’emozione, amici che state comodamente seduti davanti ai teleschermi, nessuno escluso, ma sono 170 anni che non vedevo una partenza così folgorante degli azzurri!».

È lì che il ragionier Ugo Fantozzi, il più grande perdente della storia italica, trova il coraggio per pronunciare la sua più grande battuta di rottura di tutti i tempi, tanto più se detta da uno come lui: «Per me, la Corazzata Potemkin è una cagata pazzesca». Seguono 92 minuti di applausi dei colleghi di lavoro, increduli di fronte a cotanta presa di coscienza. Gli stessi che speriamo di fare ed ascoltare domenica per festeggiare l’Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, l’Italia che non ha paura. Per vincerla tutti insieme per una sera: Meazza, Capello, Chinaglia, Zoff, Bettega, Tardelli, Zola, Vialli, Schillaci e Balotelli, guidati in campo e fuori da Roberto Mancini. L’undicesimo della lista è quello che farà il gol decisivo: serve solo il coraggio del ragionier Ugo Fantozzi per trasformarsi da perdenti in vincitori. E non essere più, davvero mai più, camerieri.

di Alessandro Tozzi