In occasione della Giornata di riflessione e di orazione voluta dal Papa per il Paese dei cedri

La preghiera
di una ragazzina libanese

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09 luglio 2021

«Caro Gesù, Papa Francesco ci ha chiesto di pregare per il Libano. Sono una bambina e non so pregare come i grandi, posso solo raccontarti le cose che sto vivendo e provando e tu saprai come provvedere»: inizia così, con quel fiducioso abbandono al Signore che hanno i più piccoli, la preghiera scritta da una ragazzina libanese in occasione della Giornata di riflessione e di orazione per il Paese dei cedri, svoltasi in Vaticano il 1° luglio per iniziativa del Pontefice.

Tra i tanti che hanno raccolto il suo invito a unirsi spiritualmente all’iniziativa, la bimba ha confidato le proprie angosce e le proprie speranze in un breve testo in forma epistolare, che è stato tradotto in italiano dall’ambasciata del Libano presso la Santa Sede e dal quale è stato tratto un video visibile su youtu.be/Q0Gwfh ikoxu . Del resto, sono proprio i bambini a sopportare il peso di uno dei peggiori collassi economici del mondo secondo quanto rivelato dall’Unicef, il fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia: oltre il 30% di essi è andato a letto affamato e ha saltato i pasti nell’ultimo mese e il 77% per cento delle famiglie non ha abbastanza cibo o denaro per acquistarne.

Christa Joe Hojeij ha undici anni e frequenta la scuola Notre Dame de la Paix des Secours, gestita dalla suore basiliane Soarite (istituto religioso femminile di diritto pontificio, greco-melkita) nella capitale libanese. Vestita come tanti adolescenti anche occidentali, maglietta bianca, salopette di jeans e scarpe da ginnastica, con lunghi capelli neri raccolti in una coda di cavallo, nel filmato prega inginocchiata davanti a un crocifisso o mentre sgrana un rosario dinanzi a un’immagine della Vergine Maria, spiegando che a Beirut e dintorni «la vita è molto dura» perché «tanti hanno perso il lavoro. Mio padre è uno di loro», aggiunge con un riferimento al dramma della disoccupazione che attanaglia il Paese, la cui economia è quasi totalmente dipendente dagli aiuti internazionali.

«Non andiamo più a scuola, perché è stata distrutta dall’esplosione del porto», prosegue ricordando i tragici fatti del 4 agosto dello scorso anno: «Lo scoppio ha ucciso duecento persone, compresi miei coetanei e altri più piccoli, come Alexandra ed Elias», dice citando due suoi amici che non ci sono più. Le immagini di devastazione — alcune delle quali scorrono nel filmato — fecero il giro del mondo, aggravando ulteriormente una situazione già precaria in termini di accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari — con una quota significativa di serbatoi e di impianti idrici danneggiati — e provocando un grande numero di sfollati. Le condizioni di vita continuano a essere particolarmente critiche per i circa 300.000 libanesi — e almeno 100.000 sono bambini — le cui case sono state danneggiate o distrutte. Tra le conseguenze più evidenti, una difficilissima crisi politica, visto che da allora i principali partiti non riescono a trovare una maggioranza in grado di formare un nuovo governo dopo che il premier uscente, Hassan Diab, rassegnò le dimissioni dopo la sconvolgente esplosione. Ma, a meno di un anno di distanza, la comunità internazionale sembra aver dimenticato il dramma di questa gente. «Molte persone hanno perso la speranza, lasciando il Libano», denuncia la ragazzina. «I miei cugini sono partiti con i loro genitori. Molti dei miei amici di scuola sono emigrati», prosegue con un doloroso accenno alla questione della fuga di un popolo dalla propria patria, che è a sua volta accogliente verso i vicini più bisognosi, soprattutto palestinesi e siriani. Basti pensare che ospita il più alto numero di rifugiati pro capite: un milione e mezzo — di cui la metà sono bambini e adolescenti con meno di 18 anni — su un totale di poco meno di sette milioni di abitanti. «Non abbiamo elettricità, né carburante, né medicinali. Tutto è diventato molto costoso», confida, rivelando che la preoccupa sentire «i genitori parlare dei loro soldi in banca» e dire «che probabilmente sono persi per sempre».

Ma ciò che la angoscia maggiormente è vedere «per le strade molte persone e bambini che mendicano denaro» e constatare come tutto questo impedisca «di vivere la vita normale di un bambino».

E non mancano le ripercussioni psicologiche. «Sin dall’esplosione dormiamo accanto ai nostri genitori perché abbiamo paura... Temendo che accada» di nuovo: è una storia di insicurezza che si ripete, «mio padre dice che hanno vissuto le stesse cose durante la guerra; pure mio nonno; e mio bisnonno». Ogni volta, «tanti morirono» mentre «altri lasciarono il Libano»; ma «loro non sono andati via» e insegnano con l’esempio a «non avere paura».

I timori, il panico, il terrore; sentimenti che si affollano nella mente di Christa Joe Hojeij, che torna a rivolgersi direttamente a Gesù, con un’implorazione: «Anche Tu ci dici di non avere paura, ma io e mio fratello ne abbiamo. Non vogliamo più la guerra, non vogliamo perdere nessuno in guerra. Non vogliamo andarcene e lasciare la nostra terra; la nostra casa, e i nostri nonni qui da soli». Ecco allora la richiesta conclusiva, che si fa preghiera non solo per il ristretto ambito famigliare, ma per l’intera nazione: «Caro Gesù, tu sei nel nostro cuore. Tieni il Libano nel tuo».

E nell’accorato grido di questa undicenne dei nostri tempi sembra riecheggiare quello di una sua “connazionale” del passato, la cananea passata alla storia grazie all’evangelista Matteo, che ne racconta l’incontro con Gesù (15, 25) avvenuto dalle parti di Tiro e di Sidone, quindi in terra libanese, quando in preda all’angoscia, lo implorò con insistenza: «Signore, aiutami!». A ricordare l’episodio è stato proprio Papa Francesco durante la preghiera ecumenica con cui nella basilica di San Pietro ha concluso la Giornata per il Libano. «Il grido di quella donna — ha detto il vescovo di Roma pronunciando il suo messaggio — è diventato oggi quello di un intero popolo... deluso e spossato, bisognoso di certezze, di speranza, di pace. Con la nostra preghiera abbiamo voluto accompagnare questo grido. Non desistiamo, non stanchiamoci di implorare dal Cielo quella pace che gli uomini faticano a costruire in terra. Chiediamola insistentemente per il Medio oriente e per il Libano. Questo caro Paese, tesoro di civiltà e di spiritualità, che ha irradiato nei secoli saggezza e cultura, che testimonia un’esperienza unica di pacifica convivenza, non può essere lasciato in balia della sorte o di chi persegue senza scrupoli i propri interessi». Perché, ha concluso citando Giovanni Paolo ii , «il Libano è un messaggio universale di pace e di fratellanza che si leva dal Medio Oriente».

di Gianluca Biccini