Il rapporto circolare tra genitori e figli in «A cuore aperto» di Elvira Lindo

La “pietas” in famiglia

 La “pietas” in famiglia  QUO-153
09 luglio 2021

C’è un tempo per quasi tutti in cui, più o meno all’improvviso, ci si rende conto che da figli siamo diventati genitori dei nostri padri e madri. I ruoli si rovesciano e molti aspetti del rapporto si modificano. Scopriamo il perché e il per come di tanti ingorghi vissuti nel passato con chi ci è stato padre o madre. Molte durezze si smussano o, al contrario, resistono ma assediate da un cambio di prospettiva che si fa strada.

Non c’è regola. Comunque il nostro modo di guardare ai padri cambia, spesso si riescono a comprendere e anche a perdonare distrazioni, asperità, durezze.

Elvira Lindo in A cuore aperto (Parma, Guanda 2021, pagine 384, euro 19, traduzione di Roberta Bovaia) rilegge il suo passato di figlia e, soprattutto, la relazione con un padre eccentrico, stravagante, in perenne movimento, incapace di un ritmo di vita regolare, gran fumatore e bevitore, un po’ latin lover un po’ donchisciotte.

Lindo ha avuto fin da bambina piena coscienza di questo temperamento del padre: mitomane, inquieto, talvolta per lei fonte di imbarazzo. Come le è stata chiara la figura della madre, sottomessa, sofferente per problemi cardiaci e poi depressivi ma legata al marito da una passione tenace e da quattro figli generati per amore, capace di giustificarlo in tutte le sue eccentricità.

Lindo vede i suoi genitori — lo dice nella postfazione — come personaggi di un romanzo e li racconta nella loro vita errabonda attraverso l’intera Spagna per il genere di lavoro del padre.

Il romanzo si apre con il racconto di una visita al padre Manuel, ricoverato in una casa di cura. L’uomo è malconcio, anziano, ma recita sempre la parte dello sbruffone stravagante, attacca bottone con tutti, è un personaggio da farsa e infatti la figlia, che è commediografa, lo aveva spesso utilizzato nei suoi lavori facendone un tipo un po’ da satira un po’ da vignetta umoristica.

Ora però il suo sguardo è cambiato, ha tenerezza e pietas per Manuel e le pare di comprendere per la prima volta quel padre e quella madre venuta a mancare troppo presto dai quali ha ricevuto confusione e disordine ma anche una grande curiosità per i luoghi, la gente, per la varietà dei tipi umani, in una parola per la vita.

Nell’ultima parte del libro, con una scrittura scevra da ogni nota patetica, inquadra un bambino di nove anni, alla stazione di Atocha, a Madrid. È il 1939, la guerra civile ha devastato la Spagna, dappertutto solo miseria, quel bambino che indossa una giacca troppo grande, non trova nessuno ad aspettarlo ma, attraversando l’intera città raggiunge da solo la casa di una zia che con malagrazia lo accoglie, non lo ama, gli fa provare una solitudine tremenda.

Finché il bambino ricorda d’aver sentito parlare di certi zii, fratelli del padre, che vivono ad Aranjuez, riesce a compare un biglietto del treno e a raggiungere in un’ora assolata il luogo che sarà per lui casa e famiglia.

Quel bambino, coraggioso e solo, è suo padre e Elvira Lindo in A cuore aperto pare prenderlo per mano e, soprattutto, fargli da madre.

di Giulia Alberico