A Strasburgo il cardinale Parolin conclude le celebrazioni per i 1300 anni della morte di sant’Ottilia

La fede apre
nuovi modi di vivere

Il cardinale in preghiera presso la  tomba di sant’Ottilia
06 luglio 2021

Per la pace, per la diocesi e per le vocazioni sacerdotali e religiose. Sono le tre intenzioni di preghiera affidate 90 anni fa agli adoratori perpetui che da allora si alternano nel santuario sul monte Sainte-Odile, a sud-ovest di Strasburgo, dove sono custodite le reliquie di sant’Ottilia. Le ha ricordate il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, nella messa presieduta lunedì pomeriggio, 5 luglio, nel luogo dove si erge la seicentesca basilica dedicata alla patrona dell’Alsazia.

Legato del Papa alle celebrazioni dei 1300 anni dal dies natalis della santa, il porporato ha concluso così la due-giorni nel cuore del vecchio Continente, tra Francia e Germania, nella città sede del Parlamento europeo, del Consiglio d’Europa — alla cui segretaria generale, Marija Pejčinović Burić, il cardinale ha reso una “visita di cortesia” — e della Corte europea dei diritti dell’uomo. Dinanzi ai giovani della diocesi presenti alla celebrazione nel santuario, Parolin ha rievocato il contesto storico in cui nacque la pratica dell’adorazione perpetua, che oggi prosegue grazie a 52 gruppi che coinvolgono circa 2.000 persone. Nemmeno la pandemia ha interrotto la preghiera, perché essa è continuata «nelle forme consentite e nella comunione spirituale».

Da qui l’invito «a perseverare fedelmente» in questo impegno, perché le intenzioni che «erano nel cuore di coloro che hanno dato vita a questa associazione» sono quanto mai attuali. La pace, in particolare, «non è mai una conquista definitiva ma un impegno per tutti e un dono da chiedere al Signore». E lo stesso vale per le vocazioni, ricordando l’esortazione di Gesù: «Chiedete dunque al Signore della messe di mandare operai nella sua messe» (Lc 10, 2b).

La vita di sant’Ottilia, ha sottolineato il porporato, «mostra che l’intervento di Dio può cambiare prospettiva in qualsiasi momento, dare nuova vita e missione, guarire le malattie e aprire la strada a forme inaspettate di evangelizzazione». Le fonti, ha ricordato, dicono che Ottilia è nata «due volte e morta due volte: nel battesimo è rinata come nuova creatura in Cristo e ha ricevuto la vista». Infatti, si è «immersa nell’acqua battesimale e ne è uscita avvolta nella luce di Cristo e nella luce del sole». Le stesse fonti raccontano che, «per l’edificazione e l’istruzione delle sue sorelle, tornò in vita e prese il Viatico dal calice benedetto nelle sue mani, per morire di nuovo e rinascere alle gioie del cielo».

La mentalità di oggi, ha fatto notare Parolin, «rimane scettica quando si sente parlare di miracoli»; ma «in queste storie e nella devozione dei cristiani percepiamo la profonda verità che emana da questi racconti, perché ci fanno incontrare la potenza guaritrice e redentrice di Cristo». Nel caso di sant’Ottilia, mettono davanti a noi «le immense difficoltà di una bambina ripudiata dal padre che non voleva una figlia cieca in famiglia» e l’intervento liberatore del Signore che «ha voluto fare di questa persona uno strumento di benedizione e di evangelizzazione per intere moltitudini e per molte generazioni». Da parte sua, Ottilia «ha sperimentato e risposto a questo amore di preferenza amando a sua volta il Signore e fidandosi completamente di lui».

La fede dunque, ha sottolineato il segretario di Stato, apre nuove possibilità, «ci permette di riconoscere il Signore quando passa, osa chiedere ciò che è umanamente impossibile, come resuscitare i morti, e ci dà la speranza di essere guariti anche solo toccando il mantello di Gesù». La fede vede «l’invisibile e apre scenari totalmente nuovi, percorsi imprevisti, insegna nuovi modi di vivere, incoraggia il coraggio e dà perseveranza». Alla base dei miracoli di sant’Ottilia e di quelli di tanti altri santi, «c’è il miracolo radicale e la fonte della fede». E se oggi facciamo fatica ad accettare questa realtà, ha avvertito, «dobbiamo chiederci quanto è forte la nostra fede, non perché dobbiamo necessariamente credere a tutti i racconti miracolosi», che in alcuni casi possono «non corrispondere alla realtà, ma per accettare con serenità il fatto che Dio può realizzarli, come tutta la storia dimostra».