Nell’ultimo libro di Roberto Riccardi

La festa dell’inatteso

 La festa dell’inatteso  QUO-148
03 luglio 2021

Storia di Ludwig Guttmann, l’inventore delle Paralimpiadi


È dedicato a un medico che riuscì a offrire un futuro a chi non ne aveva il più recente libro di Roberto Riccardi Un cuore da campione. Storia di Ludwig Guttmann inventore delle Paralimpiadi (Firenze, Giuntina, 2021, pagine 178, euro 15). Una storia bella e poco conosciuta che doveva essere raccontata e a cui Riccardi ha felicemente offerto mente, cuore e penna. Un libro prezioso che ne contiene molti altri: è il racconto di un uomo artefice di un’avventura straordinaria; è la storia di un’Europa, fiaccata dalle violenze e dagli orrori della guerra e dello sterminio, che prova a ricominciare ed è anche una grande suggestiva riflessione sui valori della vita. Rivoluzione non è solo parola dei popoli, ma anche silenzioso ostinato coraggio di chi goccia a goccia riempie il mare e cambia il mondo.

Il libro si apre nel nome del grande Alex Zanardi, diventato amatissimo simbolo di tanti meravigliosi “cuori di campioni” come quello di Ludwing Guttmann, il protagonista di queste pagine che, sfuggito alla Shoah, riuscì a inventare un’altra storia riannodando vite all’apparenza spezzate.

Avviato agli studi umanistici Ludwig tra le materie predilige la storia e il canto ed eccelle nella corsa e nel football grazie anche a un insegnante, grande innovatore per quei tempi, che riesce a trasmettere agli allievi la sua passione per lo sport. È ancora un adolescente quando lui, ebreo tedesco, scopre tra i compagni di scuola l’antisemitismo ed è appena maggiorenne quando, entrato da volontario nei Servizi medici di Emergenza nazionale, assiste impotente alla morte di un minatore con la schiena spezzata. Cresciuto nell’insegnamento familiare che «a fare del bene non si sbaglia mai» fino alla fine assiste e conforta quell’uomo afflitto da paraplegia, di più non può fare, e quella vita che non riesce a trattenere rimane per sempre dolorosamente incisa nel suo cuore e radica in lui la scelta di diventare medico.

Nel 1938, dopo le violenze della Notte dei cristalli, Guttmann si rende conto che in Germania non c’è speranza per gli ebrei. Per sfuggire alla deportazione raggiunge l’Inghilterra e all’ospedale di Stoke Mandeville nel Berkshire, di cui diventa direttore nel 1944, si compie il suo destino. In quei feriti di guerra, quasi tutti piloti della Raf chiamati a difendere l’Europa dalla violenza nazista, vede «il meglio degli uomini» e, fedele all’imperativo dell’etica ebraica «chi salva una vita salva il mondo intero», si dedica a loro con amore e immensa dedizione curandoli come se fossero figli. Per Guttmann ogni paziente salvato, scrive Riccardi, non è una battaglia ma una guerra vinta. Perché ogni singola esistenza racchiude tutto il senso della vita.

Alleviare il dolore con sedativi e anestetici aspettando la fine, era questo il protocollo medico del tempo. Guttman mette a punto nuove tecniche di fisioterapia e di riabilitazione anche psicologica: fuori dal chiuso dell’ospedale, attività fisica, contatti umani, progetti. Comincia con una palla lanciata da un letto a un altro e prosegue con freccette, birilli, tennis da tavolo, biliardo, tiro con l’arco fino a inventare una sorta di polo sulla sedia a rotelle. Passa il tempo e Guttman guadagna credibilità e fiducia grazie ai risultati raggiunti.

Una prima svolta avviene in coincidenza con la cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra del 1948. Sono le prime dopo la pausa della guerra. Mentre nell’antica Grecia i giochi agonali, riconosciuti come momento fondativo della vita comunitaria, coincidevano con la sospensione di ogni attività bellica, nell’Europa del xx secolo avviene esattamente il contrario. Sono passati dodici anni dalle ultime Olimpiadi ma è ancora vivo il ricordo di quell’edizione all’insegna della pura razza ariana, dove gli atleti ebrei erano stati esclusi. Ma a volte la storia stupisce: «l’atteso non si compie e all’inatteso un dio apre la via» (Euripide). In una Berlino nazista, tra svastiche aquile e migliaia di braccia tese, a vincere 4 medaglie d’oro è Jesse Owens, un afroamericano che corre come il vento. Anche in questo 1948 qualcosa di meraviglioso avviene. Mentre a Londra gareggiano i più grandi atleti del mondo, a Stoke Mandeville ragazzi con disabilità, che si sono inventati atleti, si impegnano in una competizione di tiro con l’arco per ricominciare a vivere.

Una seconda e decisiva svolta avverrà nel 1960 quando, grazie al medico italiano Antonio Maglio, i Giochi di Stoke Mandeville approdano all’Olimpiade di Roma: è l’atto di nascita delle gare paraolimpiche.

Con una scrittura limpida, scorrevole. che scivola come un racconto ma ricostruisce con ricchezza e fedeltà di dati storici quegli anni e quel mondo, Riccardi riesce a restituire l’impegno, la fatica, lo slancio e la tensione morale che accompagnarono quella straordinaria avventura e a trasmettere l’emozione per i traguardi conquistati.

Ancora una volta, come sempre nei suoi libri, a prevalere è un sentimento di amore forte e pieno per la vita. Perché Riccardi coniuga in singolare armonia attività professionale e scrittura, due aspetti all’apparenza distanti, in realtà uniti in una tenace coesione. Generale dei carabinieri il suo amore per la divisa ha sempre significato lotta all’illegalità, alla criminalità organizzata, al narcotraffico, all’eversione nel segno del bene comune, del generoso spirito di servizio e del rispetto delle istituzioni. Autore di romanzi e saggi storici, oltre che di volumi istituzionali, Riccardi nella scrittura, che sente come un valore aggiunto, quasi un’esistenza in più, ripropone lo stesso patrimonio di valori che difende nella vita professionale: legalità, lotta a ogni forma di violenza e di discriminazione, condanna dell’indifferenza, celebrazione della memoria con un’attenzione particolare a chi fu vittima della Shoah e ai tanti caduti dell’eversione, servitori dello Stato e rappresentanti della società civile.

«Per realizzare grandi cose — sono parole di Anatole France — non dobbiamo solo agire ma anche sognare; non solo progettare ma anche credere». Coltivare il pensiero e tradurre il pensiero in azione, congiungere riflessione teorica a un’intensa attività clinica questo fu l’impegno di Guttmann che ottenne risultati fino ad allora impensabili. Medico innamorato della sua professione, Guttmann si rivela in queste intense bellissime pagine, un modello di solidarietà e di condivisione come dovrebbe essere, dice Riccardi, «ciascuno nel suo lavoro, perché non esiste un compito che non si rivolga al prossimo, non c’è un dovere che non abbia per corrispettivo un diritto altrui».

Dopo aver conosciuto questa storia, le medaglie che ogni atleta disabile esibisce con commozione e orgoglio diventano un monumento a un uomo che «inventando le Paralimpiadi, ha costruito una ragione per chi rischiava di perderla».

di Francesca Romana de’ Angelis