I RACCONTI DELLA DOMENICA

Giuseppe in Egitto

 Giuseppe in Egitto Giuseppe  in Egitto  QUO-148
03 luglio 2021

Con l’arrivo di Giuseppe in Egitto comincia un nuovo capitolo della storia di Israele. Due mondi si incontrano. Israele rimarrà segnato profondamente da questo incontro.

Il versetto di Genesi 39, 1 merita attenzione: «Giuseppe fu fatto scendere in Egitto», dice il testo. Questo brano espresso al passivo significa che Giuseppe fu forzato di scendere in Egitto. La discesa significò una umiliazione perché fu venduto come schiavo. Il Midrash Tanhuma propone una lettura originale: «Non leggere “fu fatto scendere”, ma fece scendere suo padre e le tribù in Egitto». Giuseppe è quello che ha provocato l’esilio del suo popolo. In Genesi 46, 4 Dio rassicura Giacobbe che non voleva scendere in Egitto: «Io scenderò con te in Egitto e ti farò risalire». Di più Giuseppe fece scendere la Presenza di Dio legata alla terra d’Israele in Egitto. Un’ultima lettura viene proposta dal Talmud, Sota 13a: «Non leggere “Giuseppe fu fatto scendere”, ma fece scendere dal loro piedistallo gli astrologi del Faraone, perché fu più forte di loro. Faraone disse: Chi è Dio? Non conosco Dio e non libererò Israele (Es 5, 4) ma dovette accettare la realtà». Uno schiavo fu capace di dare un orientamento rigeneratore alla civiltà. Le divinità egiziane furono vinte. La mitologia lasciò il posto alla storia.

Giuseppe divenne lo schiavo di Potifar che era un eunuco e comandante delle guardie, ma era incapace di risolvere i suoi problemi personali. Sua moglie gli dettava le sue volontà. Dio era con Giuseppe, perché Giuseppe era con Dio. Il carisma di Giuseppe gli venne dalla sua fedeltà ai valori della sua identità. Mise il suo talento al servizio della sua nuova patria. Potifar si rese conto rapidamente del valore di Giuseppe. «Così egli lasciò tutti i suoi averi nelle mani di Giuseppe e non gli domandava conto di nulla, se non del pane che mangiava», dice Genesi 39, 6. Per il Targum, la versione sinagogale della Bibbia, il pane è un eufemismo per parlare della sua moglie. La bellezza di Giuseppe diventerà fonte di inquietudine per lei. Perché questa tentazione? Secondo la tradizione, Giuseppe riferiva a suo padre le cattive usanze dei suoi fratelli riguardo alle loro serve. Per questo anche lui fu tentato in questo campo. Giuseppe rifiutò le tentazioni, perché non voleva peccare contro Dio. Secondo Genesi 39, 12-13 Giuseppe si mise in una situazione pericolosa, ma abbandonò la sua veste in mano alla seduttrice e scappò. Il suo vestito era il simbolo della sua identità. Ebbe la forza di resistere pensando a suo padre. La moglie di Potifar fascinata da Giuseppe, nel suo furore lo rigettò proiettando su di lui le proprie mancanze e chiese per sé l’innocenza della sua vittima. Calunniato, venduto, gettato in prigione, Giuseppe rimase silenzioso come il Servo di Isaia. Quell’uomo che aveva sognato che gli astri si prostravano davanti a lui, si ritrovò in prigione. Il suo successo presso Potifar si ripeterà nella prigione perché Dio era con lui. Interpreterà i sogni del panettiere e del coppiere che erano nei guai. Al coppiere annuncerà la sua liberazione, chiedendogli di ricordarsi di lui. Quattro volte parlerà della coppa, come se volesse accennare alle quattro coppe del Seder pasquale. Queste quattro coppe ricorderanno la condotta di Giuseppe che ha meritato la liberazione dall’Egitto.

Poi ci fu il sogno del Faraone e la fine delle prove di Giuseppe. L’incubo del Faraone era il Nilo, la fonte della prosperità dell’Egitto. Alcuni elementi incontrollabili uscivano dal fiume: vacche magre che divorano le vacche grasse, poi spighe sane che furono inghiottite dalle spighe magre. Il destino economico del suo paese era in gioco. L’universo del Faraone sembrava crollare. Faraone era l’incarnazione della divinità, il segno visibile dell’armonia cosmica. Ogni perturbazione economica minacciava la struttura della società egiziana nelle sue fondamenta. Mentre Giuseppe sognava il cielo e la terra, Faraone sognava il Nilo. Giuseppe fu venduto a causa dei suoi sogni e divenne re a causa dei sogni del Faraone che lo liberò dalla fossa. Non fu Giuseppe ad interpretare i sogni del Faraone, ma Dio. «Quello che Dio fa lo mostra al Faraone». Più tardi un altro Faraone risponderà a Mosè: «Io non conosco Yhwh e non libererò Israele». Giuseppe non si accontentò di spiegare il sogno del Faraone, ma propose soluzioni pratiche per risolvere la crisi annunciata. Diventò consigliere economico. Governare significa prevenire. Poi venne elevato alla dignità regale: ricevette un nome egiziano e sposò la figlia del sacerdote di On. Il destino di Giuseppe venne capovolto.

Finalmente Giuseppe grazie alla sua politica riuscì a salvare l’Egitto e Israele dalla carestia. Alcuni anni dopo la fame spinse i suoi fratelli, eccetto Beniamino, a cercare cibo in Egitto. Giuseppe, non riconosciuto, li fece incarcerare e, tenendo in ostaggio uno di loro chiese che tornassero a trovarlo insieme al loro fratello Beniamino. Giuseppe liberò tutti i fratelli, ma con un espediente fece accusare Beniamino per trattenerlo. Giuda si offrì al suo posto ricordando che il padre avrebbe potuto morire alla notizia della perdita di un altro figlio, tanto era stato il dolore per la scomparsa del primo figlio di Rachele. Giuseppe, vedendo il cambiamento dei fratelli, decise di perdonare e di accogliere i suoi fratelli insieme al vecchio padre Giacobbe.

Il tema del libro della Genesi era di insegnare agli uomini a diventare fratelli. I fratelli nemici sono ora uniti da vincoli di reciproca solidarietà nella cura amorevole per il loro anziano padre. L’amore fraterno ha rimosso l’odio. L’operatore di questo miracolo fu Giuseppe. La storia si ripete: la pietra scartata dai costruttori è diventata pietra d’angolo.

Melitone di Sardi nella sua lettura tipologica della Bibbia considera Giuseppe, venduto in Egitto dai suoi fratelli, come una prefigurazione di Cristo. Questa lettura messianica è radicata infatti nella tradizione della storia di Giuseppe. L’antagonismo tra Giuseppe e Giuda appare nel racconto di Genesi 37-50. Di più, certi circoli ebraici avevano sottolineato l’esagerata apertura ai pagani di Giuseppe che era un esperto di magia egizia e aveva sposato la figlia del sacerdote di On. Il destino di Giuseppe era segnato dalla vicinanza al mondo esterno non ebraico. Nascerà l’idea di due messia: il messia di Giuda e il messia di Giuseppe. Nella presentazione dei due messia, il figlio di Giuseppe cerca di realizzare il suo progetto aprendosi all’Egitto, simbolo delle nazioni, mentre Giuda, pensando al benessere della sua famiglia, diventa il modello del messia che irradia da Israele.

I Vangeli conoscono l’idea dei due messia. Cercano di dimostrare che Gesù unisce in sé gli aspetti dei due messia. Nelle genealogie di Luca e Matteo, Gesù discende da Giuda e da Davide, ma suo padre si chiama Giuseppe. Gesù viene da Nazareth, situata nella Galilea delle genti, ma è nato a Betlemme, di Giudea, luogo di origine di Davide. In alcuni passaggi Gesù appare come una riabilitazione del messia figlio di Giuseppe, contro un messia figlio di Giuda. Nel racconto di Genesi Giuda spicca tra i dodici fratelli, nei Vangeli, è Giuda che viene emarginato tra i dodici. In Genesi 37, 27 Giuda propone di vendere Giuseppe; nei Vangeli, è anche Giuda che consegna Gesù per 30 sicli d’argento. In Genesi 37 la decisione di vendere Giuseppe è seguita da un pasto per i fratelli; nei Vangeli, è durante l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli che Giuda si rivela come un avversario di Gesù.

Matteo, il Vangelo giudeo-cristiano, presenta Gesù che entra a Gerusalemme seduto su una asina e un puledro, simboli del Messia di Davide e del Messia di Giuseppe.

di Frederic Manns