Pubblicati gli scritti di Samuel Clarke sul deismo

Una “risorsa”
per l’apologetica

Samuel Clarke in un dipinto di John Simon
02 luglio 2021

La teologia cristiana ha indubbiamente un debito nei confronti del deismo, perché in definitiva la parte più consistente dell’apologetica moderna — il trattato De Revelatione — è sorta dal confronto serrato con quei deisti che negavano non l’esistenza di Dio, ma la possibilità e il darsi di una rivelazione di Dio nella storia. Ed è in fondo proprio grazie alla provocazione del deismo che lo specifico della fede cristiana si identifica oggi con la parola “rivelazione”. C’è in questo ambito un filone della storia della teologia moderna che rimane tuttora pressoché inesplorato e riguarda in particolare l’apologetica che ha segnato la modernità e che, sorta in tale epoca, è rimasta duratura nella sua forma fino a ridosso del concilio Vaticano ii . Se si citano nomi come P. Duplessis-Mornay, P. Charron, J. Abbadie, L.J. Hooke, essi ci dicono ben poco, e le loro opere di apologetica restano tutt’oggi poco praticate dagli studiosi. Questo è il caso anche del filosofo e teologo Samuel Clarke (1675-1729), citato soprattutto per i suoi sermon sull’esistenza di Dio, il legame con Newton, la polemica e il carteggio con Leibniz e A. Collins, la sua posizione ariana nell’ambito della dottrina trinitaria, ma i cui otto sermoni che fu invitato a tenere per le Boyle Lectures nel 1705 sono davvero roba per un ristretto numero tra i già pochi “addetti ai lavori”. Per questo la pubblicazione in italiano per la prima volta proprio di quei testi del 1705 con il titolo Discorso sugli obblighi immutabili della religione naturale e sulla verità e la certezza della rivelazione cristiana, presso la Collana “Cultura” delle Edizioni Studium (Roma, 2021, 326 pagine), assume un interesse forte non solo per gli accademici, ma anche, e soprattutto, per il ritorno di fiamma che l’opzione deista registra ai giorni nostri. La pubblicazione è stata curata da Antonio Sabetta (con una postfazione di Giuseppe Lorizio) il quale chiarisce in una sua lunga introduzione il senso dell’opera collocandola appunto anche nel contesto dell’apologetica moderna.. Se il concilio di Trento aveva essenzialmente impiegato il termine “vangelo” con riferimento all’orizzonte soteriologico, invece nel tempo della piena modernità compiuta con la Dei Filius del concilio Vaticano i la parola “rivelazione” diventa il concetto chiave per esprimere l’essenza del cristianesimo. E ancora oggi, nonostante siamo storicamente ben lontano da quei contesti, “rivelazione” continua ad identificare il senso ultimo della fede cristiana. Dunque il deismo ben oltre il suo circoscritto darsi storico ha avuto un ruolo centrale per l’apologetica che nella modernità fa poca distinzione fra cattolici e protestanti dal momento che il comune obiettivo (la difesa della fede) faceva passare in secondo piano le differenze dottrinali; così teologi cattolici citavano e si riferivano a opere di teologi riformati e viceversa. Il Discorso di Samuel Clarke esemplifica perfettamente quanto detto. Infatti proprio ai deisti che negano la necessità della rivelazione (in quanto la retta ragione naturale sarebbe del tutto sufficiente a farci conoscere Dio, i suoi attributi e la sua volontà), o la possibilità ed effettività storica della stessa, Clarke si rivolge per evidenziare il carattere totalmente ragionevole della rivelazione cristiana per cui anche chi segue i dettami della ragione retta non potrà non abbracciare il cristianesimo. Per certi versi sulla scia dei platonici di Cambridge, Clarke vuole dimostrare con evidenza di argomenti che il rifiuto di credere non deriva da una non sufficienza di ragioni della fede ma dalla scelta degli uomini di non voler cambiare vita e correggere i propri costumi morali corrotti.

Il punto di partenza di Clarke è al tempo stesso metafisico ed etico. Come scrive Sabetta nell’introduzione, se l’obiettivo è dimostrare la certezza sul piano della possibilità e dell’effettività storica della rivelazione cristiana così che non possano più esserci argomentazioni razionali plausibili per non abbracciarla, allora il punto di partenza è una riflessione ontologica da cui far derivare una teoria della moralità che rappresenti l’argomentazione fondamentale per stabilire la realtà della religione, cioè il bisogno di una rivelazione che vinca la generale corruzione morale del mondo che impedisce agli uomini di vivere secondo ragione

Alla necessità della rivelazione segue l’affermazione che non esiste altra religione al mondo, se non il cristianesimo, che si possa considerare con sufficiente apparenza di ragione la rivelazione della volontà di Dio all’umanità. Gli argomenti addotti da Clarke per mostrare la credibilità ovvero l’origine divina della rivelazione cristiana, oltre ai suoi contenuti, sono quelli classici dell’apologetica ovvero il compimento delle profezie, i miracoli di Gesù (è interessante che in Clarke vi sia un’accezione di miracolo molto articolata e ben diversa dall’improponibile idea tradizionale del miracolo come “sospensione delle leggi naturali”) e infine, soprattutto per noi che viviamo distanti dai fatti del Cristo, la testimonianza degli apostoli e la certezza della trasmissione autentica fino a noi di questa testimonianza.

Lorizio nella sua postfazione si ricollega all’attualità rilevando come Clarke richiami la necessità per la teologia di ancorarsi sempre alla provocazioni del tempo e dei contesti, come fece lui appunto con il deismo. In secondo luogo il teologo inglese ci mostra come l’istanza deista e illuminista sopravviva anche oggi in quelle forme che ritengono i contenuti della fede cristiana riassorbiti dal pensiero e tali da poterli affermare senza passare per la fede. E ci ricorda che l’“abbracciabilità” del cristianesimo dipende molto dalla sua capacità di essere una proposta capace di rendere gli uomini più umani; in questo oggi incontriamo una grande sfida di fronte, come rammenta C. Theobald, alla «difficoltà della tradizione cristiana a rendere credibile la sua visione globale del mondo in società che sembrano volgersi di nuovo verso modi di vita pagani e sapienze che esistevano in Occidente prima che questo divenisse cristiano e che continuano a esistere nel resto del mondo» (Urgenze pastorali, pagina 63).

di Roberto Cetera