Accanto a un popolo
ferito assetato di speranza

SS. Francesco - Basilica Vaticana - Altare della Cattedra : Preghiera per il Libano   01-07-2021
02 luglio 2021

È una speranza di pace che le nuove generazioni libanesi auspicano — chiedendo che essa non venga spenta dalle tribolazioni del presente — quella simboleggiata dalle lampade consegnate da alcuni giovani al Papa e ai capi delle Chiese del Paese dei cedri, al termine della preghiera ecumenica svoltasi all’altare della cattedra della basilica di San Pietro ieri sera, giovedì 1° luglio: è stato l’ultimo atto della Giornata di riflessione e di preghiera per il Libano voluta dal Pontefice in Vaticano con la partecipazione dei principali leader religiosi cristiani giunti appositamente da Beirut e dintorni. Quelle lampade accese — collocate poi su un candelabro al centro della piattaforma che sorreggeva l’evangeliario, prima che il vescovo di Roma leggesse il suo messaggio conclusivo — hanno sostituito il segno della pace, che nel rispetto delle normative legate alla pandemia non è stato scambiato nel modo tradizionale. Ma l’anelito di pace di un popolo ferito da una profonda crisi politica e finanziaria — per non parlare delle tremende esplosioni nel porto della capitale dell’agosto scorso — ha scandito l’intera Giornata, trascorsa nel raccoglimento dai partecipanti e da quanti hanno accolto l’invito del Pontefice unendosi spiritualmente all’appuntamento.

Il momento di preghiera in basilica, alla presenza del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede e di fedeli della comunità libanese residenti a Roma, ha avuto inizio con la processione d’ingresso, aperta dal libro dei Vangeli portato da un sacerdote: vi hanno preso parte il Papa e leader cristiani del Paese, mentre il coro eseguiva il canto tratto dal salmo 61: «Solo in Dio riposa l’anima mia».

Ai piedi dell’altare, si sono seduti l’uno accanto all’altro, con il Papa al centro. Francesco ha introdotto la preghiera, in italiano, seguito dal patriarca greco-ortodosso di Antiochia, Youhanna x , che ha pregato in arabo, dal patriarca siro-ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente, Ignazio Aphrem ii , in inglese, e dal cardinale Béchara Boutros Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti, in italiano: ciascun momento è stato intervallato dall’intonazione del versetto 6 del Salmo 46 (45): «Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare».

Quindi il catholicos di Cilicia degli Armeni, Aram i , ha letto nella propria lingua il testo Per Cristo niente è impossibile di san Gregorio di Narek; e, in siriano, Ignazio Youssef iii , patriarca di Antiochia dei Siri, ha pronunciato la preghiera «Pace, pace ai lontani e ai vicini...».

Hanno fatto seguito le letture — tratte dal libro di Geremia (29, 11-14), dal salmo 84 (83) e dalla lettera ai Romani (12, 9-21) — mentre il patriarca di Antiochia dei Greco-Melkiti, Youssef Absi, in arabo, ha elevato un’altra preghiera per la pace. Le invocazioni per la pace, in inglese e italiano, sono state proclamate dal reverendo Joseph Kassab, presidente del Consiglio supremo della Comunità evangelica di Siria e Libano, e dai monsignori Michel Kassarji, vescovo di Bairut dei Caldei, e Cesar Essayan, vicario apostolico di Bairut dei Latini.

In aramaico è stato cantato l’inno Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo.

Alla proclamazione del Vangelo (Luca 6, 17-36) hanno fatto seguito le intercessioni «per il Medio Oriente e per tutti i Paesi e le comunità che soffrono a causa di conflitti e di violenza, affinché un nuovo spirito di solidarietà e di riconciliazione sorga in tutti i settori della società e conduca alla pace e all’armonia senza discriminazione e ingiustizia»; e «per i cristiani del Libano, perché formino comunità vive e forti i cui membri siano consapevoli del loro contributo alle società a cui appartengono e alla Chiesa intera». Quindi si è pregato «per l’intera famiglia umana con tutte le sue necessità: per i poveri, gli ammalati, i giovani e gli anziani, gli emigrati e i rifugiati, per coloro che sono perseguitati a causa delle loro idee e delle loro convinzioni, affinché Dio illumini coloro che governano il destino delle nazioni e la comunità internazionale con pensieri di pace e di giustizia».

Papa Francesco ha guidato l’intensa preghiera di invocazione dello Spirito Santo, introducendo poi il Padre Nostro, che ciascuno ha recitato nella propria lingua «con semplicità di cuore e in comunione di spirito».

Infine, in silenzio, ognuno ha invocato il dono della pace.

A conclusione la consegna delle lampade accese, come simbolo della volontà dei giovani libanesi di diventare portatori della luce della pace nel mondo. Il Papa e i capi delle Chiese hanno posto la lampada sul piedistallo al centro della piattaforma, accompagnati dal canto in lingua araba «Vi do la pace, la più preziosa...», prima di impartire la benedizione.

Con la partecipazione, tra gli altri, dei cardinali Parolin, segretario di Stato, Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, e Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e degli arcivescovi Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, e Spiteri, nunzio apostolico in Libano, l’incontro di preghiera si è concluso con il canto dell’inno mariano ispirato alla spiritualità di Charbel, mentre il Pontefice donava ai presenti una formella — realizzata in ceramica di Deruta — con il logo della Giornata, raffigurante la statua della Madonna di Harissa.

Con la preghiera ecumenica è così terminata la Giornata che aveva come motto «Il Signore Dio ha progetti di pace. Insieme per il Libano». Dopo la mattinata segnata dalla venerazione della tomba di San Pietro, da un incontro a porte chiuse nella Sala Clementina del Palazzo apostolico e dal pranzo in comune a Santa Marta, nel pomeriggio Papa Francesco e i leader delle Chiese cristiane del Paese mediorientale si sono nuovamente riuniti in Sala Clementina, come nel Cenacolo gli apostoli restarono uniti in preghiera, insieme con Maria, ricevendo il dono dello Spirito che diede loro il coraggio dell’annuncio. Infine il trasferimento in pulmino alla “Porta della Preghiera” della basilica Vaticana.