Il Papa celebra la solennità dei santi Pietro e Paolo

Le colonne di una Chiesa
che spezza le catene

Un momento della celebrazione dei santi Pietro e Paolo nella basilica Vaticana
01 luglio 2021

La Chiesa guarda a Pietro e Paolo, a «due giganti della fede», e vede «due Apostoli che hanno liberato la potenza del Vangelo nel mondo, solo perché sono stati prima liberati dall’incontro con Cristo». Papa Francesco — nell’omelia per la solennità dei santi Pietro e Paolo — ha fatto riferimento al tema della liberazione e alla necessità di essere liberi da vincoli o fardelli di qualsiasi genere per essere testimoni credibili del Risorto. Lo ha fatto dall’altare della Confessione della basilica Vaticana, martedì mattina, 29 giugno, nel giorno in cui si festeggiavano i patroni di Roma, presiedendo la concelebrazione eucaristica, durante la quale ha benedetto le insegne liturgiche destinate agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno.

Il Pontefice ha invitato a riflettere sulla pedagogia di Cristo nei confronti dei due santi: «Egli — ha detto — non li ha giudicati, non li ha umiliati, ma ha condiviso la loro vita con affetto e vicinanza, sostenendoli con la sua stessa preghiera e, qualche volta, richiamandoli per scuoterli al cambiamento». Infatti — ha spiegato il Pontefice durante l’Angelus recitato successivamente dalla finestra dello Studio privato del Palazzo apostolico, con i fedeli presenti in piazza San Pietro — se si guarda alle loro vite, anche i due apostoli «sono stati testimoni», ma non sempre esemplari: «sono stati peccatori». Pietro, ha ricordato il Papa, «ha rinnegato Gesù e Paolo ha perseguitato i cristiani». Però, ha fatto notare, «hanno testimoniato anche le loro cadute». San Pietro, per esempio, avrebbe potuto far valere la sua autorità e impedire che gli evangelisti annotassero gli sbagli compiuti; invece nei libri sacri troviamo la sua storia che «esce cruda», con tutte «le sue miserie». Lo stesso fa san Paolo, che nelle lettere racconta sbagli e debolezze.

Ecco, dunque, da dove comincia il testimone: «dalla verità su sé stesso, dalla lotta alle proprie doppiezze e falsità». Infatti, il Signore può fare «grandi cose per mezzo di noi quando non badiamo a difendere la nostra immagine, ma siamo trasparenti con Lui e con gli altri». Oggi, come allora e in ogni tempo, Dio interpella ognuno con la stessa domanda: «Chi sono io per te? Ci scava dentro». Attraverso i due testimoni Pietro e Paolo, il Signore «ci sprona a far cadere le nostre maschere, a rinunciare alle mezze misure, alle scuse che ci rendono tiepidi e mediocri». Concetto, questo, approfondito anche nell’omelia, laddove Francesco ha fatto notare come Gesù abbia pregato per i due apostoli e continui a farlo anche oggi per ciascun cristiano. La pedagogia di Gesù è di rimproverare «con dolcezza quando sbagliamo, perché possiamo ritrovare la forza di rialzarci e riprendere il cammino». È qui il nucleo della riflessione: quando il Signore tocca il cuore gli dona anche la libertà. E l’uomo ha sempre bisogno di venire liberato, perché «solo una Chiesa libera è una Chiesa credibile».

Come Pietro, dunque, «siamo chiamati a essere liberi dal senso della sconfitta dinanzi alla nostra pesca talvolta fallimentare». Non solo, ma anche a essere liberi «dalla paura che ci immobilizza e ci rende timorosi, chiudendoci nelle nostre sicurezze e togliendoci il coraggio della profezia». E come Paolo, ha incalzato, «siamo chiamati a essere liberi dalle ipocrisie dell’esteriorità», a essere liberi dalla «tentazione di imporci con la forza del mondo anziché con la debolezza che fa spazio a Dio». È qui l’essenziale: liberi «da un’osservanza religiosa che ci rende rigidi e inflessibili; liberi dai legami ambigui col potere e dalla paura di essere incompresi e attaccati».

Nasce da questa constatazione l’invito a considerare l’immagine di una Chiesa «affidata alle nostre mani, ma condotta dal Signore con fedeltà e tenerezza», perché è Lui che la conduce. A vedere una Chiesa «debole, ma forte della presenza di Dio», a tenere presente l’immagine di una Chiesa «liberata che può offrire al mondo quella liberazione che da solo non può darsi: la liberazione dal peccato, dalla morte, dalla rassegnazione, dal senso dell’ingiustizia, dalla perdita della speranza che abbruttisce la vita delle donne e degli uomini del nostro tempo».

In conclusione Francesco ha rivolto un pensiero agli arcivescovi — ne erano presenti 12 su 34 — che ricevono il pallio quale «segno di unità con Pietro»: esso, ha spiegato, ricorda «la missione del pastore che dà la vita per il gregge».

Alla celebrazione ha partecipato una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, guidata dal metropolita Emmanuel di Calcedonia, venuta per il tradizionale scambio di delegazioni nelle feste dei rispettivi patroni. Al termine il Papa, accompagnato dal patriarca ortodosso di Antiochia e dal metropolita ortodosso del Patriarcato ecumenico, è sceso alla Confessione di San Pietro per una breve preghiera. Poi, insieme a loro, si è recato alla statua di san Pietro, dove ha sostato alcuni istanti.

di Nicola Gori