Antica iconografia dei principi degli apostoli

Specchio dell’unità
della Chiesa

Vetro dorato con Pietro e Paolo  (Musei Vaticani, iv secolo)
30 giugno 2021

I ritratti dei principi degli apostoli si definiscono nel corso del iv secolo, all’interno della rappresentazione dei collegi apostolici che nasce nell’arte funeraria e, in particolare, nella pittura delle catacombe e nella plastica sepolcrale, per poi avere grande fortuna nei catini absidali degli edifici di culto. I collegi apostolici, che si organizzano in semicerchio attorno al Cristo in maniera serrata e fortemente solidale, vogliono significare l’unità della Chiesa nei confronti dei tentativi di decoesione interna operati dai grandi eretici del tempo, primo fra tutti Ario. Da questi confronti emergono presto le fisionomie dei principi degli apostoli che servono a significare anche le due entità della Chiesa, nel senso che Pietro rappresenta la Chiesa ex circumcisione e Paolo quella ex gentibus: con questi significati essi vengono rappresentati nei mosaici delle basiliche romane di Santa Pudenziana e di Santa Sabina.

Il collegio apostolico — come si diceva — subisce, spesso, delle riduzioni che danno luogo a una significativa e simbolica imago brevis, per isolare, con una audace sineddoche, il perno centrale della rappresentazione. Il gruppo ternario Cristo-Pietro-Paolo viene utilizzato, innanzitutto, per esprimere l’alto concetto della maiestas, ovvero della potenza esercitata dal Cristo attraverso l’esercizio della catechesi, tanto che questi assume le sembianze e gli atteggiamenti del filosofo e del maestro, in questo è coadiuvato dai due principi degli apostoli, come succede in un suggestivo affresco dell’ipogeo di via Dino Compagni, nel senso che Pietro e Paolo si situano specularmente ai fianchi del Cristo, assumendo l’organizzazione tipica del cerimoniale di corte.

Con la pace della Chiesa, infatti, nell’iconografia paleocristiana, si fa strada una tendenza che giustappone le situazioni celesti a quelle che si svolgevano alla corte dell’imperatore, quasi per esprimere una esplicita vena polemica antimperiale che non si esaurì con l’editto di tolleranza, ma che proseguì sino a secoli del medioevo.

In questo contesto, Pietro assume quasi sempre il ruolo di primo dignitario, specialmente nelle scene della traditio legis, dove il Cristo, spesso stante su un monte paradisiaco o sistemato sul trono o sul globo del cosmo, offre un rotolo svolto a Pietro, che lo riceve, in qualche caso, con le mani velate.

La scena della traditio legis, pur ispirandosi genericamente alla consegna della legge a Mosè, non corrisponde ad alcun luogo neotestamentario, anche se vuole, innanzitutto, esprimere il concetto del primato petrino, ma vuole specialmente rappresentare il concetto della continuità del potere e, in questo senso, il Cristo assume il ruolo di promulgatore della legge e, contestualmente, quello dell’imperatore, del re e del giudice. Per questo motivo la scena si cala in un’atmosfera paradisiaca e apocalittica e Pietro appare come il naturale erede del Cristo, del suo potere in terra, del suo primato e di quello della Chiesa romana.

Il tema appare inizialmente nel mosaico del mausoleo di Santa Costanza e si diffonde nei sarcofagi romani e gallici, per poi ritornare nel mosaico del battistero napoletano di San Giovanni in Fonte, in un dipinto della catacomba di Grottaferrata, nel coperchio del cofanetto eburneo di Samagher, in alcuni vetri dorati.

Sullo schema della traditio legis — che trovò forse la sua prima traduzione figurata nell’abside della basilica di San Pietro in Vaticano — si costituì la scena della traditio clavium che si ispirò al luogo evangelico (Matteo 16, 19) e che mantenne un’atmosfera aulica, con l’apostolo Pietro che riceve le chiavi dal Cristo chinandosi e velandosi le mani. Così nel mosaico dell’altra abside del mausoleo di Santa Costanza, così in un gruppo di sarcofagi, così in un affresco delle catacombe di Commodilla, così nel sarcofago ravennate dei dodici Apostoli, dove però Pietro reca anche il signum crucis gemmato, per rievocare il suo “trionfale martirio”.

L’abbreviazione del collegio apostolico, che si può apprezzare anche nel sarcofago della traditio legis di Ravenna, conduce anche a uno schema ancora più sintetico, con i due principi degli Apostoli ai lati della croce, come nel sarcofago del principe di Istanbul, o con Pietro e Paolo affrontati in un suggestivo “faccia a faccia”, come in alcuni medaglioni devozionali, nei vetri dorati, nelle lastre funerarie e in un singolare rilievo aquileiese. Questo schema riproduce un fortunato manifesto politico, inaugurato dalla propaganda imperiale e denominato concordia Apostolorum, in funzione dell’ambizioso progetto politico-religioso della renovatio Urbis, che viene messo in atto nell’ultimo scorcio del iv secolo.

Con lo stesso significato viene creata l’originale scena dell’abbraccio tra Pietro e Paolo che, desumendo l’iconografia della solidarietà dei Tetrarchi, vuole esprimere l’indissolubile unità delle due realtà della Chiesa d’Oriente e d’Occidente. L’abbraccio tra Pietro e Paolo, che appare in un affresco di San Sebastiano e in avorio di Castellamare di Stabia, era anche presente nel perduto ciclo leoniano di San Paolo fuori le mura e avrà tanta fortuna — forse anche per il potenziamento affidato all’episodio dagli scritti apocrifi — da diventare icona bizantina di straordinaria diffusione.

Della decorazione commissionata da Leone Magno per la basilica di San Paolo fuori le mura, a cui abbiamo appena accennato, sembra rimanere un unico importante frammento, ora conservato alle Grotte Vaticane.

Il lacerto musivo, sia pure estremamente restaurato, va riferito all’arco trionfale della basilica e conserva unicamente proprio il volto di Pietro, che ci affida una delle effigi più intense e potenti dell’apostolo, dove alla solidità dell’impianto della testa si accompagna uno sguardo teso e patetico, oserei dire, consapevole del destino e della storia della sua vita.

Proprio negli anni centrali del v secolo, l’immagine di Pietro entra negli scenari più complessi degli edifici di culto, come nella Trasfigurazione della chiesa di Santa Caterina del Sinai o nel soffitto dipinto delle catacombe dei santi Pietro e Marcellino o nel mosaico — oramai del vi secolo — della basilica dei Santi Cosma e Damiano, nell’affresco della catacomba di San Senatore ad Albano, nelle pitture del cimitero di San Gennaro a Napoli, sino ai mosaici medievali della basilica di Santa Prassede.

di Fabrizio Bisconti