Letture
Un’omelia di san Giovanni Crisostomo nel libro di Alfio Cristaudo

Elia, la vedova
e la carità

Mattia Preti, «Il profeta Elia e la vedova di Sarepta» (1641-1642)
30 giugno 2021

Un testo della seconda metà del iv secolo può suggerire piste di riflessione per il cammino ecclesiale del presente? Di questa possibilità è convinto Alfio Cristaudo, presbitero dell’arcidiocesi di Catania e docente di cristologia e teologia patristica presso lo Studio teologico San Paolo del capoluogo etneo, che ha dedicato non poche energie nel tradurre dal greco l’omelia su Elia, la vedova e la carità, pronunciata in data e luogo indeterminato da san Giovanni Crisostomo, presbitero antiocheno, che tra il 397 e il 398 divenne arcivescovo della capitale imperiale, Costantinopoli (ufficio che di lì a qualche decennio sarebbe stato designato con il titolo di “patriarca”). La versione italiana ora disponibile in libreria — Elia, la vedova e la carità. Omelia sulla fratellanza (Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2021, pagine 134, euro 13) — è accompagnata da un’ampia introduzione di settanta pagine del curatore che, oltre a contestualizzare l’omelia, tenta di offrire una rilettura del tema dell’accoglienza in chiave pastorale. Il libro è impreziosito dalla prefazione del cardinale Francesco Montenegro, già presidente di Caritas italiana che, quale arcivescovo di Agrigento, accompagnò Papa Francesco nella visita a Lampedusa l’8 luglio 2013.

Le argomentazioni del Crisostomo, che fanno leva sulla disponibilità all’accoglienza da parte della vedova in Sarepta di Sidone, capace di anteporre l’accudimento dello straniero Elia al bisogno materiale dei suoi stessi figli (Crisostomo legge la lezione greca del testo di 1 Re, 17, 12 dove è riportato il plurale “figli” piuttosto che il singolare) o di superare i pregiudizi legati alla differenza della pratica religiosa (la donna è pagana, mentre Elia è giudeo), si fondano sull’insegnamento della destinazione universale dei beni creati, sicché ciò che i ricchi posseggono in eccesso e che di fatto supera i loro reali bisogni, in realtà è stato rubato ai più poveri. Giovanni Crisostomo, nei suoi scritti, invita continuamente i suoi uditori a condividere con i più poveri le proprie risorse: in tal senso, l’insistenza con cui il predicatore mostra di ritornare su questo tema, unita anche a proposte concrete di ripartizione dei beni materiali tra benestanti e bisognosi, ha indotto alcuni studiosi a parlare di un vero e proprio “comunismo cristiano” del Crisostomo.

La cornice dell’argomentazione contrappone il nazionalismo identitario giudaico con la disponibilità all’accoglienza da parte della povera vedova, ridotta anch’essa agli stenti a causa della carestia. La donna, pur non conoscendo gli oracoli profetici sulla carità e nemmeno gli insegnamenti di Cristo, accolse Elia con ogni benevolenza, «svuotando — commenta il Crisostomo — tutta la sua povertà». In questo modo i giudei mostrano di ridurre la Scrittura rivelata ad elemento di identificazione nazionale, disattendendo di fatto l’applicazione dei suoi precetti, mentre la vedova, che non era neppure giudea, senza saperlo è come se avesse agito da cristiana: Mi avete visto affamato e mi avete dato da mangiare (Matteo, 25, 42). Nell’introduzione, Cristaudo mette in evidenza come il richiamo al superamento della differenza di culto di fronte all’urgenza di esercitare la misericordia non sia un tema isolato nella predicazione del Crisostomo: anche altrove il presbitero antiocheno afferma che non è lecito fare distinzioni di persone quando si tratta di mettere in pratica il precetto della carità: un uomo che soffre è sempre un individuo che spasima e non bisogna attardarsi in domande e richieste di rassicurazione, chiedendosi chi sia e da dove venga.

L’analisi del contesto storico e culturale dell’omelia viene accompagnata da alcune riflessioni sulla vita della Chiesa nel presente: anche oggi, di fronte ai nuovi flussi migratori, Papa Francesco richiama all’impegno per l’edificazione della fratellanza tra i popoli, ricordando in diverse circostanze che il dovere della condivisione dei beni materiali non è una ideologia marxista, ma un’esigenza evangelica. Il cardinale Montenegro nella prefazione mette in evidenza come l’esempio della vedova possa aiutare a comprendere che l’esercizio della carità rifugge dai ragionamenti. «La carità non è la conclusione logica di cose possibili — scrive l’arcivescovo di Agrigento — ma è l’apertura coraggiosa verso realtà che superano la logica umana». E poi denuncia: «Ogni volta che si “ragiona” mettendo prima qualcos’altro scattano sempre gli egoismi che, moltiplicati, diventano nazionalismi e, portati a sistema, teorizzano razzismi. Tutto parte da una chiusura. Dal dire: “prima io e poi — semmai — gli altri”». Per concludere: «La vedova di Sidone ragiona al contrario: “prima gli altri, prima questo straniero, poi — forse — io e i miei figli». Che ci piaccia o no questa è la logica capovolta della carità. Ed è una scelta valoriale che precede il discorso religioso».

di Giuseppe Merola