29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo

«So a chi ho creduto»

El Greco, «San Paolo apostolo» (1610-1614)
28 giugno 2021

Stranamente, la figura di Paolo di Tarso continua ad incuriosire i filosofi. Questo è normale, perché un personaggio appassionato come Paolo può solo interrogare i suoi lettori. Inoltre, questo cristiano entusiasta era un mistico che affermava: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me».

Schalom ben Chorin aveva presentato diversi anni fa un ritratto ebraico dell’apostolo delle genti, da lui definito «il fondatore del cristianesimo». Nel mondo antico l’identità delle persone si basava sulla patria, sulla religione e sulla cultura. Paolo riuscirà a separare il rapporto tra religione e cultura.

Dopo il commento alla Lettera ai Romani di Jacob Taubes, Alain Badiou, comunista che non voleva definirsi marxista, ha voluto tornare alla discussa figura di Paolo, l’apostata più che l’apostolo, come veniva definito da alcuni. Badiou affermava che la rivoluzione del maggio 1968 fu per lui una caduta sulla via di Damasco. Dopo anni di interrogazione, Badiou dedicò a Paolo un’opera: San Paolo. Il fondamento dell’universalismo. Ciò che Lenin è stato per Marx, Paolo lo è per Gesù di Nazareth. Gesù si era confinato in un paese oscuro e aveva appena superato i limiti della Decapoli. Paolo invece aprirà la sua predicazione all’ecumene. Capì molto presto che l’inserzione del cristianesimo doveva essere fatta nei grandi centri urbani, da dove esso poteva irradiarsi verso l’entroterra. Dall’intuizione di Gesù, Paolo passa all’istituzione e all’instaurazione del cristianesimo con comunità strutturate. Paolo ha avuto l’oscura intuizione del problema della globalizzazione. La sua eccezionale cultura lo aveva reso erede di tre mondi, il mondo ebraico, il mondo greco della diaspora e il mondo romano. Dio aspetta dove ci sono le radici. L’illuminazione sulla via di Damasco aveva convinto Shaul che Gesù era il Messia, un Messia crocifisso che per gli ebrei era uno scandalo, mentre per i greci era una follia. Seguendo Taubes, Badiou vede in Paolo colui che ha avuto il coraggio di affrontare l’Impero romano con il suo culto degli imperatori, colui che ha ribaltato i valori comunemente accettati. Alla Torah dei farisei ha preferito il Messia che ogni ebreo aspettava. La società greco-romana era basata sulle apparenze. Paolo riuscirà a rovesciare questo sistema sostituendo quello del servizio e dell’agapê. In Romani, 13, 1-7 Paolo auspica un atteggiamento di prudenza di fronte alle autorità romane, mentre nei versetti 8-14 propone la vigilanza in attesa del grande giorno della salvezza. Per Paolo non c’è più né giudeo né gentile, né schiavo né uomo libero, né uomo né donna. Tutte le identità chiuse vengono respinte. Tre dialettiche che riassumono i grandi problemi del mondo sono riprese: quella del padrone e dello schiavo, quella dell’ebreo e del pagano e quella dell’uomo e della donna.

Affermare che non c’è più né uomo, né donna, non può essere l’opera di un antifemminista. Inoltre, a coloro che enfatizzavano la teologia del merito, Paolo ricorda il concetto di grazia. Non sono le opere della Torah che ci salveranno. La qualità della relazione con Dio è cambiata dalla grazia, che è un dono di Dio.

Dovremmo equiparare Paolo a un nichilista che voleva mettere in moto un processo di distruzione dell’Impero romano, come volevano Taubes e Benjamin? Questo significherebbe dimenticare che le lettere dell’apostolo sono scritti occasionali che volevano rispondere ai problemi che le comunità si ponevano. Resta il fatto che i primi cristiani, che rifiutavano di offrire l’incenso all’imperatore, erano considerati atei. Nella società antica l’individuo non esisteva in quanto tale, era membro di una tribù o della città. Paolo, invece, svilupperà una nuova antropologia e penserà alla persona che definirà come Tempio dello Spirito. Nella seconda lettera ai Corinzi si spingerà fino a presentare l’Eucaristia come fondamento di una nuova relazione dell’uomo con Dio e con il fratello. La libertà consiste a diventare una creatura nuova.

Per Badiou la nozione stessa di universalismo sta al cuore del problema dell’ebreo Shaul che sapeva bene che in Abramo tutte le nazioni dovevano essere benedette. Questo universalismo non significa il crollo delle identità singolari. Paolo sapeva che le piccole comunità da lui fondate avrebbero corso il rischio di diventare sette. Attraverso le sue lettere creerà una rete di unità e metterà in contatto queste comunità tra loro. Non c’è traccia in Paolo di un pensiero nichilista incarnato nella politica mondiale. Tutto ciò che unisce gli uomini è buono e ciò che divide è cattivo. L’ebreo è portatore di un’interiorità universale. Deve portare il nome di Dio a tutte le nazioni. I giudeo-cristiani hanno conosciuto la tentazione di ritirarsi nella loro identità. Paolo rompe questa tentazione uscendo dalla sua terra come Abramo.

Dopo questa esperienza spirituale, Paolo potrà scegliere i principali assi ufficiali dell’antichità, prendere il cursus publicus, per portare il Vangelo di Gesù in Asia Minore e in Grecia prima di arrivare a Roma. Colui che non aveva conosciuto Gesù durante la sua vita terrena, sentirà il bisogno di incontrare Pietro al quale Gesù aveva affidato il suo gregge. Paolo dopo aver rifiutato la dialettica che separa l’ebreo dal pagano, lo schiavo dall’uomo libero e l’uomo dalla donna, ha dovuto trovare un nuovo centro di identità: siamo tutti uniti nel Risorto che è vivo. Ha trovato un centro forte e propulsivo di unità. Il problema politico non è al centro del suo pensiero, poiché nella lettera ai Romani consiglia ai cristiani di sottomettersi alle autorità preposte (Romani, 13, 1). Piuttosto che le strutture politiche, egli vuole cambiare il cuore del cristiano.

Gli estremi spesso si incontrano. Non dovrebbe sorprendere che un uomo di sinistra veda in Paolo il fariseo convinto della vocazione universale di Israele, colui che ha attaccato il culto degli imperatori. Ma resta discutibile fare della lettera di Paolo ai Romani un trattato di teologia politica, dichiarando guerra a Cesare sulla base della nozione del raduno dei popoli che deve precedere la Parusia.

La dialettica hegeliana aveva presentato Paolo l’apostolo dei pagani e Pietro l’apostolo degli ebrei in tensione l’uno con l’altro. Tesi ed antitesi, era la parola d’ordine dell’università di Tübingen. Alcuni studiosi dimenticano che fu Pietro a ricevere nella comunità il primo pagano a Cesarea, il centurione Cornelio. Luca, negli Atti degli apostoli, vuol far vedere che l’unità della Chiesa esiste nonostante la teologia giudeo-cristiana di Pietro e quella dei gentilo-cristiani difesa da Paolo. Stranamente Paolo non farà altro che ripetere quello che ha fatto Pietro. La logica dell’evangelizzazione è identica. Luca smentisce l’ipotesi di Hegel e quello di Ben Chorin. Il primo opponeva Pietro l’apostolo degli ebrei e Paolo aperto ai pagani. Il secondo vedeva in Paolo il fondatore del cristianesimo. Fu soltanto apostolo intrepido di Gesù.

di Frederic Manns