29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo

Mi disse:
«Conducimi al largo»

Giacomo Manzù, «La tempesta»  (dalla copertina del libro di Parazzoli)
28 giugno 2021

La storia di Simone, figlio di Giovanni (“bar Iona” in aramaico), è stata ricostruita letterariamente da Ferruccio Parazzoli nel libro «Simone Bariona. Il pescatore di Cafarnao» (Servitium editrice, 2007, pagine 63, euro 7,50) ne pubblichiamo stralci tratti dal primo capitolo.

Spesso, di notte, mentre avvolti nei mantelli dormivamo distesi nei campi, mi sono chiesto che cosa mai mi avesse spinto a lasciare mia moglie, mia figlia, la mia barca. Non ho mai saputo rispondere.

Anche stasera, dopo tre anni di questa vita vagabonda, mentre attendiamo l’alba nella casa di Lazzaro, mi sono fatto la stessa domanda e non ho trovato risposta.

Quel giorno, quando venne a cercarmi mio fratello Andrea e mi disse: «Vieni, abbiamo trovato il Messia» io sapevo benissimo cosa volesse dire quella parola, tutto il nostro popolo se la ripeteva da generazioni, eppure io provai solo una minuscola curiosità e poi, subito, noia. Anche da Giovanni, sul fiume, ero andato per curiosità. Predicava a un’ora di cammino da Betsaida e mi era facile correre da lui quando la vista della mia bambina che non poteva né alzarsi né parlare, mi diventava insopportabile. Le parole di Giovanni mi stordivano, credevo che il dolore ciascuno di noi se lo fosse meritato con i propri peccati e questo mi acquietava come ci si acquieta quando ci si rassegna alla sofferenza fino a non sentirla più, fino a che assume il nostro stesso volto, il volto della nostra vita (…).

Così, quando Andrea mi disse che il Messia era uno di quelli battezzati da Giovanni lo seguii di malavoglia: se costui era un altro Giovanni, che speranza ci sarebbe mai stata? Eppure il mio cuore era così assetato di novità, ero così disperato di dover morire senza avere capito perché mai fossi vissuto, che mi alzai e seguii Andrea. La lucertola, liberata dalla mia presenza, era scomparsa.

Quella fu la prima volta in cui lo vidi. Era diverso da Giovanni perché, mentre Giovanni sembrava non vedere nessuno di quelli che gli stavano intorno, appena Lui mi guardò capii subito che guardava me solo, Simone, figlio di Jona, proprio me, ed era a me, a quest’uomo inutile, al quale si rivolgeva. Quello che mi disse non lo capii. Mi chiamò per nome. Era un giochino che faceva in quei primi tempi, quando ancora era Lui a darsi attorno per chiamare la gente; in seguito non glielo vidi più fare, di gente ne veniva anche troppa. Lo ripetè quel giorno stesso con Natanaele, un uomo di Cana che la sapeva lunga sulle sacre Scritture; lo fece rimanere a bocca aperta indovinando che poco prima se ne stava sdraiato sotto un fico (…).

A me, che sapesse il mio nome, non mi fece nessuna impressione: poteva aver parlato con mio fratello Andrea. Quello che non capii fu invece il fatto che, secondo Lui, io mi dovessi chiamare Cefa. Forse voleva dire che anche me aveva visto quando stavo seduto su quella pietra ad osservare la lucertola. Fatto sta che da quel giorno cominciò a chiamarmi così, Pietro, e io trovai la cosa divertente. Avere un altro nome mi faceva sentire in qualche modo, quando stavo con Lui, un uomo nuovo, non il pescatore che tutti conoscevano fin troppo bene, marito di Anna e padre di Sara la paralitica.

Cominciai a stargli dietro. Anche a Lui piaceva vagabondare per i campi e girare da un villaggio all’altro. In principio anche Lui battezzava, ma era chiaro che lo faceva più che altro per rispetto a Giovanni, tanto che quando Giovanni venne arrestato e messo in carcere, anche Lui smise di battezzare (…).

Quel giorno, mentre lavavo le reti sul lido di Genezareth, lo vidi venire verso di me: era seguito da una gran folla. Salì sopra la barca che avevo tirato in secco. «Pietro» mi disse «conducimi al largo». E mentre spingevo la barca, Lui cominciò a parlare alla gente radunata sulla spiaggia e parlò così finché la barca non fu troppo lontana dalla riva perché si potesse sentire la sua voce. Solo allora si voltò verso di me e, fissandomi come aveva fatto quella prima volta sul Giordano, «Cala le reti» mi disse. Ma io, che avevo faticato tutta la notte e non avevo preso nulla, esitavo a gettarle; ma poi, non so se per speranza o per disperazione, o per quella terribile pietà che avevo dentro per me e perfino per Lui che non era mai stato pescatore e che pure tanto ingenuamente mi invitava a gettare le reti, presi il giacchio e lo calai. E subito quello si riempì talmente di pesci che, quando ritirai la rete, per il peso la barca sembrava dovesse affondare. Allora mi misi a tremare in tutto il corpo per lo stupore, la stanchezza e la paura e vidi improvvisamente tutto l’orrore della pietà che aveva fatto della mia vita un frutto marcio.

«Signore» balbettai gettandomi ai suoi piedi «allontanati da me che sono un peccatore!».

Ma Lui, fissandomi con quello sguardo insostenibile perché era soltanto per te, così, come ti trovavi, con tutta la tua miseria e paura, «Non temere» mi disse «d’ora innanzi tu sarai pescatore d’uomini».

di Ferruccio Parazzoli