La storia di Martine Brochard e Franco Molè

Quel raggio di sole
che buca le nuvole

L’attrice e ballerina Martine Brochard in una foto degli anni Settanta
26 giugno 2021

È insolito che una ballerina, attrice e donna di spettacolo, richiami la figura di Giobbe. Nessuna più lontana dal personaggio biblico, si direbbe, di Martine Brochard, parigina trapiantata in Italia per amore del commediografo Franco Molé, interprete di film famosi come Baci rubati di François Truffaut, e per decenni al centro di numerose produzioni teatrali, televisive e sul set.

Eppure il suo libro di confessioni e memorie, I miracoli esistono solo per quelli che ci credono (Milano, Fontana di Siloe, 2021, pagine 124, euro 16), sembra recare il marchio, oltre che del dolore, anche di quella particolare elezione riservata a coloro che subiscono una successione straziante di colpi del destino.

Nel giro di pochi anni, Martine Brochard passa dalla felicità familiare, dal successo in scena e dalla vasta popolarità, alla sensazione angosciosa di solitudine assoluta, abbandonata a se stessa in una «terra che ha smesso di girare». Nel 2003, in seguito a un normale controllo medico, riceve la diagnosi agghiacciante di leucemia in fase avanzata. Mentre completa i primi cicli di chemioterapia, al marito riscontrano un tumore allo stomaco. Dopo un ultimo sguardo e una promessa di amore eterno, i due si separano; sono diretti in diverse città, e differenti ospedali.

Per Franco Molé, «l’amore della sua vita», cui l’attrice ha dedicato tutta se stessa in privato e in pubblico, sarà un viaggio senza ritorno; attende Martine invece una successione di prove sfiancanti, fisiche e spirituali insieme, sempre sull'orlo del tracollo definitivo. Persino nel momento in cui parrebbe in vista una tregua, in seguito a un provvisorio miglioramento, le capita di inciampare all’uscita dall’ospedale e di rompersi il femore. Intanto Angelo, l’amico di famiglia che ha assistito entrambi i coniugi durante il periodo più difficile, muore improvvisamente.

Nei mesi e negli anni seguenti le analisi del midollo spinale che certificano lo stato di avanzamento della leucemia si susseguono in un vortice alterno e contraddittorio di sconforto e speranza. Eppure questa sorprendente Martine-Giobbe, la ballerina di can-can che aveva incantato le platee in Una giornata alle Folies, miracolosamente non si spezza. E addirittura, a distanza di anni — anche per la scoperta di un medicinale in quel momento sperimentale, l’Imbruvica — migliora e guarisce, riuscendo a continuare la stesura del suo diario fino a oggi.

Qui si spiega il titolo del libro, con il riferimento dell’autrice ai miracoli. Martine ne registra di veri e propri, come il giorno in cui è sicura di aver visto la Madonnina bianca di piazza Giovanni xxiii , a Roma, rivolgerle lo sguardo. Altri eventi rivelatori sono soltanto simbolici: il nido d’uccello che scopre un giorno accanto alla tomba del marito, da cui un pulcino spicca il volo al suo avvicinarsi.

Altri ancora in apparenza professionali: durante un periodo di convalescenza l’attrice raggiunge faticosamente un set sorretta da un bastone, ma attinge a forze sconosciute e riesce a portare a termine anche le scene più impegnative. E non ne mancano di appena percettibili, come quando durante una preghiera rivolta al marito, sotto un cielo nuvoloso, si sente sfiorata da un imprevedibile raggio di sole.

Ma questi episodi all’apparenza inspiegabili, e invisibili agli altri, hanno un elemento in comune: sono accompagnati da un fiducioso abbandonarsi nelle braccia del Signore. L’autrice paragona la sua fede a un puntino luminoso che intravede davanti a sé, e che col passare del tempo si trasforma in una fonte di luce purificatrice e attrattiva.

Poi, in consonanza con l’anima artistica della protagonista, il racconto biografico si sdoppia, anzi si fa in tre. La descrizione delle giornate di angoscia e sofferenza si alterna con le favole dedicate ai bambini, dove traspare la necessità di accettare pienamente il dolore e le prove più difficili, sempre tenendo acceso il fuoco della speranza.

E poi, sullo sfondo, appaiono le poesie a suo tempo scritte dal padre in memoria della moglie, in cui si rispecchia l’identica attesa fiduciosa della figlia Martine, la certezza di ritrovare la persona cara in un’altra vita.

Naturalmente Martine Brochard è stata invitata a parlare del suo libro e della sua esperienza in vari talk-show televisivi, e ogni volta è scattato nei presenti quel certo qualcosa che segna la rottura delle aspettative, la presa d’atto della esistenza di una dimensione religiosa della vita. Come se, al contrario di quanto comunemente si crede, costantemente sotto incantesimo sia il trascorrere banale e scontato degli avvenimenti quotidiani, e la professione di fede equivalga invece a un risveglio, così da riconoscere la realtà, e ripristinare la consapevolezza della vita vera.

di Dario Fertilio