Un doppio compleanno celebra uno dei massimi maestri del Novecento

Matisse
e suor Jacques-Marie

 Matisse  e suor Jacques-Marie  QUO-141
24 giugno 2021

Settant’anni per la Cappella di Vence in Provenza
 e dieci per la Sala dei Musei Vaticani


È il 25 giugno del 1951 quando a Vence, una piccola, luminosa località vicino Nizza, il vescovo Rémond, attorniato da un centinaio di persone tra laici, fotografi, giornalisti, intellettuali e religiosi, benedice la cappella del Foyer Lacordaire, una comunità di suore domenicane dedite alla cura dei malati. Un episodio apparentemente marginale segna la storia dell’arte religiosa del Novecento: quella cappella dedicata alla Vergine del Rosario è l’ultimo grande capolavoro di Matisse, la Chapelle du Rosaire des Dominicaines de Vence, un’opera d’arte totale, che l’artista realizza dal 1948 al 1951. Matisse, da lungo tempo costretto quasi esclusivamente a letto per problemi di salute, non è presente alla cerimonia, e tuttavia si adopera sino all’ultimo perché tutto risulti esattamente come lo aveva pensato. Come ricorda nella lettera di saluto che indirizza al vescovo, è per lui un momento molto importante della sua vita e della sua carriera: «Quest’opera mi ha richiesto quattro anni di lavoro esclusivo e assiduo, ed è il risultato di tutta la mia vita attiva. La considero, malgrado tutte le sue imperfezioni, come il mio capolavoro».

Un omaggio di amicizia alla sua ex infermiera e modella, Monique Bourgeois, la quale qualche anno prima, non senza un certo stupore da parte dell’anziano maestro, aveva deciso di prendere il velo ed entrare nella famiglia domenicana con il nome di suor Jacques-Marie.

Una Cappella realizzata manu propria sin nei minimi dettagli, progetto architettonico incluso, un unicum per Matisse: dalle vetrate all’altare, dalle decorazioni architettoniche esterne, compresa l’esile torre campanaria, la flèche in ferro battuto, alla tovaglia d’altare ricamata, al tabernacolo; sino alla raffinatissima porta del confessionale, in legno bianco traforato come una tenda araba. Per far fronte all’impegno Matisse sospende la realizzazione di ogni dipinto da cavalletto e quasi di ogni altro lavoro, e decide di trasferirsi dalla villa Le Rêve, dove aveva abitato sino a quel momento, nel grande studio nell’Hotel Regina di Nizza, dove ha a disposizione pareti di dimensioni analoghe a quelle della futura cappella.

Quattro anni di lavoro per il quale il maestro, agnostico, si è sentito “chiamato” dal destino, come dirà in uno scritto pubblicato poco dopo: un lavoro svolto per lo più dal letto o in poltrona, dove compone innumerevoli disegni e ritaglia le coloratissime gouache découpé che comporranno i bozzetti preparatori per le vetrate dell’edificio. Per tutto il tempo scrive e si confronta con i suoi interlocutori domenicani: padre Marie-Alain Couturier, figura fondamentale nello snodo dell’arte cristiana francese progressista, il giovane frate Régamey che ne accoglierà l’eredità intellettuale, la stessa suor Jacques-Marie, ma anche la vera committente della cappella, la madre superiora della comunità, mère Agnés du Jésus, un personaggio che è rimasto più ai margini della vicenda e che invece ha avuto un ruolo di assoluto rilievo, come dimostra il carteggio avuto con l’artista, che oggi si conserva nelle Collezioni Vaticane.

Una sala nei Musei del Papa


È nel 1973, in concomitanza con la nascita della Collezione d’Arte Religiosa Moderna voluta da Paolo vi , che la storia della cappella comincia a intrecciarsi con quella dei Musei Vaticani, grazie al lascito, da parte delle Domenicane di Vence, di un cospicuo nucleo di opere: il prezioso modellino della torre campanaria, una serie completa di paramenti liturgici appositamente disegnati da Matisse secondo le occorrenze e i colori dell’anno preconciliare, una delle sei fusioni esistenti del crocifisso in bronzo per l’altare, e infine una serie di litografie della Vergine con il Bambino.

Nel 1980 si aggiunge la straordinaria donazione da parte di uno dei figli dell’artista, Pierre Matisse – famoso gallerista a New York – con il benestare della primogenita, Marguerite. Grazie a loro giungono in Vaticano i grandi modelli definitivi, in scala 1:1, per le vetrate del coro e della navata della cappella, e per uno dei murali realizzati in bianco e nero su mattonelle di ceramica.

Queste accessioni straordinarie hanno dato corpo a uno dei più importanti insiemi collezionistici di opere matissiane in Europa. Le opere sono oggi per la maggior parte visibili al pubblico raccolte all’interno di una sala appositamente concepita per contenerle, realizzata nel giugno del 2011 grazie al sostegno dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums, in particolare di Liana Marabini, presidente del Capitolo di Montecarlo. All’interno dell’imponente Sala Marescalcia, i visitatori possono ammirare le tre gouache découpé del progetto finale delle vetrate dedicate all’Albero della Vita, di oltre cinque metri di altezza e sei metri di lunghezza, nei quali Matisse mette a punto la sua scelta cromatica e stilistica per le grandi vetrate che occupano interamente i lati sud e ovest della cappella.

Dai primi progetti – ricordati in un video in sala – nei quali ipotizza di realizzare una combinazione di colori sgargianti, l’artista riduce la sua tavolozza ai soli blu, verde e giallo, affidando ai riflessi luminosi, prodotti dai vetri nelle diverse ore del giorno, il compito di proiettare i colori dell’iride sul pavimento che sceglie di lasciare bianco. Affianca queste gouache il magnifico cartone raffigurante la Vierge à l’Enfant, un disegno a matita, china e carboncino di oltre tre metri di altezza per sei di lunghezza, nel quale Matisse realizza, con numerosi pentimenti, la ieratica e accogliente figura della Vergine che tiene in braccio il Bambino Gesù, raffigurato in piedi, con le braccia aperte.

Le loro figure, sintetiche ed eleganti, pur prive di volto conservano uno slancio e una potenza magnetiche. L’artista raggiunge questa sintesi dopo un lungo processo di elaborazione, riempiendo decine di quaderni, blocchi e bozzetti, nei quali da composizioni dettagliate e descrittive, arriva a immagini via via più essenziali che, tuttavia, non corrispondono alla realizzazione finale: infatti, nel momento in cui Matisse dipinge sulle ceramiche bianche, non è contento del risultato ed esegue senza cartone la composizione che oggi è in cappella.

Parte del processo creativo è raccontato all’interno di una vetrina, posta subito prima della sala, dove sono allestite, a rotazione, le casule, alcune lettere a mère Agnés corredate da disegni progettuali e motivi decorativi, e alcune litografie dedicate al volto della Vergine e al suo tenero abbraccio con il Bambino. Completa la sala una prima fusione del Crocifisso destinato all’altare in pietra rosata che si trova al centro del presbiterio.

La conservazione, un compito complesso


Sino al 2011, quasi nessuna di queste opere era visibile al pubblico, per ragioni conservative. Particolarmente problematici risultano i bozzetti per le vetrate, composti da carta colorata e ritagliata (le gouache découpé), incollata su grandi fogli di carta biancastra di modesta qualità, a loro volta incollati su carta da pacchi che un ulteriore strato di colla fa aderire su tela. Ognuno di questi materiali reagisce alle variazioni di temperatura e di umidità in modo differente, richiedendo un controllo microclimatico costante, attraverso macchinari per il trattamento dell’aria e procedure manutentive a cadenza periodica, di cui si occupano con grande rigore l’Ufficio del Conservatore, diretto da Vittoria Cimino, e il Gabinetto di Ricerche Scientifiche applicate ai Beni Culturali, diretto da Ulderico Santamaria.

Insostituibili sono anche l’occhio umano e l’esperienza fornita dal Laboratorio di Restauro Opere su Carta, diretto da Chiara Fornaciari da Passano.

La Sala Matisse dei Musei Vaticani con le sue opere monumentali racconta il miracolo della creazione. Racconta la tensione, lo sforzo e la passione che accompagnano l’artista verso il punto di equilibrio in cui armonia, poesia e bellezza si incontrano e si confondono nella composizione dello spazio sacro.

di Micol Forti
e Rosalia Pagliarani
Curatore
e Assistente curatore
della Collezione Arte Moderna e Contemporanea – Musei Vaticani