Oecumene
Anniversari

Passi dello stesso cammino

Michael Torevell, «Road to Emmaus» (2020)
23 giugno 2021

Cinquant’anni fa nascevano il Consiglio portoghese delle Chiese cristiane e la Comunità di lavoro di quelle in Svizzera, precedute nel 1951
dal Ncc negli Usa 


Il 21 giugno 1971 nasceva il Gruppo di lavoro delle Chiese cristiane in Svizzera (Ctec): la Chiesa evangelica riformata, la Chiesa cattolica romana, la Chiesa cattolica-cristiana e metodista, l’Esercito della salvezza e la Federazione delle comunità battiste della Svizzera tedesca presero la decisione di costituire questo organismo per favorire un cammino di conoscenza e di riconciliazione in modo da affrontare insieme le questioni pastorali e rendere più evidente la presenza dei cristiani nel Paese elvetico, dove erano evidenti gli effetti della secolarizzazione. La fondazione del Ctec si collocava in un orizzonte di rapporti ecumenici che, da decenni, caratterizzavano la vita della Chiese in Svizzera, anche se in forme che dovevano tener conto della crescita del movimento ecumenico internazionale e delle perplessità della Chiesa cattolica; questi rapporti avevano subito una svolta con la celebrazione del Vaticano ii che aveva aperto nuove prospettive di testimonianza comune alla luce del sole, con delle ricadute immediate, in Paesi, come la Svizzera appunto, dove era già in atto una collaborazione ecumenica.

Fin dai primi passi dell’azione del Ctec, centrale è stata l’attenzione per giungere a un mutuo riconoscimento del battesimo, come gesto tangibile del superamento delle divisioni e contrapposizioni che avevano profondamente segnato i rapporti tra cristiani in Svizzera per secoli. Si trattava di un percorso, non semplice, che giunse a un primo risultato il 17 luglio 1973: la firma di un documento con il quale tre Chiese nazionali, che facevano parte del Ctec, si impegnavano a favorire una comune comprensione del battesimo e, soprattutto, a mettere fine alla cosiddetta pratica del “ribattesimo”. Nel corso degli anni il Ctec ha mantenuta viva l’attenzione sulla centralità del riconoscimento del battesimo nel cammino ecumenico in Svizzera, come indicano riflessioni e iniziative, che hanno portato alla redazione e alla firma della “Dichiarazione di San Vitale”, il 21 aprile 2014. Con essa si è avuto un ulteriore approfondimento del rilievo ecumenico della riflessione teologica sul mutuo riconoscimento del battesimo, tanto da essere condivisa da un numero crescente di Chiese nazionali e costituendo un punto di partenza per un dialogo nella Ctec e della Ctec con le altre Chiese in Svizzera, soprattutto quelle che sono presenti nell’organismo ecumenico con lo status di “ospiti”. Un altro passaggio fondamentale è stata la sottoscrizione, nel 2005 in un incontro nazionale, della Charta œcumenica, con la quale rilanciare la priorità di un ecumenismo, radicato sulle sacre Scritture, in grado di affrontare le sfide delle comunità locali in uno spirito che valorizzi l’identità delle singole confessioni cristiane, non solo quelle storicamente presenti in Svizzera. E questo per favorire, anche grazie al cammino ecumenico, la definizione di nuove forme di convivenza, alla luce della formazione di Chiese cristiane in conseguenza dei recenti fenomeni migratori. Si trattava di una linea che trovava conferma in questo atto pubblico, rafforzando l’azione della Ctec nel sostegno alla nascita di organismi ecumenici locali con i quali declinare il cammino ecumenico in una forma che consentisse, alla luce delle diverse realtà, il suo radicamento nella vita quotidiana anche grazie alla partecipazione di tutti i cristiani. Da questo punto di vista di particolare interesse è l’esperienza della Comunità di lavoro delle Chiese cristiane nel Ticino (Clcct), nata il 23 gennaio 2000 nella cattedrale di Lugano e giunta a raccogliere otto Chiese, lasciando la porta aperta a nuovi ingressi. Nell’approssimarsi del cinquantesimo anniversario della propria fondazione, nel volgere lo sguardo a quanto fatto e detto per l’ecumenismo in Svizzera, dall’accoglienza dei migranti alle iniziative per una cultura della pace, al sostegno di progetti internazionali, alla campagna per una sempre migliore conoscenza della Bibbia, appare evidente che il Ctec ha saputo muoversi per la ricerca di un’unità con una riflessione teologica che avesse delle conseguenze nella vita delle Chiese, accompagnata da gesti ecumenici nazionali con i quali sollecitare nuove prospettive di dialogo. Per questo appaiono sempre attuali le parole di san Giovanni Paolo ii pronunciate in occasione di un incontro con la Ctec, a Roma, il 10 novembre 1988, quando il Pontefice apprezzò il lavoro delle Comunità di lavoro delle Chiese cristiane che si definivano una “comunione provvisoria in crescita”: «Da questa comunione dovrebbero nascere, se non delle soluzioni definitive, almeno delle risposte stimolanti a questi problemi pastorali, risposte elaborate e messe in atto in una collaborazione comune, perseverante, audace e fiduciosa».

Può apparire uno scherzo della storia il fatto che, pochi giorni prima della nascita del Ctec, veniva alla luce un altro organismo ecumenico, in un’altra parte del mondo: il 10 giugno 1971 venne istituito il Consiglio portoghese delle Chiese Cristiane (Copic), con il quale giungeva a compimento un percorso, iniziato formalmente nel 1956, dalla Chiesa metodista, dalla Chiesa presbiteriana e dalla Chiesa cattolica apostolica che avevano dato vita a una prima forma di cooperazione ecumenica, creando la Commissione interecclesiastica portoghese. Nel corso degli anni, come è stato ricordato il 12 giugno, durante una celebrazione ecumenica per il cinquantesimo anniversario della fondazione del Copic, il Consiglio ha mantenuto fede al suo impegno iniziale: promuovere una maggiore comprensione delle peculiarità delle identità dei membri, da leggere all’interno di un comune impegno per la costruzione dell’unità visibile della Chiesa, in sintonia con gli organismi ecumenici internazionali, con un apporto concreto nella difesa dei diritti umani contro ogni forma di discriminazione e nell’affermazione della libertà religiosa. Si trattava di un programma che, nel Portogallo del 1971, aveva una dimensione ecclesiale dall’impatto sociale molto forte, in grado di segnare la prima fase della vita del Copic che ha saputo creare con la Chiesa cattolica rapporti di conoscenza e di collaborazione, in uno spirito ecumenico che oggi guarda all’importanza della testimonianza cristiana, in particolare nella lotta alle povertà e a un ripensamento delle dinamiche economiche alla luce di un’ecologia integrale.

Di qualche mese fa è invece il settantesimo anniversario dell’inizio ufficiale dell’attività del Consiglio nazionale delle Chiese di Cristo negli Stati Uniti (Ncc-Usa), che nasceva, senza la partecipazione della Chiesa Cattolica, con alle spalle anni di impegno delle Chiese, soprattutto quelle legate al mondo della Riforma, per azione dei cristiani nella società statunitense a difesa degli ultimi tanto che risale al maggio del 1908 l’istituzione del Consiglio federale delle Chiese. Con il Ncc-Usa, costituitosi alle fine del novembre 1950, ma attivo dal gennaio successivo, si voleva proseguire in questa direzione, arricchita dall’esperienza più recente del cammino ecumenico, al punto che uno dei primi atti fu quello di sostenere una nuova traduzione delle sacre Scritture in lingua madre e una Commissione teologica per approfondire patrimonio comune e questioni aperte. Nei suoi primi settant’anni di vita il Ncc-Usa ha promosso e collaborato, a livello locale, nazionale e internazionale, a un’infinità di progetti e di iniziative, cercando di offrire risposte condivise a domande che attraversano le Chiese e la società. Come, solo per fare l’esempio più recente, nel caso della lotta a ogni forma di discriminazione, di razzismo e denunciando i limiti nella campagna di vaccinazione anti-covid, sempre in nome di Cristo, nel rifiuto della violenza, nella convinzione che la pace si costruisce solo con il dialogo. In questo cammino ecumenico il Ncc-Usa ha saputo creare “ponti”, tanto da veder crescere il numero dei membri, aprendo spazi di collaborazione con la Chiesa cattolica oltre a favorire dialoghi e iniziative interreligiose, soprattutto dopo i fatti dell’11 settembre 2001. Nel dispiegarsi di questa sua attività, nella quale non sono mancate e non mancano tensioni con cristiani che sostengono la necessità della pena di morte, il ricorso alle armi tra le opzioni per la pace, una salvaguardia del creato sottoposta alle esigenze materiali dell’uomo, solo per citare alcune delle questioni che attraversano il dibattito ecumenico negli Stati Uniti, il Ncc-Usa è stato un punto di riferimento, con documenti e iniziative pubbliche, sollecitando ad avere sempre presente che la Chiesa tutta è chiamata a proclamare la Parola di Dio e a esprimere l’amore di Cristo per tutti, ovunque e sempre.

Tre anniversari di organismi ecumenici in Paesi così diversi nella storia della presenza cristiana e del suo rapporto con le istituzioni politiche testimoniano quanto il cammino ecumenico, che appartiene a tutti i cristiani, chiamati a parteciparvi in nome del comune battesimo, debba essere poi declinato alla luce della esperienza locale, sempre in una prospettiva di un’unità visibile e piena della Chiesa per essere luce di una comunione missionaria che cambia il mondo.

di Riccardo Burigana