Paolo Bartolini e Lelio Demichelis dialogano su potere, pandemia e liberazione

L’utopia è l’unico antidoto

Il filosofo Hans Jonas
23 giugno 2021

«Il pensiero critico che verrà impiegato nelle pagine a seguire — contro una modernità nichilistica in sé, contro la crescente dis-umanizzazione dell’umano e contro l’artificializzazione e la nientificazione del sociale e del naturale — non si propone di tornare a una pre-modernità che nessuno rimpiange, ma di superare anche una falsa post-modernità (in realtà iper-moderna nella sua forma e nei suoi effetti) e di porre le basi concettuali per immaginare una vera post-modernità, umanistica ma non antropocentrica né tecno-centrica, solidale, sostenibile e responsabile». Quest’ampia citazione tratta dall’Introduzione del libro di Paolo Bartolini e Lelio Demichelis, La vita lucida. Un dialogo su potere, pandemia e liberazione (Milano, Jaca Book, 2021, pagine 202, euro 20), concepito in forma di colloquio fra i due autori, fa immediatamente comprendere in che contesto culturale si collochi il volume e quale sia il messaggio di fondo che intende consegnare al lettore. La pandemia può diventare occasione per riflettere sul presente e sul futuro dell’umanità, e questo è ciò che Bartolini e Demichelis hanno avuto in animo di fare al fine di rimanere lucidi quanto più possibile.

Conquistare una particolare lucidità che permetta di guardare con occhio nuovo e libero ciò che sta accadendo intorno a noi: questo premeva agli autori, che non nascondono di osservare con grande preoccupazione lo svolgersi degli eventi in un mondo che, a loro giudizio, è sempre più disumano, sempre più inospitale, sempre più dominato da poteri e interessi che non vanno nella direzione della solidarietà, del rispetto, della gentilezza.

Il rischio è che tramonti la speranza e trionfi il nichilismo, mentre appare assolutamente necessario l’affermarsi di quella saggezza che, come ricorda Eugenio Borgna, citato con ammirazione nel libro, si presenta quale valore imprescindibile, capace di recuperare «esperienze e modi di essere del passato solo apparentemente perduti», e in grado di far «rinascere in noi attese e speranze che danno un senso alla vita». Ma qual è il pericolo che ci sovrasta? Bartolini e Demichelis non hanno dubbi e rispondono che esso è rappresentato dal tecno-capitalismo, che, a loro giudizio, si propone nelle vesti di una nuova religione che mette al centro la certezza di un progresso indefinito. Non si tratta di rinunciare alla modernità nella sua interezza, ma di denunciarne e cancellarne gli errori e le storture che oggi gravano sulle spalle di un’ umanità stanca e impaurita, minacciata com’è dalle sue stesse conquiste che, divenute sempre più potenti e invadenti, rischiano di risultare incontrollabili, perdendo le caratteristiche proprie degli strumenti utili e trasformandosi in forze pericolosamente impazzite. Per uscire dalle secche in cui ci troviamo è necessario che si affermi una razionalità etica e morale e non più soltanto calcolante. Altrimenti ad affermarsi definitivamente sarà il nichilismo, e con esso una forma di potere che «opera, al di là della violenza esplicita e della costrizione (il dominio), conquistando l’immaginario delle persone, plasmandolo (ingegnerizzandolo) e mettendolo al servizio dell’interesse di pochi (l’ egemonia)». Ciò che hanno scritto Bartolini e Demichelis suona come un atto di accusa così forte che sembra non lasciare spazio all’ottimismo. Gli autori ne sono consapevoli, tanto che, concludendo il loro dialogo, avvertono la necessità di richiamare due concetti molto significativi: quello di speranza, «l’unica inclinazione umana, come ha scritto Eugenio Borgna, anch’essa apparentemente fragile ma in realtà incessantemente capace di farci accedere alla pienezza dell’esistenza». Tale speranza deve coniugarsi con la responsabilità, l’altro concetto, di cui ha molto parlato Hans Jonas. Sperare significa anche dare spazio all’utopia, «perfetto antidoto, forse l’unico vero antidoto che abbiamo (contenendo in sé la speranza), alle convulsioni folli dell’attuale assetto del mondo». Le tesi di Bartolini e Demichelis offrono numerose indicazioni per ulteriori approfondimenti, anche perché hanno per oggetto temi che sono al centro di un dibattito tutt’altro che concluso e che vede impegnati, su posizioni spesso assai diverse, intellettuali appartenenti a varie scuole di pensiero. Ai due autori va riconosciuta la virtù della schiettezza, come afferma nella postfazione Miguel Benasayag che, riguardo al percorso da loro tracciato, scrive che essi «si confrontano con la necessità di ripensare contemporaneamente la ragione critica e la sfera delle passioni, la lucidità e il sacro, proponendo soprattutto nelle ultime pagine del testo alcune escursioni fuori margine, che conducono in territori liminali, al confine tra conscio e inconscio, là dove saggezza, poesia, gentilezza e pensiero meditante cooperano per intensificare la vita e strapparla al riduzionismo e alla barbarie».

di Maurizio Shoepflin